giovedì 23 dicembre 2010

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Hi hi hi hi hi...

domenica 12 dicembre 2010

Buona Domenica!

VANGELO
Mt 3,1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore,raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».



Parlare di fede, amici, è sempre più difficile nel mondo orgoglioso ed autosufficiente di oggi, ma allo stesso tempo mi sembra sempre più urgente e necessario… In una società che ci trasmette continuamente modelli negativi e però appaganti, dove le donne devono essere un po’ facili e gli uomini un minimo mascalzoni per poter emergere ed avere successo, quando l’insoddisfazione - magari anche nascosta all’esterno, sennò ci rimettiamo la faccia… - dilaga nei cuori e ci induce a far passare per eroe un povero cristo, certamente già accolto dall’amore di Cristo, che beato lui è riuscito a liberarsi da questo schifo di vita...è allora che diventa importante scoprire di essere al centro di un rapporto d’Amore, non mordi e fuggi come quelli che vanno di moda, ma radicato nella storia universale, di cui è protagonista un Dio che si svela progressivamente agli occhi delle sue creature fin dai tempi più antichi, prima nel contatto coi progenitori nella fede, poi attraverso le parole dei profeti, ed infine - resistenti come siamo a capirlo davvero… - facendosi uomo come noi e condividendo la nostra esistenza terrena, soffrendo ed amando, insegnando e perdonando, fino a una fine che in realtà non era la fine. Nella seconda lettura di oggi l’apostolo Paolo scrive ai Romani: “in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza”… E questo Avvento, questa attesa del Dio bambino, altro non è che un tempo da destinare a nutrirci seriamente lo Spirito per poi cambiare nei fatti, consentendo così a tutta l’umanità di ravvivare quella speranza che langue!

È un po’ il messaggio del Vangelo di oggi, che ruota attorno alla figura di Giovanni il Battista: è l’ultimo dei profeti, quello che cede il passo al Dio incarnatosi per rivelarsi una volta per tutte, e l’evangelista Matteo, che parla alle comunità ebraiche, si preoccupa di legarlo ai testi dell’Antico Testamento, ricordando che era stato preannunciato dal profeta Isaia… La sua situazione è del tutto simile alla nostra: “voce di uno che grida nel deserto”, ovvero in un ambiente inospitale ed inanimato, assolutamente impossibilitato a mettersi in discussione! Ecco l’immagine del mondo di oggi, dove siamo tutti ripiegati sulle nostre necessità, sui nostri sogni, sui nostri diritti, e sul più bello ci ritroviamo addirittura incapaci di rapportarci con l’altro… Siamo nell’era dei mezzi di comunicazione a distanza, e non sappiamo più aprirci nemmeno al vicino, trincerati come siamo nel nostro solitario orticello. Ebbene, Giovanni ci dice: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”! Non è certo un invito ad aderire al tempio e ad una religione fatta di pratiche esteriori, ma semmai una più profonda esortazione a convertirsi al Regno d’amore che il Signore ciclicamente ripropone agli uomini nella storia. Gesù stesso, poi, lo confermerà: “C'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa” (Mt. XII, 6-7)… Giovanni non è un povero complessato che si presta ad inutili sceneggiate di privazione (la veste di peli ed il cibarsi di quanto era a disposizione sul posto era la norma per tutti i beduini del deserto!), ma chiaramente promuove la sobrietà e l’essenzialità a fronte di certa penosa e scandalosa opulenza (di ieri e di oggi), e questo suo invito così brusco, eppure così profondamente sentito e concreto negli obiettivi, sa arrivare al cuore di tutti gli uomini pensanti, a tal punto che “Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui”! La proposta era piuttosto semplice, ma significativa: “si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”, cioè si liberavano dagli egoismi dell’uomo vecchio che era in loro per rinascere alla vita del Regno, scegliendo di cooperare per realizzarlo già qui in terra… Il peccato non è un’ulteriore occasione per far sorgere sensi di colpa e dunque incancrenirsi ancor più nell’immobilismo, ma diventa strumento formativo per imparare a praticare l’amore del Padre: se il Signore è misericordia, e non è altro che questo (cfr. ancora, sopra, Mt. XII, 6-7, che male non fa…), sarò più capace di amare chi sbaglia, anziché impallinarlo come un tordo, nella misura in cui sarò consapevole dell’ampiezza dei miei limiti! Non a caso Pietro diventerà Papa dopo aver rinnegato il Signore ed averci pianto sopra (“Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E, uscito, pianse amaramente” – Lc. XXII, 61-62)… Misurarsi col proprio limite aiuta ad essere davvero misericordiosi con tutti, e questo è il minimo sindacale per potersi dire cristiani. Senza, semplicemente, non lo si è!

