Così Diego lo Scarparo e Sergio il Carrettiere fanno baruffa al mercato
Nella
comune terra medioadriatica si sarebbe detto un tempo che lo Scarparo e
il Carrettiere hanno preso a fare baruffa al mercato. Diego
Della Valle contro Sergio Marchionne. Il padrone di un calzaturificio
divenuto negli anni il florido marchio per le élite di massa (Tod’s)
contro il grande manager di un impero immiserito in patria e rinato
negli Stati Uniti (Fiat). Dicendo che “la Fiat è un bersaglio grosso,
più delle scarpe di alta qualità e alto prezzo che compravo anch’io fino
a qualche tempo fa: adesso non più”, Marchionne si tradisce ingenuo e
stizzito, lui stesso preda di quello “starnazzare nel pollaio più
provinciale che c’è” sdegnosamente denunciato per richiamare la
volgarità delle accuse di Della Valle. Certo, a sua parziale discolpa
c’è che nell’arco di tre giorni il patron della Fiorentina gli aveva
dato di “furbetto cosmopolita” e rappresentante cadetto di una famiglia
(gli Agnelli) avvezza a “spararla grossa” salvo poi andarsene “alla
chetichella”. Dunque uomo dalla mancata parola, Marchionne, nell’impeto
accusatorio del suo antagonista. Ma sopra tutto cittadino del mondo,
déraciné, traditore di un malriposto orgoglio per la stanzialità
patriottica: non più un figlio degli Abruzzi natii (Chieti, città degli
antichi Marrucini, guerrieri dal dialetto osco-umbro presto
romanizzati), ormai soltanto un rampollo qualunque del melting pot
italo-canadese (con residenza in Svizzera, peraltro).
E così è andata con Marchionne, che di suo ha scelto un’altra teatralità non meno egolatrica ma più efficace. Stessa sprezzatura, magari, però espressa con il profilo basso di uno che può vestirsi di stracci (costosissimi) e di barba penitenziale perché tanto, quando gli va, alza il telefono e dall’altra parte risponde Barack Obama. Sergio il Carrettiere è a modo suo uno che ha fatto fortuna in “Ammerica” e poi è diventato famoso grazie alla prima industria manifatturiera italiana, quella Fiat che ha deciso di spiantare dal giardino inaridito di un’Italia di cui non ha bisogno né rimpianto. Pur sempre noblesse de robe, quella di Sergio, ma sciacquata nell’Atlantico, aristocratizzata dal marchio sabaudo di cui è espressione, distante quanto basta dall’attuale coda di cometa del vecchio stile Agnelli; e fin troppo luccicante se messa a paragone di certa arrembante foga bottegaia. Se vuole fare rumore, discolparsi, contrattaccare, minacciare o promettere pace, Marchionne ha un direttore come Ezio Mauro a fargli da interlocutore e un’intervista baritonale assicurata in prima pagina su Repubblica. Della Valle, quando è mosso da un attacco di moralismo politico, deve acquistare le pagine interne ovvero, per conquistarsi le copertine, prendere a scarpate un Marchionne al giorno e poi attraversare con cura sulle strisce per non finire investito dal suo carretto.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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