Se c’è qualcuno che è davvero sempre e comunque nel mirino, questi è proprio Gesù! Da un paio di domeniche lo abbiamo incontrato alle prese coi Farisei, e nel Vangelo di oggi è già sotto attacco da parte dei loro più fieri oppositori…
I Sadducei rappresentano l’aristocrazia sacerdotale più conservatrice, tanto da riconoscere unicamente i primi cinque libri della Bibbia e rigettare in blocco perfino i profeti, ed ecco perché affermano che “non c’è resurrezione”. Il loro falsissimo atteggiamento nei confronti del Signore è tipicamente curiale, lo chiamano Maestro ma in realtà pensano di non aver nulla da imparare da lui, anzi intendono metterlo alla prova, ed il caso prescelto ha del grottesco…
La legge mosaica, che mirava a perpetuare l’esistenza di ogni uomo attraverso la trasmissione del suo nome, prescriveva che il fratello di un defunto senza figli mettesse incinta la moglie superstite per garantire al caro estinto un minimo di discendenza. La donna portata ad esempio dai Sadducei sopravvive a ben sette fratelli che, fra tutti, non riescono a lasciarle un figlio, ed alla fine muore a sua volta… Di chi sarà moglie alla resurrezione, visto che l’hanno avuta come tale in sette? Dietro una domanda così ragionevole ed apparentemente innocente, si cela invece la cultura dominante del tempo, per cui la donna serve unicamente per procreare, e da questo punto di vista ci si chiede chi dei sette fratelli potrà continuare ad approfittarne!
Gesù ha ben presenti le logiche di questo mondo, ma non può certo limitarsi a prenderne atto senza ricordarci che c’è un altro modo di vivere, già qui in terra, più umano, più gratuito, più dignitoso per sé e per gli altri, insomma più in linea con le logiche di giustizia del Regno… Coloro che si sono riscoperti “degni della vita futura”, che - essendosi nutriti del suo Spirito d’amore - se ne fanno trasmettitori con tutti i fratelli e le sorelle, ebbene questi “non possono più morire”, perché hanno raggiunto un livello di vita talmente elevato e grande che non può conoscere distruzione! Il Signore scomoda addirittura gli angeli - altro argomento rifiutato dai Sadducei - per far capire che, proprio come questi esseri celesti prendono vita direttamente da Dio, così non c’è più alcun bisogno di perpetuare la propria esistenza trasmettendo un nome… Essendo “figli di Dio”, questa vita ricevuta direttamente da Lui non può che essere eterna ed indistruttibile!
Ai Sadducei, che si richiamano così pervicacemente a Mosè, Gesù - Maestro non solo di nome - fa oggi scoprire che anche il Dio del Pentateuco risparmia dalla morte i suoi figli… Abramo, Isacco e Giacobbe, che l’hanno incontrato e se ne sono fatti animare nel profondo, saranno con Lui anche nell’ultima ora, perché la vita che è stata loro comunicata è di una qualità tale da poter andare oltre la morte! Ecco ciò che si chiama resurrezione, nient'altro… Non c’è da aspettarsi chissà quali spettacoli con effetti speciali in futuro: “In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte” (Gv. VIII, 51)! Semplicemente, il vero discepolo non la sperimenterà, perché la sua esistenza, già ricolma d’amore, sarà immediatamente e per sempre ricondotta alla pienezza d’Amore che risiede nel Padre…
Siamo nel mese di Novembre, tradizionalmente destinato dalla Chiesa alla memoria di coloro che ci hanno preceduto, ed è forse il caso di spendere qualche parola sulla morte, argomento tanto spinoso anche e soprattutto per noi sedicenti credenti… Il Vangelo di oggi ci soccorre, e ci ricorda che “Dio non è dei morti, ma dei viventi, perché tutti vivono per lui”! Il Signore ci ha donato la sua stessa esistenza, che è eterna, indistruttibile, e ci ha incarnato in Cristo Gesù il modello da seguire per raggiungerla, già qui in terra e poi anche oltre. A noi la scelta di vivere da vivi, facendoci portatori nel mondo della sua misericordia verso tutti, o di vivere da morti, chiudendoci a riccio nei nostri pregiudizi e sentendoci migliori degli altri… è' l’opzione fra il fariseo ed il pubblicano di due domeniche fa, la distinzione di base fra chi crede davvero e chi crede di credere, che si riflette anche sulla pace del riposo futuro.
