domenica 28 novembre 2010

Buona Domenica!

VANGELO
Lc 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».



Il mondo di oggi non ha più alcuna morale da proporre, tutt’altro! C’è spazio solo per un moralismo becero e sempre più dilagante, che ricerca biecamente vittime sacrificali - meglio se insospettabili… - da immolare sull’altare più pubblico possibile, di modo che lo spettacolo non sfugga proprio a nessuno… Cos’ha a che fare con la fede questa visione della società e della vita? Abbiamo tutti ben presente il senso del peccato, ma lo ritroviamo solamente negli occhi degli altri, un po’ come gli apostoli all’annuncio di Gesù del suo imminente tradimento: “I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse” (Gv. XIII, 22)… Mai nessuno che sappia guardarsi dentro, e contemporaneamente tutti pronti ad additare chi si pensa sbagli, dunque…sotto a chi tocca! Ieri i divorziati che bene o male pensano di non essere degli scartati da Dio in nessuna circostanza (ed hanno ragione!), oggi un padre che rifiuta un accanimento terapeutico ormai ventennale sulla figlia, e domani avanti il prossimo, che certamente uscirà. Il moralismo è davvero il frutto più distruttivo dell’ateismo… Il discepolo di Gesù, se tale è veramente, non può che essere misericordioso, ed è pronto a scommettere sul pieno recupero di chiunque incontri, per quanto grosse le possa aver combinate… Chi crede di essere senza Dio, invece, rimane senza speranza, ed allora il gioco al massacro può ben cominciare, sparando a zero su chiunque se lo possa meritare! Finalmente, un po’ di giustizia...

Ricordate la prima lettura di domenica scorsa? Nella sua ultima visione il profeta Malachia diceva: “Sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”… L’idea di giustizia di Dio - meno male… - è ben diversa dalla nostra! Non c’è nulla di distruttivo, anzi c’è spazio per un risanamento di tutto e di tutti grazie a dei “raggi benefici” che irradieranno il mondo… Ed il Vangelo di oggi, l’ultimo del tempo ordinario prima dell’inizio dell’Avvento, ce ne offre la prova più incontestabile, in punto di morte (di Gesù, ma anche di alcuni altri). Anche qui va in scena uno spettacolo sacrificale (poco oltre il nostro tratto, al versetto 48, Luca parla espressamente di “convenuti per questo spettacolo”), fra l’altro particolarmente appetibile perché giocato sulla pelle di Dio, e le reazioni del pubblico sono duplici… Da un lato “il popolo”, la moltitudine indeterminata degli astanti incuriositi, che “stava a guardare”: sono gli stessi che pochi giorni prima l’avevano accolto con ogni benedizione (“la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando Osanna!” - Gv. XII, 12-13), e sono anche gli stessi che di lì a poco, morto Gesù, “se ne tornavano percuotendosi il petto” (Lc. XXIII, 48). Ecco a noi l’immagine di chi assiste imperturbabile alla carneficina altrui - materiale o morale - senza mettersi in gioco, senza rischiare in proprio, pur di non dover subire alcun tipo di conseguenza… Ebbene, a questi pavidi indecisi, ipocriti che sanno solo ossequiare il potente di turno facendo strame della propria (pretesa) fede e dunque anche della propria dignità, risponde il Signore: “poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap. III, 16)! Dall’altro lato, “i capi” (civili, ma anche religiosi!) ed “i soldati” (la bassa manovalanza dell’Autorità), che “deridevano Gesù” e lo incitavano a salvare se stesso, dando così dimostrazione della sua asserita divinità… Ecco a noi l’immagine del potere autocelebrativo, che viene esercitato superbamente a dispetto di tutto e di tutti, e la cosa può avvenire anche ai livelli più modesti, da parte di miserrimi soldati (quale insegnamento per l’uomo dell’oggi, al quale basta una divisa o anche una ridicola carica di consigliere condominiale per trasformarsi in giustiziere della notte!). L’invito a pensare a se stesso e ad offrire un segno prodigioso, del resto, ricalca esattamente le tentazioni diaboliche che avevano già colpito Gesù nei quaranta giorni di deserto preparatori per il suo ministero pubblico (cfr. Lc. IV, 1-13): eccoci al “tempo fissato” (Lc. IV, 13) per il ritorno del diavolo, cioè di chi crea divisione e sofferenza, il quale non si presenta certo con corna, tridenti e fiammelle di contorno (lo dico a certi cultori di queste fandonie, che danno credito a qualche farneticante esorcista troppo presente nelle librerie cattoliche ed ormai perfino negli autogrill)!