Fra quelli che accorrevano al battesimo, c’erano anche molti farisei e sadducei, ovvero i sedicenti puri della fede e l’eccellenza della classe sacerdotale, quelli che vivono di preghiere e devozioni e credono per questa ragione di essersi meritati una qualche ricompensa dall’Alto… Le parole che rivolge loro il Battista sono durissime: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?”. Quanto è attuale questa esortazione, per la quasi totalità di noi bravi cattolici praticanti, io per primo! Riusciremo un giorno a capire che non è attraverso riti, o medagliette, o radio più o meno pagane che scippano nomi cristiani, o formule trite e ritrite che ripetiamo “in modo che da lassù ci aiutino un po’ di più”, che salveremo il mondo, né - tantomeno - noi stessi? Vorremo finalmente lasciare che la Parola di Dio ci riempia il cuore per cambiarci davvero, comprendendo una buona volta ciò che è essenziale e ciò che è del tutto irrilevante o, peggio, ridicolo? “Fate dunque un frutto degno della conversione”, altro che comode pratiche formali non immediatamente tradotte in fatti… Sennò siamo falsi, ipocriti e velenosi come delle vipere! Giovanni è un grande della fede perché è conscio del suo essere “servo inutile” del Signore (“Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali”), ma anche lui (e a maggior ragione tutti noi) non si è ancora sintonizzato col vero volto di Dio. Colui che viene dopo è Gesù, ed il Battista lo dipinge come uno che protegge chi lo accoglie (“raccoglierà il suo frumento nel granaio”) e distrugge chi lo rifiuta (“brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”), che “battezzerà in Spirito Santo” (i buoni) “e fuoco” (i cattivi)… Il Signore, invece, citando questa espressione, non parlerà più di fuoco per punire, ma soltanto di quello Spirito d’amore che promana da Dio e ci fa vivere in pienezza già qui in terra (“Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” – At. I, 5)! Gesù proporrà a tutti quanti, puri ed impuri, credenti e non credenti, un Amore divino che non va meritato, ma solamente accolto… E sarà proprio questo a mettere in crisi il Battista, che dovrà faticare (perfino lui…figuriamoci noi!) per comprendere il volto del Dio di misericordia, come vedremo domenica prossima.

Chiediamo al Signore che nessun credente possa mai essere completamente assuefatto ad un’idea di fede fatta di riti e devozioni, magari contornati da un pizzico di superstizione… Perché davvero tutti, ciascuno secondo le proprie forze, ci impegniamo a fare frutti degni della conversione al Dio di Gesù, che - come ho già detto più volte, e ripeterò fino alla nausea- non può essere onorato in alcun modo diverso dall’amore per i fratelli!

Buona settimana a tutti,
Matteo



Basta guardare un notiziario per cadere in depressione: la lotta politica intestina è al calor bianco, la crisi economica stenta a risolversi, le diplomazie internazionali fanno i conti con le proprie brutte figuracce.
Ci fosse un Battista da qualche parte, e ce ne sono, tutti accorrerebbero per sentirsi proporre una via d’uscita, un cammino che porti fuori dal tunnel, che ci ridia speranza.
In settimana è uscito il libro intervista di Papa Benedetto, un’intervista densa, meditata, piena di forza. Lo sto leggendo con attenzione, avverto una serenata speranza in questo papa ottuagenario che ha preso il timone della barca in piena tempesta.
Timido successore di Pietro, nonno incanutito che vuole mandare un messaggio di speranza alla Chiesa spaesata! Come Isaia, come Paolo, come Giovanni il folle di Dio.
Attese
Ci prepariamo al Natale 2010 per essere presi, non lasciati.
Presi dalla sconcertante notizia di un Dio che si fa uomo, di un Dio che rischia tutto diventando un bambino fragile e inerme.
Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesù; ma non c’è bisogno di essere cristiani per crederlo! Siamo cristiani se desideriamo, nella semplicità e nella povertà del desiderio, che Cristo nasca nei nostri cuori.
Animo, cercatori di Dio, ammaliati da Cristo, affascinati dalla sua Parola, animo!
Uomini e donne ci annunciano la venuta di Cristo nella gloria, mentre a noi è dato di accoglierlo nella storia personale di ciascuno.
Isaia, immenso profeta, sogna un mondo in cui il Messia riporta l’armonia che abbiamo perso per strada. Paolo, alla fine del suo percorso di annunciatore, scrive ai cristiani di Roma invitandoli a tenere viva la speranza a partire dalla consolazione che ci deriva dall’ascolto delle Scritture, scritte apposta per noi.
Certo: la Storia grande è al di sopra e al di là della nostra capacità di comprensione. Ma nel cammino verso la totalità, la Parola e la Profezia ci aiutano a conservare la speranza, nell’attesa che venga il Signore della gloria.
Il grande Battista
Maria la bella, la ragazzina quattordicenne di Nazareth ci insegnerà, in settimana, a dimorare nella fede, giorno per giorno. Maria ci suggerisce di essere pronti, perché Dio viene quando meno te lo aspetti, anche nel nascondimento di un buco di paese come Nazareth.
Oggi Giovanni il folle ci scuote con parole che schiaffeggiano, invece di accarezzare.
Il Battista, con la sua vita, proclama il primato di Dio sulla Storia, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l’inaudito di Dio.
Persone ragguardevoli e devote come i farisei sono duramente criticate perché la loro grande fede è rovinata da un ritualismo e da un moralismo esasperato. Giovanni li scuote: non basta fare gesti (audaci) come ricevere il Battesimo per convertirsi, occorre cambiare vista, prospettiva, pensiero, abitudine. È un monito indirizzato a chi, tra noi, è già discepolo: siamo chiamati a interrogarci continuamente sul rischio dell’abitudine alla fede.
Anche la più autentica devozione rischia di sconfinare nell’esteriorità, svuotando la fede dall’incontro con Dio.
Oggettivamente iellato
Giovanni è l’ultimo e il più sfortunato dei profeti: minaccia vendetta e castighi divini, sul modello dei grandi Profeti del passato. Ma i tempi sono cambiati: le persone non si convertono con le minacce o i sensi di colpa, Dio decide diversamente. Giovanni minaccia incendi e roghi, e invece arriverà Gesù a svelare che, invece, Dio non punisce ma ama e perdona e il Messia non spegne la fiammella tremante e non spezza la canna incrinata!
Il volto di Dio che Gesù svela nel Natale è così inaudito e inatteso che Giovanni stesso stenterà a riconoscerlo, così inatteso che il più grande uomo di tutti i tempi dovrà ancora convertirsi, alla fine della propria vita vissuta nell’austerità e nella penitenza.
Profezie
Abbiamo bisogno di profeti, e numerosi profeti ancora abitano le nostre grigie città.
Persone all’apparenza normali e che, pure, sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l’indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. E Dio solo sa di quanti profeti necessitiamo per riuscire a discernere un percorso di fede nella faticosa vita quotidiana!
Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando ogni obiezione, ogni tenebra, ogni paura. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione (“abbiamo Abramo come padre!”) o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida (“fate frutti degni di conversione”). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento.
Dio - diventando uomo - separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo.
O a rifiutarlo.
Finché Dio è sulle nuvole, divinità scostante da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato!
Un Dio indifeso che frantuma le nostre teorie approssimative sulla natura divina, un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione.
Siamo invitati a riconoscere i profeti intorno a noi, siamo chiamati a diventare profeti.
Non c’è bisogno di vestire pelli di cammello, tranquilli, ma di essere trasparenza di Dio, lasciare che il fuoco che Gesù è venuto ad accendere divampi nell’oscurità della nostra vita e dia luce a chi incontreremo in questa settimana.
Non servono crocifissi al collo o padrepii sui cruscotti per diventare profeti, è sufficiente portare un’unica notizia, che è quella che Matteo mette in bocca al Battista: “Accorgiti che il Regno si è fatto vicino”. Diciamolo a tutti, amici, Dio si è avvicinato, è incontrabile, conoscibile, presente, evidente.
Grande
Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, che ridicolizzi le nostre assonnate parole, che giudichi le nostre svuotate celebrazioni!
Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.
(Don Paolo CURTAZ)

domenica 5 dicembre 2010

Buona Domenica!

Mt 24,37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».


Con questa domenica si inaugura il tempo di Avvento: ben quattro settimane di preparazione spirituale e discernimento interiore, di profonda riflessione su noi stessi e sul significato della fede nella nostra esistenza, ancora una volta – l’ennesima, nella vita di ciascuno di noi! – in attesa di questo Messia apparentemente aspettato da tutti, e che tant’è non riesce a convincerci del tutto… Troppo diverso dal dio che abbiamo in testa! Informale e diretto, bisognoso di amicizia ed affetti, capace di soffrire le stesse pene degli uomini (ricordate domenica scorsa, crocifisso accanto al ladrone?) ma ciò che è peggio incapace di reagire per evitarsele (e possibilmente evitarcele…), portatore di misericordia anche e soprattutto fra i peccatori e totalmente disinteressato ai sacrifici ed alle pratiche esteriori, desideroso di incontrarsi coi (presunti) impuri piuttosto che coi falsissimi bigotti e perbenisti di ogni epoca… E noi che immaginavamo un castigatore irremovibile, che ci premiasse per le nostre stanche devozioni e finalmente desse voce al desiderio di vendetta ed autocelebrazione che coviamo nell’intimo, vorremo accoglierlo per quello che è, anche al costo di cambiare noi stessi? Sapremo tenerci ben lontani dall’altare che frequentiamo, se non ci saremo prima riconciliati col fratello contro cui abbiamo qualcosa (Mt. V, 24)? Impareremo che non si è cristiani, ma pagani, pregando a forza di parole, trite e ritrite (Mt. VI, 7)? Capiremo, finalmente, che l’unico elemento distintivo del discepolo è l’amore vicendevole senza eccezioni, come quello di Gesù (Gv. XIII, 35)? Alla mia ventottesima occasione di ripetere il percorso natalizio, prego il Signore di riuscire a compiere un qualche passo di effettiva conversione… E, se siete d’accordo, lo chiedo anche per voi!

In questo tempo di Natale, ma poi anche lungo tutto il corso del nuovo anno liturgico, leggeremo il Vangelo di Matteo, che è stato scritto per parlare alle comunità di matrice ebraica e dunque porta continui riferimenti all’Antico Testamento… Il brano di oggi, che contiene alcune delle ultime parole pronunciate da Gesù prima della fine, richiama il noto episodio del diluvio universale, raccontato nei capitoli 6, 7 e 8 della Genesi. Non c’è il tempo di soffermarci troppo su questo argomento, ma è importante sottolineare che già il Dio del Pentateuco si rivela per quello che sarà poi manifestato in Cristo: un Pastore che si addolora in cuor suo per la malvagità degli uomini (Gen. VI, 5-6) e che tuttavia sa rallegrarsi anche per un solo giusto che cammina con lui, come Noè (Gen. VI, 8-9), tanto da stabilirvi un’alleanza (Gen. VI, 18); un Signore che lava con l’acqua del cielo un’umanità in cui “ogni uomo aveva pervertito la sua condotta” alla violenza (Gen. VI, 12), rinnovando menti e cuori in vista del Regno di giustizia e di pace (ricordate il ramoscello d’ulivo nel becco della colomba inviata in avanscoperta, Gen. VIII, 11?) per il quale ciascuno di noi deve fattivamente collaborare (Gen. VIII, 17)! Ebbene sì, amici… Niente catastrofismi, e nessun castigo divino. Solo una grandiosa immagine di riscatto universale, una salvezza planetaria che proviene dall’Alto, e che mette già al centro l’amore incondizionato del prossimo quale unico modo serio per rendere onore a Dio (“Soltanto domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”, Gen. IX, 4-5)!

Nel Vangelo di oggi, la salvezza offerta da Noè con l’arca viene accostata alla salvezza propostaci da Gesù attraverso il Regno. È proprio vero, siamo tutti figli della nostra società, scalpitante ed isterica, tanto che non riusciamo a distoglierci dalla nostra routine quotidiana, che può diventare una forma di vera e propria schiavitù… Il Signore non fa riferimento al bere, al mangiare ed allo sposarsi con intento di condanna o comunque di censura, come certo becero moralismo oggi dilagante potrebbe farci pensare: si tratta, più semplicemente e meno maliziosamente, delle normali vicende della vita, che se diventano assoluti e ci riempiono l’esistenza rischiano di farci sfuggire quanto di importante sta per accadere! Così come l’arca di Noè non ha accolto tutti, ma soltanto coloro che si erano accorti del disastro incombente, così il Regno di Dio, pur essendo per tutti, diverrà solo di coloro che raccolgono sul serio lo Spirito d’amore di Gesù. Ecco perché, alla venuta del Figlio dell’uomo, ci sarà una duplice sorte, chi sarà “portato via” per la salvezza eterna e chi sarà “lasciato”… Perché ci sarà chi si sarà messo davvero in gioco per il più piccolo, per il più povero, per il più scartato, ed allora si sentirà dire “vieni, benedetto del Padre” (cfr. Mt. XXV, 34-40), ma ci sarà anche chi, magari assiduo praticante o addirittura porporato, non avrà saputo riconoscere Dio nel volto del fratello, ed anzi avrà pensato di poterlo onorare prescindendo dal prossimo, ed allora si sentirà dire “via, lontano da me, maledetto” (cfr. Mt. XXV, 41-46)! È questo, amici, l’unico metro di valutazione del Padre: l’Amore non può che giudicare sull’amore che siamo stati capaci di riversare sugli altri (cfr. Lc. VII, 47), grazie al fatto di essere animati dal suo Spirito. A noi dunque il compito di vegliare sempre, di tenerci pronti, perché non sappiamo quando il Signore verrà: se la scaltrezza è tipica del titolare di beni terreni (“I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”, Lc. XVI, 8), che ragiona solo in termini di denaro e si guarda bene dal farsi trovare addormentato all’arrivo del ladro per non farsi svaligiare la casa, ancor più il discepolo, che deve lasciare anche il mantello a chi gli vuol portar via la tunica (Mt. V, 40), dovrà stare attento a cogliere l’essenza del messaggio di Gesù (“C'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa”, Mt. XII, 6-7), per non farsi scippare la salvezza perdendo tempo dietro inutili formalismi!

All’inizio di un tempo forte come l’Avvento, chiediamo al Signore questa chiarezza di comprendere ciò che è centrale e ciò che è periferico nella nostra vita di fede… Perché nessuno pensi di poter essere discepolo transitando dal tempio senza essere animato da una misericordia senza confini, magari davvero sentita e non solo recitata, unica prescrizione (“voglio”) effettivamente lasciata ai suoi da Gesù! Perché nessuno possa insuperbirsi a tal punto da sentirsi senza peccato e dunque poter scagliare pietre di condanna su chicchessia (cfr. Gv. VIII, 7), ma perché l’attesa del Dio bambino, che sorride anzitutto ai pastori emarginati di Betlemme, possa scalfire sul serio il nostro cuore di pietra, in modo da poter accogliere il Salvatore non da grotteschi commedianti come al solito (io per primo)!

Buon cammino d’Avvento a tutti,
Matteo


È che Dio arriva quando meno te lo aspetti.
Magari lo cerchi tutta la vita, o credi di cercarlo, o sei convinto di averlo trovato e quindi dormi sugli allori e, intanto, la vita ti passa addosso.
Oppure proprio non ci pensi, travolto come sei dalle cose da fare, dal mutuo da pagare, disperatamente galleggiando in questo sfilacciato tramonto di civiltà che stiamo vivendo.
È che Dio è evidente e misterioso, accessibile e nascosto, già e non ancora.
E la nostra vita passa, con i suoi desideri e le sue delusioni, le sue scoperte e le sue pause, le sue paure e le sue ironie, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti. Passa e fatichiamo a tenerla ferma in un punto, un punto qualsiasi, attorno a cui far girare tutto il resto.
È che intorno tutti gufano, ma tanto. E anche ad essere ottimisti e a voler sempre vedere il mezzo bicchiere pieno c’è da vivere in ansia perenne: l’instabilità politica è alle stelle, forse l’Europa fallisce dopo tutti i bei sogni di unità, alcuni di voi (anch’io!) si ritrovano senza un lavoro, tutti, intorno, sembrano cani rabbiosi che scattano appena li sfiori.
Insomma: per tutte queste ragioni abbiamo assoluto bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, di guardare dove stiamo andando, di trovare un filo a cui appendere, come dei panni, tutte le nostre vicende.
Oggi inizia l’avvento, finalmente.
Pubblica confessioneSono quattro settimane che ci preparano al Natale, un’arca si salvezza che ci viene data per ritagliarci uno spazio di consapevolezza. Un mese per preparare una culla per Dio, fosse anche in una stalla. Non siamo qui a far finta che poi Gesù nasce: è già nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma ora chiede di nascere in me.
Io voglio prepararmi, ho bisogno di capire come posso trovare il Dio diventato accessibile, fatto volto, divenuto incontrabile. Voglio poterlo vedere questo Dio consegnato, arreso, palese, nascosto in mezzo agli sguardi e ai volti di tanti neonati.
Sono poche quattro settimane, lo so. Ma voglio provarci ancora.
Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori.
Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui.»
Uno preso, uno lasciato
Iniziamo a leggere Matteo, da oggi. Il pubblicano divenuto discepolo, colui che si è fatto bene i conti in tasca, ci accompagna e ci incoraggia sull’impervia strada della conversione.
Il brano del Vangelo è faticoso e ostico e rischia di essere letto in chiave grottesca.
Gesù, al solito, è straordinario: cita gli eventi simbolici di Noè, dice che intorno a lui c’era un sacco di brava gente che venne travolta dal diluvio senza neppure accorgersene. Perciò ci invita a vegliare, a stare desti, proprio come fa Paolo scrivendo ai Romani.
E Gesù avverte: uno è preso, l’altro lasciato.
Uno incontra Dio, l’altro no.
Uno è riempito, l’altro non si fa trovare.
Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, come la brezza della sera è la sua venuta. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio.
Come? Non lo so, amici. Io cerco di farlo ritagliandomi uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Alcuni tra voi riescono a prendersi una domenica pomeriggio per fare un paio d’ore di silenzio e di preghiera, altri fanno una piccola deviazione andando al lavoro per entrare in una chiesa. Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano: preparare un presepe, addobbare un albero, partecipare alla novena. Facciamo qualcosa, una piccola cosa, per chiederci se Cristo è nato in noi, per non lasciarci travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive.
Ma, ad aggravare la nostra situazione, non dobbiamo solo combattere contro la dimenticanza.
Ci tocca pure combattere contro il finto natale.
VendesiNon capisco perché una festa splendida, la festa che celebra la notizia dell’inaudito di Dio che irrompe nel mondo, sia stata travolta dalla melassa del buonismo natalizio.
È un dramma, il Natale, è la storia di un Dio presente e di un uomo assente.
Non c’è proprio nulla da festeggiare, non abbiamo fatto una gran bella figura, la prima volta.
Natale è un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che obbliga a schierarsi.
Natale è l’arrendevolezza di Dio che ci obbliga a conversione.
Quindi: viva i regali, viva la festa. Ma che sia autentico ciò che facciamo, che sia presente il festeggiato, Dio, alle nostre ipercaloriche cene, che i bimbi capiscano che è il suo compleanno, e a noi fanno i regali.
SvendesiIn questi anni ho visto con sgomento che il Natale, per i poveri veri, per chi ha subito un abbandono, un trauma, un lutto, è diventato una festa odiosa e insostenibile.
Di fronte alle immagini stereotipate della famiglia felice intorno all’albero e armonia e canti di angeli che ci propinano i media, chi, invece, vive affettività fragili e solitudini, è travolto da un insostenibile dolore.
E questo mi fa impazzire di rabbia.
Il Dio dei poveri, il Dio che viene per i pastori, emarginati del tempo, il Dio che non nasce nel Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, viene sostituto dal dio piccino del nostro ipocrita buonismo. Se i nonni soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita non hanno un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro annuncio è ambiguo, travolto e sostituito da un inutile messaggio di generica pace.
Esagero? Voglia Dio che sia così.
Tra quattro settimane celebreremo il Natale.
Non giochiamo a far finta che poi Gesù nasce, Gesù è già nato, morto e risorto, vive accanto a me.
Il problema è, semmai, se io sono nato.
(Don Paolo CURTAZ)

sabato 4 dicembre 2010

Siamo uomini (e donne) o caporali?

  Prendo spunto dall'articolo seguente per porre l'attenzione su una cosa davvero dolente: quando i superiori (come tra i laici anche all'interno della Chiesa c'è una lunghissima gerarchia, quasi militare) non sono attenti ai risvolti psicologici dei propri "sottoposti" o, ed è anche peggio, non conoscono quasi nulla di loro, dei loro problemi familiari, personali, le loro aspettative, i loro sogni ecc... fanno sempre e sicuramente dei danni, a volte anche irreversibili.

Ciò che è accaduto al diacono dell'articolo che leggerete (è una notizia di questi giorni, forse ne sapete più voi di me, sicuro) poteva accadere anche ad Alice: anche a lei hanno spostato di ben 6 mesi, prima, e dopo di altri 6 mesi, un importantissimo (per la Chiesa e per lei) momento (non ricordo se era la "vestizione" o una roba simile). Per Alice era una tappa fondamentale, era il poter finalmente diventare la "Fidanzata di Gesù" se non proprio la Sua sposa.

Alice visse questi intoppi in modo strano per il suo carattere (ma era già prossima alla morte e quindi, presumibilmente, aveva già altre sue difficoltà, diciamo più impellenti, più urgenti e sicuramente più pressanti e dolorose): interiorizzò il tutto, scrivendo solamente a se stessa (poesie, preghiere e sul suo diario segreto), per poi rimandare il confronto con gli altri (suoi amici, e parenti stretti) solo dopo le vacanze estive: aveva già appuntato a chi parlarne e cosa dire loro. 

Forse voleva essere certa che il rinvio fosse ufficializzato? O voleva sapere bene il motivo "reale" di questi schiaffoni (i motivi "ufficiali" erano: poca maturità per quel rito, prima; e poi il giungere a finire il Liceo, per il secondo rinvio)

La realtà sembra (alla luce dei fatti e delle cose che si sono sapute dopo) ancora più assurda.

Infatti sembrerebbe che i "reali" motivi che avessero spinto i "superiori" di Alice fossero un mix tra queste cose, e forse anche altre che io non vi aggiungo perché le ritengo minimali (ma forse mi sbaglio) o non ne ho in mano le prove provate:

1) la frequentazione (anche se forse era solo virtuale) di Alice con un signore sposato: lei gli voleva bene come (e forse più) di un fratello. Questo era molto mal visto dalla "capa" (credo si chiami Madre Superiora), che però per un verso la spingeva verso l'avere "rapporti con altri coetanei per capire se stava davvero la sua strada giusta era il diventare suora anziché madre e sposa" e dall'altra si scandalizzò quando mia sorella consegnò a mani di una sua amica suora un pacchetto (intonso, mai nemmeno aperto) di preservativi che Alice aveva acquistato in occasione del suo incontro con quest'uomo sposato (e oggi con una figlia, tra l'altro nata pochi mesi dopo la morte di Alice)

2) l'intercessione (malevola e subdola) di nostro padre. Ormai è accertato che mio padre lasciò un "obolo" a mani della Superiora (o della sua Tesoriera) pari a un assegno che dovrebbe essere stato di circa 20mila euroni. E questo per avere, in cambio, un freno a mano costantemente tirato a che non si arrivasse mai al "passo decisivo" (quello "senza ritorno"): un po' come nei "Promessi Sposi" ("quel matrimonio non s'ha da fare", ricordate?); ecco, qui non "s'aveva da fare" che mia sorella Alice diventasse suora

Breve parentesi: e poi ci dicono che hanno poche vocazioni? Azzarola, se chi si sente portato alla vita sacerdotale o monastica la inducono al suicidio o lo rimandano "sine die"... mi sembra una ben grande contraddizione! O mi sto sbagliando io? Chiusa parentesi


Vi sembra tutto assurdo? A me sembrava di sì, ma, crescendo, sto notando che siamo in un mondo che fa rimpiangere la jungla. Qui ci vendiamo i figli, vendiamo i loro sogni, chiudiamo in una scatola ermetica i loro progetti e la loro felicità e buttiamo via la chiave. Sembra che la gioia di qualcuno che ci sta vicino sia per noi una sconfitta, mentre il circondarci di frustrati, delusi e depressi sia un far emergere la nostra forza, la nostra bellezza come uomo o donna di successo, quello/a che non è felice (al pari di chi ci sta vicino) ma almeno ha i soldi, ha il "potere", ha la forza di poter o meno giocare con la vita degli altri....

Quindi, come non capire (anche se non giustificare) il gesto di questo povero ragazzo dell'articolo?

E come non ricordare, a noi stessi, prima che a "loro" (ai "capi" laici e a quelli e quelle ecclesiastiche), che è da falliti cronici affondare chi ci sta vicini per sentirci meno nani. Ed è da vigliacchi all'ennesima potenza fare questo di nascosto, adducendo motivazioni "elevate" (quesi celestiali), rivolte esclusivamente al bene della persona colpita, non certo a meschini giochi di potere e di denaro!

Preghiamo anche per la sua santa anima, amici. Grazie

 

 

Non diventa sacerdote,
giovane diacono suicida:
"Sono fragile, scusatemi"

di Redazione
Luca Seidita si è suicidato lanciandosi dalla Rupe di Orvieto dopo che era arrivato il "no" alla sua ordinazione a sacerdote. La Santa Sede: "Non era maturo per diventare sacerdote". Ma monsignor Scanavino: "Per me era pronto"
Terni - Un giovane diacono si è suicidato lanciandosi dalla Rupe di Orvieto dopo che era arrivato il "no" alla sua ordinazione a sacerdote. Proprio oggi la diocesi orvietana aveva reso noto che la sua ordinazione era stata fermata "per diretto intervento della Santa Sede". "Sono fragile - ha scritto il diacono in una lettera lasciata in camera sua - chiedo perdono".
Il ritrovamento del cadavere Luca Seidita si è lanciato ieri sera, tra le 21,30 e le 22, dalle mura medievali di Orvieto, da un’altezza di 30 metri. A trovare il corpo è stato un passante che portava a spasso il cane. Gli accertamenti sono svolti dai Carabinieri, coordinati dalla procura di Orvieto. Ieri sera il sostituto Flaminio Monteleone si è recato sul posto insieme ad un medico legale e ai vertici locali dell’Arma. I primi accertamenti avrebbero evidenziato sul cadavere lesioni dovute alla caduta ma non segni di violenza di altro tipo. La salma è comunque a disposizione della magistratura, che in giornata deciderà sull’autopsia.
La lettera del diacono In una lettera lasciata nella sua camera nella curia orvietana, il diacono ha spiegato di essersi suicidato per il diniego a diventare sacerdote. La lettera è stata scritta al computer, ma secondo gli inquirenti non ci sono dubbi che l’autore sia stato il diacono. Nessuna incertezza - ha confermato il procuratore - anche sul fatto che Seidita si sia suicidato. "Volevo diventare sacerdote e tutta la mia vita è stata dedicata a questo, ma mi è stato negato", così il diacono ha sintetizzato il motivo che lo ha indotto a togliersi la vita.
Santa Sede: "Non era maturo" Secondo la Santa Sede Seidita "non era maturo" per diventare sacerdote. A rivelarlo è stato il vescovo di Orvieto, monsignor Giovanni Scanavino, parlando di "divergenze di valutazione" con i dicasteri romani. "Per me era pronto a diventare prete", ha sottolineato monsignor Scanavino.

venerdì 3 dicembre 2010

Eccoci in foto

 Ok, lo so che è una foto "datata" (anno scolastico 1998-99) ma "godetevi" me e mia sorella Alice in Quarta Elementare (scuola Primaria).
Avevamo 8 piccolissimi anni (in realtà 7 e mezzo, visto che le foto di classe si fanno in genere a fine anno scolastico, Maggio-Giugno, e noi siamo di Novembre): sì, sì, siamo un anno (e un pezzettino) avanti rispetto agli altri compagni di classe. E' stato il nostro cruccio, sentirci le "più piccole" (quasi sempre "le escluse" dai giochi dei "grandi") e ne abbiamo sempre sofferto (genitori, se potete, evitate di mandare i figli "anni" avanti. Grazie)

Io sono la più "piccolina" (in realtà sono ingobbita), come sempre incazzata, di malumore, una "maschiaccia" pronta a saltare alla gola del primo che mi faceva girare ciò che non avevo (e ancora adesso non ho, tranquillizzatevi)
La mia gemellina Alice è vicina a me, impettita, orgogliosa, carinissima.
Sì, siamo gemelle ma lei è la più carina (anzi è "la" carina delle due)

Alice non sarebbe riuscita a raddoppiare i suoi anni (morirà il 15 Agosto 2006, circa 90 giorni prima di compiere 16 anni), io sto quasi per triplicarli (il 13 novembre 2014 compirò 24 anni).
Lei si faceva un mazzo a studiare, a fare la brava ragazza, a essere ubbidiente e si faceva non in 4 ma in 10 per aiutare tutti.
Io sono stata decisamente egoista, menefreghista e avevo (ho?) l'idea che, PRIMO, devo farmi rispettare dagli altri "costi quello che costi"; poi, semmai, viene il resto....

Ecco, questa sembra l'ingiustizia della vita.
Però io credo che un Dio dolce, buonissimo, che agisce solo per il nostro bene (perché ci ama davvero!) esiste e quindi qualcosa sarà servito toglierci la migliore e lasciarvi la peggiore.
Il casino sta a capirne i motivi...

giovedì 2 dicembre 2010

la cartolina






Da un posto così bello mi scrive, per bacchettarmi (ovvio!), una lettrice.
Copio e incollo ciò che mi scrive, la traduzione è facile e comunque potete averla "facilmente" usando il nostro traduttore (menu in alto a sinistra)


My dear Flavia I met  your blog by chance and I'm reading it for 2 weeks. I really like but I have to tell you a gentle criticism.
Let me get this criticism because I'm old and I could be your mom. Take off photos of  the Giada porn. Now there's you write and those porno photos in a blog are a hurt. Your blog is human, moral and full of intimate reflections. Excuse me. Luna by Shenzhen Portofino



Mia cara signora Luna,
la ringrazio per avermi scritto. Ogni vostro commento mi è utile per migliorarmi.
Peccato che io non posso seguire la sua (gentile) critica: non voglio togliere nulla di nessuno (esclusi gli spam, le bestemmie e gratuiti insulti tra lettori).
E poi a Giada le devo qualcosa: questo blog è nato per suo volere, l'ha difeso con le unghie e con i denti, ha sofferto per portarlo avanti e, per fare questo, ha subìto anche delle ingiustizie da parte di persone a me (sob!) vicine (a proposito, da ieri è tornata a casa mia madre, dopo una luuunga permanenza a Lugano: grande festa Aiazzone!!)
Però le prometto (mi costa poco, l'avevo già deciso da sempre) di non mostrarvi mai su questo blog le mie schif... ehm, nudità.
Le può bastare per non perderla come lettrice "aficionada"? Thanks