Possiamo cogliere l’occasione del pellegrinaggio alle tombe per rivivere i grandi valori che i nostri cari ci richiamano, con le loro vite spese per amore della famiglia ed oltre, con l’ovvio dolore per il distacco fisico, ma con la certezza che già vivono in pienezza, nella luce di Dio… O invece possiamo affezionarci alla nostra stessa sofferenza, disperarci e disperare, e dubitare dunque della verità delle parole di Gesù, che, pur avendo umanamente pianto sul cadavere dell’amico morto, aveva ordinato alle sorelle di Lazzaro: “Scioglietelo e lasciatelo andare” (Gv. XI, 44)! Ma come, ti precipiti a Betania perché il tuo amico è moribondo, i suoi familiari sono tanto disperati da accusare Dio di essere un emerito assente proprio quando serve (Lui che invece è proprio il presente), ed una volta risuscitato quel corpo, anziché abbracciarlo e trattenerlo finalmente con sé, dici di lasciarlo andar via? Lazzaro in realtà è già nella pienezza del Padre, quello zombie rifasciato come un salame è l’immagine di una morte disperante dalla quale dobbiamo scioglierci una buona volta per aderire seriamente al Signore della vita! Possibile che continuiamo a scordarci che, alle donne accorse di buon mattino al sepolcro per imbalsamare un Dio già bello che morto nella loro testa, l’angelo chiede: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc. XXIV, 5)? Un interrogativo che farei scrivere, a caratteri cubitali, all’ingresso di ciascun cimitero…
Con le stesse parole dell’apostolo Paolo nella seconda lettura, chiediamo al Signore, “che ci ha dato una consolazione eterna e una buona speranza”, che “conforti i nostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene”… Perché l’adesione alla fede nel Dio di Gesù non sia mai per convenzione sociale o per abitudine, ma anzi perché il suo Spirito d’amore metta radici in ogni credente, così che nessuno possa mai essere prevenuto verso un qualunque fratello, ma sappia mostrargli il volto misericordioso del Padre, Dio dei viventi che crede sempre e comunque nei suoi figli e non Dio dei morti che li castiga impietosamente e se li scarica di dosso!
Buona settimana a tutti,
Matteo
Questa norma, ancora praticata in ambienti ultraortodossi in Israele (Il tema è magnificamente e drammaticamente affrontato nel film Kadosh di Amos Gitai), dà l’occasione ai sadducei di mettere in difficoltà Gesù.
L’occasione - che novità - nasce da una discussione (benedette discussioni! Sciacquarsi la bocca per ascoltare il proprio ego mentre si parla e fare sfoggio di cultura, senza veramente mettersi in gioco, oggi come allora!) tra Gesù e i sadducei che, a differenza dei farisei, rappresentavano l’ala aristocratica e conservatrice d’Israele e che consideravano la dottrina della resurrezione dei morti, cresciuta lentamente nella riflessione del popolo e definitivamente formulata solo al tempo della rivolta Maccabaica, di cui si parla nella prima lettura, un’inutile aggiunta alla dottrina di Mosé.
Così, incrociando la non condivisa teoria della resurrezione con la consuetudine del Levirato pongono a Gesù un caso paradossale, la famosa storia della vedova “ammazzamariti”.
La vedova ammazzamariti
Il caso è ridicolo: una donna resta vedova sette volte, viene data in moglie a sette fratelli (sembra un musical!) ma non ottiene discendenza; una volta risorta, di chi sarà moglie?
Gesù sposta la questione su di un altro piano, invita gli uditori ad alzare lo sguardo da una visione che proietta nell’oltre morte, di fatto, le ansie e le attese della vita terrena.
È una nuova dimensione quella che Gesù propone: la resurrezione, in cui Gesù crede, non è la continuazione dei rapporti terreni, ma una nuova dimensione, una pienezza iniziata e mai conclusa, che non annienta gli affetti (Nel regno ci riconosceremo, ma saremo tutti nel Tutto!), che contraddice la visione attuale della reincarnazione (siamo unici davanti a Dio, non riciclabili, e la vita non è una punizione da cui fuggire, ma un’opportunità in cui riconoscerci!), e ci spinge ad avere fiducia in un Dio dinamico e vivo, non imbalsamato!
Viva Hallowen!
