domenica 1 febbraio 2009

... e continuano a chiamarmi munciasca!

Io sono terruncella, ragazzi.
Non di queste parti. E quindi smettetela di chiamarmi "munciasca": non è vero e sa di presa in giro.

Devo tutto a Caserta e poco o nulla a Monza. Non dico che odio il nord Italia, affatto. Direi una bugia. Ma il sud per me è stato tutto, in bene e in male. Più esattamente a Caserta. Non Napoli, Caserta.

Nel lontanissimo 4 novembre 1990 nasceva la sottoscritta. E nasceva con il nome di Giada e il cognome di Giorgi, cognome di mia mamma, poichè i miei non erano ancora sposati e, da quanto diceva mia madre, non solo mio padre non voleva sposarla ma non avrebbe mai voluto aver figli. Meno che meno figlie!
Difatti sono rimasta figlia unica, mica per un caso. Quindi sono stata riconosciuta solo da mia mamma e il primo cognome che ho avuto è stato il suo

A meno di 5 anni ero già a fare il primo esame scolastico: per essere ammessa in 2a elementare. I miei si erano sposati e dicevano che io ero troppo intelligente e meritavo questo enorme salto di qualità. L'unica cosa che mi ha portato è stato quello di poter conoscere, dopo molti anni, Alice.

Per il resto entrare così piccola in mezzo ai teppisti campani mi ha resa fragile, insicura, chiusa di carattere. Lo "scarafaggio" è nato lì.
Sempre a Caserta ho conosciuto l'amore, il vero grande e unico amore: Patrizio. Peccato che era mio cugino e che quando i miei mi hanno scoperta a limonare con lui mi hanno bastonata a sangue poiché "è fortemente disdicevole che una ragazza di siffatta famiglia abbia relazioni con un cugino". Ma questa loro reazione ha moltiplicato per mille il mio amore per lui.
Sempre a Caserta il mio unico vero amore è morto: sul sedile posteriore di un motorino, senza casco (a Caserta non usano il casco nemmeno oggi). Era la prima volta che conoscevo la morte. Poi non si è mai più allontanata da me.

Poi mio padre trasferì tutta la famiglia in Lombardia, per lavoro. Ma ogni scusa era ottima per tornare giù: le feste di Natale, di Pasqua, Agosto e perfino il "Ponte" creato dai miei tra il giorno dei morti (2 novembre) e il mio compleanno (il 4): di ogni anno. Ogni stramaledettissimo anno!
Anche quello del mio dodicesimo compleanno: festeggiato a casa con i miei e un numero impossibile di amici e parenti, in casa, nel giardino, nella tavernetta, dappertutto. Quel 4 novembre 2002 mi sono ritrovata in bagno a vomitare. E mentre davo l'anima al cesso ho visto che su una gamba mi colava del sangue. Non avevo dolore e sapevo a malapena dove fossi, da quanto ero ubriaca.
Da quel giorno pensai che ogni volta che bevevo alcolici mi sarebbe uscito sangue dalla passerina. Solo dopo diversi giorni mi accorsi che ero "diventata donna" e che lo dovevo a un "cuginetto sveglio".

Per disgrazia della mia poca cultura sessuale fui costretta a bere champagne a capodanno e nella notte mi sono svegliata appicicaticcia tra le gambe e con le mutandine piene di sangue. Quei mutandoni furono arrotolati in un quintale di carta igienica e fatti sparire nella pattumiera, mentre in bagno mi "curavo" da ferite inesistenti. E che sarebbero tornate ogni mese, mese e mezzo. Cioè pochi giorni dopo che mi scoprivano bere vino. Non ho mai detto una sola parola di questo a miei e a nessuno, era il mio segreto. Ogni tanto scomparivo e andavo in bagno anche 10 volte al giorno dicendo che avevo mal di pancia. E in bagno mi ripulivo e mi mettevo chili di carta igienica tra le gambe per non sporcarmi. Ero diventata bravissima a fabbricarmi degli assorbenti con un solo fazzolettino di carta: erano i miei migliori origami.
Poi me li infilavo più su che potevo e ancora non sapevo che avevo appena scoperto i "tampax". Solo nell'estate del 2003, sempre a Caserta, una mia cuginetta mi spiegò che l'alcol non c'entrava ed io avrei potuto diventare mamma. Non le ho mai creduto, almeno fino ai 14-15 anni.

Invece a Monza ho conosciuto la solitudine, l'essere respinta poichè "non di loro", l'essere derisa per il mio accento terronico, il rimanere sola per giorni e giorni. Uscire di casa per giocare e rimanere a giocare da sola nei giardini. Uscire con mamma e tornare piangendo perché non è possibile che una bambina introversa fino alle budella si possa inserire in una città che non la considera: la ignora e la deride. Le prende gli anni più belli e li sbatte in faccia.
A Monza ho visto mia mamma all'ospedale e mia mamma in chiesa, dentro una cassa di legno scuro.
A Monza ho conosciuto le cose peggiori di me: il mio egoismo, la mia timidezza malata, il poco rispetto verso me stessa e i miei oggetti, l'odio verso chi comanda e i prepotenti. Ho conosciuto un angelo e da un fine scuola e l'inizio l'ho perso e non mi sono ancora resa conto di quanto ho davvero perso. Grazie a lei ho conosciuto tante amiche, persa lei ho perso anche le amiche. Una coincidenza? Se credessi alle coincidenze ora mi sarei impiccata in camera.
Per riscoprire cosa è l'amore e quanto è bello vivere dovevo andare a Riccione. No, amici miei, non potete continuare a chiamarmi munciasca. Non è giusto per me e per questa città

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