Bene, a fronte di un’Autorità prepotente e tentatrice, può esistere una diversa concezione del potere, tanto distante da sembrarci fuori dal mondo (Gesù stesso dirà: “Il mio regno non è di quaggiù” - Gv. XVIII, 36) e da aver bisogno di una scritta esplicativa: “Costui è il re dei Giudei”! Chi mai avrebbe potuto riconoscerlo, appeso a una croce come i peggiori dei delinquenti e snobbato o deriso da tutti? Alla nostra idea di regalità, fatta di esasperata autoaffermazione ed opulenza sconsiderata in quanto appunto rivolta a “se stessi”, tipica anche dei nostri ambienti curiali, il Signore contrappone la sovranità vera, fatta di un servizio vicendevole, a cominciare proprio dal Maestro verso i suoi discepoli (“Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto” - Gv. XIII, 5), tanto da arrivare all’estremo sacrificio per l’umanità intera! Se è vero, come è vero, che “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv. XV, 13), è sconcertante che si abbia il coraggio di chiedere o addirittura pretendere qualche altro segno per poter credere! La morte subito vinta del Cristo Re dell’Universo, festeggiato oggi ultimo dell’anno (liturgico), è un fatto che rende scandalosa ogni ulteriore richiesta di segni… Dopo di essa, solo “una generazione perversa e adultera cerca un segno” (Mt. XVI, 4)!

Ma il cuore di questo Vangelo, perdonatemi, è nella seconda parte. Gesù è crocifisso assieme a due malfattori, ed uno di essi è l’unico fra tutti i presenti che riconosce il Signore: cerca di correggere il compagno d’agonia che sbaglia, pensando prima alla sua salvezza che alla propria (“Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?”), riconosce i propri limiti - e per questo li supera… - a fronte dell’assoluta assenza di male in Gesù (“Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”), e sa di poter contare sulla misericordia di Dio (“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”)! Notate bene la frase, è un’affermazione e non una domanda… Proprio e solo il malfattore, il più lontano dal Signore, è in realtà l’unico che lo conosce sul serio per quello che è, un Padre di misericordia! Come non volare per un attimo alle parole del profeta Osea? “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te, e non verrò nella mia ira” (Os. XI, 8-9)… Ed è proprio così, non c’è trucco e non c’è inganno, ma soprattutto non c’è alcun miraggio nella sua mente offuscata di ladrone moribondo: “Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»”! Questa è l’unica volta che nel Vangelo si menziona il paradiso… Gesù ha sempre parlato di morte che non sarà mai conosciuta dal discepolo (Gv. VIII, 52), dunque di vita che continua, agli stessi livelli qualitativi che si sono raggiunti in terra. Nessun giardino fiorito, e per converso nessun antro infuocato, insomma! Purtroppo non è certo il momento per improvvisare un incontro di catechismo, e fra questi due agonizzanti si parla l’unico linguaggio comprensibile da ambo gli interlocutori… Dio e l’uomo soffrono, l’uno accanto all’altro, apparentemente impotenti di fronte al dolore, ma in realtà capaci di superarlo con la forza di un Amore che salva.

Chiediamo al Signore questa consapevolezza che la verità non è mai appannaggio delle “donne pie di alto rango” e dei “notabili della città”, che sono anzi facilmente sobillabili contro i veri discepoli di Gesù (cfr. At. XIII, 50)… Perché davvero questo malfattore, unico giusto del quadro evangelico di oggi, sappia convertirci mente e cuore dal dio giustiziere che coviamo nel profondo al Dio della misericordia senza confini rivelatoci dal Nazareno…affinché, al più presto possibile, ci comportiamo di conseguenza!