La scorsa settimana abbiamo celebrato la memoria dei nostri cari defunti, ahimé sovrapposta e confusa con la splendida e gioiosa Solennità dei Santi.
Il nostro tempo tende a dimenticare e a banalizzare la morte: ogni giorno ci vengono proposte decine di morti, vere o finte, dagli schermi televisivi ma, in realtà, riflettiamo sulla morte solo quando ci tocca sulla pelle.
La tradizione di Hallowen, prepotentemente sbarcata in Europa e diventata - ovviamente - fonte di business, è una tradizione antecedente alla cristianità e che la cristianità ha “battezzato”, facendo coincidere la festa celtica della fine dell’estate, con la riflessione sulla fine della vita.
La demonizzazione di tale festa non va esasperata, anche se il suo successo rivela che la nostra catechesi e predicazione sulla morte e sulla resurrezione risulta inadeguata e povera di linguaggi significativi e comprensibili.
Gesù crede fermamente nella resurrezione dai morti.
La Scrittura ha lungamente riflettuto sulla morte, giungendo alla dottrina dell’immortalità. Siamo stati creati immortali: il nostro corpo, da custodire e preservare, conserva una parte più spirituale, interiore, che i cristiani chiamano “anima”. L’anima è la sorgente del pensiero, la custode dei sentimenti, la dimora della mia identità e diversità. L’anima sopravvive alla morte e raggiunge Dio, per presentarsi al suo cospetto.
Novissimi
Dio non ha che un desiderio: la nostra felicità, la nostra pienezza. Ma ci lascia liberi di scegliere. Questa vita, che ci è data per scoprire la nostra chiamata, per scovare il tesoro nascosto nel campo, può essere giocata nella consapevolezza e nell’amore di Dio, o nella dimenticanza.
Di fronte a Dio, se vorremo, ci verrà dato un tempo per imparare ad amare, il purgatorio, o verremo abbracciati e ricolmati dalla totalità di Dio, il paradiso, o - Dio non voglia - saremo liberi di rifiutare la luce, quello che noi chiamiamo “inferno”, il luogo dove si tiene lontano Dio.
Al ritorno del Messia, nella pienezza dei tempi, ritroveremo i nostri corpi trasfigurati, che ora conserviamo con dignità in luoghi chiamati “dormitorio”, in greco “cimiteri”.
L’eternità è già iniziata, posso vivere e gioire di questa dignità, riconoscerla e svilupparla, o mortificarla sotto una coltre di polvere e preoccupazioni.
Siamo immortali, non aspettiamo di tirare le cuoia per pensare all’eternità che è già qui e ora!
Il Dio dei vivi
Il Dio di Gesù è il Dio dei viventi, non dei morti.
Io credo nel Dio dei vivi? E io, sono vivo?
Credo nel Dio dei vivi solo se la fede è ricerca, non stanca abitudine, doloroso e irrequieto desiderio, non noioso dovere, slancio e preghiera, non rito e superstizione.
È vivo - Dio - se mi lascio incontrare come Zaccheo, convertire come Paolo, che, dopo il suo incontro con Cristo, ci dice che nulla è più come prima. Credo in un Dio vivo se accolgo la Parola (viva!) che mi sconquassa, m’interroga, mi dona risposte.
Credo nel Dio dei vivi se ascolto quanti mi parlano (bene) di lui, quanti - per lui - amano.
Un sacco di gente crede al Dio dei vivi e lavora e soffre perché tutti abbiano vita, ovunque siano, chiunque siano. Schiere di testimoni stanno dietro e avanti a noi. Come la madre della prima lettura che incoraggia i figli al martirio piuttosto che abiurare la propria fede, come i tanti (troppi) martiri cristiani di oggi vittime di false ideologie religiose (in Iraq questa settimana, ancora!), come chi opera per la pace nel quotidiano e nella fatica.
Sono vivo (lo sono?) se ho imparato ad andare dentro, se non mi lascio ingannare dalle sirene che mi promettono ogni felicità se possiedo, appaio, recito, produco, guadagno, seduco eccetera, se so perdonare, se so cercare, se ho capito che questa vita ha un trucco da scoprire, un “di più” nascosto nelle pieghe della storia, della mia storia.
Vogliamo anche noi diventare discepoli di un Dio vivo? Vogliamo - finalmente - vivere da vivi?
(Don Paolo CURTAZ)
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Grandioso blogger
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