La settimana sarà senza dubbio speciale perché venerdì c’è la serata con Donpi all'Auditorium del Centro Civico Buranello…
A presto dunque!
Matteo



Questa è l’ultima domenica dell’anno, gli amici ambrosiani, invece, hanno già iniziato l’avvento. Insieme, comunque, celebriamo la vera follia del cristianesimo, la non-festa che, se presa sul serio, ci farebbe tutti mettere in ginocchio ad adorare l’infinita misura di Dio.
Oggi celebriamo la regalità di Cristo o, come recita pomposamente la dicitura sul Messale, la Solennità di Gesù Cristo re dell’Universo.
Era l’ora, finalmente, ci mancava. Le istituzioni degli uomini vacillano, le ansie di cui domenica scorsa stringono il cuore di tutti, credenti o meno, non ci dispiacerebbe un bel finale della storia con l’arrivo dei nostri, come nei film western degli anni Sessanta.
Cristo re.
Ma dove?
Guardare oltre
Le ragioni per scoraggiarsi non mancano, e la fragile storia fatta di armi e di violenza, continua a dettare legge. Non è cambiato molto in questi duemila anni di cristianesimo, il Regno sembra essere un bel progetto rimasto sulla carta, un afflato spirituale di qualche sognatore.
La festa di oggi, invece, è una provocazione alla nostra tiepida fede, che sfida la nostra fragile contemporaneità, il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti.
Cristo è re, significa dire che Lui avrà l’ultima parola sulla storia, su ogni storia, sulla mia storia personale. Dire che Cristo è re, significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio e dell’uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio tenerissimo e gravido del Padre. Dire che Cristo è re, significa creare spazi di rappresentanza del Regno là dove stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita, piccoli spazi pubblicitari per dire agli smarriti di cuore: ecco, Dio vi ama.
Oggi è la festa in cui le comunità guardano avanti, al di là e al di dentro dei nostri limiti e dei nostri sforzi perché, sempre, il metro di giudizio del nostro essere Chiesa è la realizzazione del Regno.
Un re bislacco
Peggio: la regalità di Gesù è una regalità che contraddice la nostra visione di Dio.
Perché questo Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità. Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato.
Ecco: questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto.
Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, mostrato, sfigurato, piagato, arreso, sconfitto.
Una sconfitta che, per Lui, è un evidente gesto d’amore, un impressionante dono di sé.
Un Dio sconfitto per amore, un Dio che - inaspettatamente - manifesta la sua grandezza nell’amore e nel perdono. Dio - lui sì - si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna.
Dio non è nascosto, misterioso: è evidente, provocatoriamente evidente; appeso ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per piegare la durezza dell’uomo.
Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarlo. Lui, figlio del Padre ci dona e ci dice veramente chi è Dio. E l’uomo replica. “No, grazie”. Forse preferiamo un Dio un po’ severo e scostante, sommo egoista bastante a se stesso, potente da convincere e da tenere buono.
Forse l’idea pagana di dio che ci facciamo ci soddisfa maggiormente perché ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione; non piega i nostri affetti, solo li solletica.
Salva te stesso
La chiave di lettura del vangelo di oggi è tutta in quell’inquietante affermazione della folla a Gesù: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Frase che Luca fa dire anche ai sacerdoti e ai soldati pagani: tutti concordano nel ritenere un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.
Il potente, così come ce lo immaginiamo, è colui che salva se stesso, può permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere bisogno degli altri.
Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato lui! Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve mostrarsi egoista perché, nel nostro mondo piccino, Dio è il Sommo egoista bastante a se stesso, beato nella sua perfetta solitudine. Dio diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò che ammiriamo nell’uomo politico riuscito, ricco e sicuro, allora cerchiamo di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo.
No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me.
Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a noi.
Ladri e ladroni
I due ladroni - infine - sono la sintesi del diventare discepoli. Il primo sfida Dio, lo mette alla prova: se esisti fa che accada questo, liberami da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me. Concepisce Dio come un re di cui essere suddito.
Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera: una redenzione in extremis. Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta il colpo. Non è amorevole la sua richiesta: trasuda piccineria ed egoismo. Come - spesso - la nostra fede. Cosa ci guadagno se credo?
L’altro ladro, invece, è solo stupito. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza. Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua. Innocente e pura quella di Dio. Ecco l’icona del discepolo: colui che si accorge che il vero volto di Dio è la compassione e che il vero volto dell’uomo è la tenerezza e il perdono. Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e confessare: davvero quest’uomo è il Figlio di Dio.
Per i cardiopatici: conclusione da non leggere
Che re, sbilenco, amici. Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro “salvare noi stessi” per salvare gli altri o - meglio - per lasciarci salvare da Lui.
Siamo onesti, amici: lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che vorremmo? Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi?
Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.
(Don Paolo CURTAZ)

Nessun commento: