giovedì 23 dicembre 2010

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Hi hi hi hi hi...

domenica 12 dicembre 2010

Buona Domenica!

VANGELO
Mt 3,1-12
In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore,raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».



Parlare di fede, amici, è sempre più difficile nel mondo orgoglioso ed autosufficiente di oggi, ma allo stesso tempo mi sembra sempre più urgente e necessario… In una società che ci trasmette continuamente modelli negativi e però appaganti, dove le donne devono essere un po’ facili e gli uomini un minimo mascalzoni per poter emergere ed avere successo, quando l’insoddisfazione - magari anche nascosta all’esterno, sennò ci rimettiamo la faccia… - dilaga nei cuori e ci induce a far passare per eroe un povero cristo, certamente già accolto dall’amore di Cristo, che beato lui è riuscito a liberarsi da questo schifo di vita...è allora che diventa importante scoprire di essere al centro di un rapporto d’Amore, non mordi e fuggi come quelli che vanno di moda, ma radicato nella storia universale, di cui è protagonista un Dio che si svela progressivamente agli occhi delle sue creature fin dai tempi più antichi, prima nel contatto coi progenitori nella fede, poi attraverso le parole dei profeti, ed infine - resistenti come siamo a capirlo davvero… - facendosi uomo come noi e condividendo la nostra esistenza terrena, soffrendo ed amando, insegnando e perdonando, fino a una fine che in realtà non era la fine. Nella seconda lettura di oggi l’apostolo Paolo scrive ai Romani: “in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza”… E questo Avvento, questa attesa del Dio bambino, altro non è che un tempo da destinare a nutrirci seriamente lo Spirito per poi cambiare nei fatti, consentendo così a tutta l’umanità di ravvivare quella speranza che langue!

È un po’ il messaggio del Vangelo di oggi, che ruota attorno alla figura di Giovanni il Battista: è l’ultimo dei profeti, quello che cede il passo al Dio incarnatosi per rivelarsi una volta per tutte, e l’evangelista Matteo, che parla alle comunità ebraiche, si preoccupa di legarlo ai testi dell’Antico Testamento, ricordando che era stato preannunciato dal profeta Isaia… La sua situazione è del tutto simile alla nostra: “voce di uno che grida nel deserto”, ovvero in un ambiente inospitale ed inanimato, assolutamente impossibilitato a mettersi in discussione! Ecco l’immagine del mondo di oggi, dove siamo tutti ripiegati sulle nostre necessità, sui nostri sogni, sui nostri diritti, e sul più bello ci ritroviamo addirittura incapaci di rapportarci con l’altro… Siamo nell’era dei mezzi di comunicazione a distanza, e non sappiamo più aprirci nemmeno al vicino, trincerati come siamo nel nostro solitario orticello. Ebbene, Giovanni ci dice: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”! Non è certo un invito ad aderire al tempio e ad una religione fatta di pratiche esteriori, ma semmai una più profonda esortazione a convertirsi al Regno d’amore che il Signore ciclicamente ripropone agli uomini nella storia. Gesù stesso, poi, lo confermerà: “C'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa” (Mt. XII, 6-7)… Giovanni non è un povero complessato che si presta ad inutili sceneggiate di privazione (la veste di peli ed il cibarsi di quanto era a disposizione sul posto era la norma per tutti i beduini del deserto!), ma chiaramente promuove la sobrietà e l’essenzialità a fronte di certa penosa e scandalosa opulenza (di ieri e di oggi), e questo suo invito così brusco, eppure così profondamente sentito e concreto negli obiettivi, sa arrivare al cuore di tutti gli uomini pensanti, a tal punto che “Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui”! La proposta era piuttosto semplice, ma significativa: “si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati”, cioè si liberavano dagli egoismi dell’uomo vecchio che era in loro per rinascere alla vita del Regno, scegliendo di cooperare per realizzarlo già qui in terra… Il peccato non è un’ulteriore occasione per far sorgere sensi di colpa e dunque incancrenirsi ancor più nell’immobilismo, ma diventa strumento formativo per imparare a praticare l’amore del Padre: se il Signore è misericordia, e non è altro che questo (cfr. ancora, sopra, Mt. XII, 6-7, che male non fa…), sarò più capace di amare chi sbaglia, anziché impallinarlo come un tordo, nella misura in cui sarò consapevole dell’ampiezza dei miei limiti! Non a caso Pietro diventerà Papa dopo aver rinnegato il Signore ed averci pianto sopra (“Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E, uscito, pianse amaramente” – Lc. XXII, 61-62)… Misurarsi col proprio limite aiuta ad essere davvero misericordiosi con tutti, e questo è il minimo sindacale per potersi dire cristiani. Senza, semplicemente, non lo si è!

Fra quelli che accorrevano al battesimo, c’erano anche molti farisei e sadducei, ovvero i sedicenti puri della fede e l’eccellenza della classe sacerdotale, quelli che vivono di preghiere e devozioni e credono per questa ragione di essersi meritati una qualche ricompensa dall’Alto… Le parole che rivolge loro il Battista sono durissime: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente?”. Quanto è attuale questa esortazione, per la quasi totalità di noi bravi cattolici praticanti, io per primo! Riusciremo un giorno a capire che non è attraverso riti, o medagliette, o radio più o meno pagane che scippano nomi cristiani, o formule trite e ritrite che ripetiamo “in modo che da lassù ci aiutino un po’ di più”, che salveremo il mondo, né - tantomeno - noi stessi? Vorremo finalmente lasciare che la Parola di Dio ci riempia il cuore per cambiarci davvero, comprendendo una buona volta ciò che è essenziale e ciò che è del tutto irrilevante o, peggio, ridicolo? “Fate dunque un frutto degno della conversione”, altro che comode pratiche formali non immediatamente tradotte in fatti… Sennò siamo falsi, ipocriti e velenosi come delle vipere! Giovanni è un grande della fede perché è conscio del suo essere “servo inutile” del Signore (“Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali”), ma anche lui (e a maggior ragione tutti noi) non si è ancora sintonizzato col vero volto di Dio. Colui che viene dopo è Gesù, ed il Battista lo dipinge come uno che protegge chi lo accoglie (“raccoglierà il suo frumento nel granaio”) e distrugge chi lo rifiuta (“brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”), che “battezzerà in Spirito Santo” (i buoni) “e fuoco” (i cattivi)… Il Signore, invece, citando questa espressione, non parlerà più di fuoco per punire, ma soltanto di quello Spirito d’amore che promana da Dio e ci fa vivere in pienezza già qui in terra (“Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni” – At. I, 5)! Gesù proporrà a tutti quanti, puri ed impuri, credenti e non credenti, un Amore divino che non va meritato, ma solamente accolto… E sarà proprio questo a mettere in crisi il Battista, che dovrà faticare (perfino lui…figuriamoci noi!) per comprendere il volto del Dio di misericordia, come vedremo domenica prossima.

Chiediamo al Signore che nessun credente possa mai essere completamente assuefatto ad un’idea di fede fatta di riti e devozioni, magari contornati da un pizzico di superstizione… Perché davvero tutti, ciascuno secondo le proprie forze, ci impegniamo a fare frutti degni della conversione al Dio di Gesù, che - come ho già detto più volte, e ripeterò fino alla nausea- non può essere onorato in alcun modo diverso dall’amore per i fratelli!

Buona settimana a tutti,
Matteo



Basta guardare un notiziario per cadere in depressione: la lotta politica intestina è al calor bianco, la crisi economica stenta a risolversi, le diplomazie internazionali fanno i conti con le proprie brutte figuracce.
Ci fosse un Battista da qualche parte, e ce ne sono, tutti accorrerebbero per sentirsi proporre una via d’uscita, un cammino che porti fuori dal tunnel, che ci ridia speranza.
In settimana è uscito il libro intervista di Papa Benedetto, un’intervista densa, meditata, piena di forza. Lo sto leggendo con attenzione, avverto una serenata speranza in questo papa ottuagenario che ha preso il timone della barca in piena tempesta.
Timido successore di Pietro, nonno incanutito che vuole mandare un messaggio di speranza alla Chiesa spaesata! Come Isaia, come Paolo, come Giovanni il folle di Dio.
Attese
Ci prepariamo al Natale 2010 per essere presi, non lasciati.
Presi dalla sconcertante notizia di un Dio che si fa uomo, di un Dio che rischia tutto diventando un bambino fragile e inerme.
Molti cristiani pensano di essere tali semplicemente perché credono nella venuta nella storia del Signore Gesù; ma non c’è bisogno di essere cristiani per crederlo! Siamo cristiani se desideriamo, nella semplicità e nella povertà del desiderio, che Cristo nasca nei nostri cuori.
Animo, cercatori di Dio, ammaliati da Cristo, affascinati dalla sua Parola, animo!
Uomini e donne ci annunciano la venuta di Cristo nella gloria, mentre a noi è dato di accoglierlo nella storia personale di ciascuno.
Isaia, immenso profeta, sogna un mondo in cui il Messia riporta l’armonia che abbiamo perso per strada. Paolo, alla fine del suo percorso di annunciatore, scrive ai cristiani di Roma invitandoli a tenere viva la speranza a partire dalla consolazione che ci deriva dall’ascolto delle Scritture, scritte apposta per noi.
Certo: la Storia grande è al di sopra e al di là della nostra capacità di comprensione. Ma nel cammino verso la totalità, la Parola e la Profezia ci aiutano a conservare la speranza, nell’attesa che venga il Signore della gloria.
Il grande Battista
Maria la bella, la ragazzina quattordicenne di Nazareth ci insegnerà, in settimana, a dimorare nella fede, giorno per giorno. Maria ci suggerisce di essere pronti, perché Dio viene quando meno te lo aspetti, anche nel nascondimento di un buco di paese come Nazareth.
Oggi Giovanni il folle ci scuote con parole che schiaffeggiano, invece di accarezzare.
Il Battista, con la sua vita, proclama il primato di Dio sulla Storia, richiama tutti ad uscire da una visione stereotipata e immobilista della fede per incontrare l’inaudito di Dio.
Persone ragguardevoli e devote come i farisei sono duramente criticate perché la loro grande fede è rovinata da un ritualismo e da un moralismo esasperato. Giovanni li scuote: non basta fare gesti (audaci) come ricevere il Battesimo per convertirsi, occorre cambiare vista, prospettiva, pensiero, abitudine. È un monito indirizzato a chi, tra noi, è già discepolo: siamo chiamati a interrogarci continuamente sul rischio dell’abitudine alla fede.
Anche la più autentica devozione rischia di sconfinare nell’esteriorità, svuotando la fede dall’incontro con Dio.
Oggettivamente iellato
Giovanni è l’ultimo e il più sfortunato dei profeti: minaccia vendetta e castighi divini, sul modello dei grandi Profeti del passato. Ma i tempi sono cambiati: le persone non si convertono con le minacce o i sensi di colpa, Dio decide diversamente. Giovanni minaccia incendi e roghi, e invece arriverà Gesù a svelare che, invece, Dio non punisce ma ama e perdona e il Messia non spegne la fiammella tremante e non spezza la canna incrinata!
Il volto di Dio che Gesù svela nel Natale è così inaudito e inatteso che Giovanni stesso stenterà a riconoscerlo, così inatteso che il più grande uomo di tutti i tempi dovrà ancora convertirsi, alla fine della propria vita vissuta nell’austerità e nella penitenza.
Profezie
Abbiamo bisogno di profeti, e numerosi profeti ancora abitano le nostre grigie città.
Persone all’apparenza normali e che, pure, sanno parlare in nome di Dio, sanno leggere il presente alla luce della fede. Perché il profeta non predice il futuro (quello è l’indovino!) ma ci aiuta a capire il presente. E Dio solo sa di quanti profeti necessitiamo per riuscire a discernere un percorso di fede nella faticosa vita quotidiana!
Il Dio che il Battista annuncia, il Dio che aspettiamo è il Dio che brucia dentro, che spazza via con forza i timori, un Dio forte e impetuoso! Un fuoco che divampa bruciando le lentezze, divorando ogni obiezione, ogni tenebra, ogni paura. Giovanni ammonisce: non basta rifugiarsi dietro alla tradizione (“abbiamo Abramo come padre!”) o in una fede esteriore, di facciata, di coscienza tiepida (“fate frutti degni di conversione”). Colui che viene chiede reale cambiamento, scelta di vita, schieramento.
Dio - diventando uomo - separa la luce dalle tenebre, obbliga ad accoglierlo.
O a rifiutarlo.
Finché Dio è sulle nuvole, divinità scostante da invocare per chiedere un miracolo o da insultare perché il miracolo non è avvenuto, è un conto. Ma qui parliamo di un Dio neonato!
Un Dio indifeso che frantuma le nostre teorie approssimative sulla natura divina, un Dio mite e fragile, che chiede ospitalità e non vana devozione.
Siamo invitati a riconoscere i profeti intorno a noi, siamo chiamati a diventare profeti.
Non c’è bisogno di vestire pelli di cammello, tranquilli, ma di essere trasparenza di Dio, lasciare che il fuoco che Gesù è venuto ad accendere divampi nell’oscurità della nostra vita e dia luce a chi incontreremo in questa settimana.
Non servono crocifissi al collo o padrepii sui cruscotti per diventare profeti, è sufficiente portare un’unica notizia, che è quella che Matteo mette in bocca al Battista: “Accorgiti che il Regno si è fatto vicino”. Diciamolo a tutti, amici, Dio si è avvicinato, è incontrabile, conoscibile, presente, evidente.
Grande
Grande Giovanni, amico dello sposo, che ci scuoti dalle nostre tiepidezze, che sbricioli le nostre fragili verità, che ridicolizzi le nostre assonnate parole, che giudichi le nostre svuotate celebrazioni!
Animo, fratelli, questo è davvero il tempo di preparare la strada al Signore che viene, questo è davvero il tempo di schierarsi, di accogliere questo Dio sempre inatteso, sempre diverso.
(Don Paolo CURTAZ)

domenica 5 dicembre 2010

Buona Domenica!

Mt 24,37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».


Con questa domenica si inaugura il tempo di Avvento: ben quattro settimane di preparazione spirituale e discernimento interiore, di profonda riflessione su noi stessi e sul significato della fede nella nostra esistenza, ancora una volta – l’ennesima, nella vita di ciascuno di noi! – in attesa di questo Messia apparentemente aspettato da tutti, e che tant’è non riesce a convincerci del tutto… Troppo diverso dal dio che abbiamo in testa! Informale e diretto, bisognoso di amicizia ed affetti, capace di soffrire le stesse pene degli uomini (ricordate domenica scorsa, crocifisso accanto al ladrone?) ma ciò che è peggio incapace di reagire per evitarsele (e possibilmente evitarcele…), portatore di misericordia anche e soprattutto fra i peccatori e totalmente disinteressato ai sacrifici ed alle pratiche esteriori, desideroso di incontrarsi coi (presunti) impuri piuttosto che coi falsissimi bigotti e perbenisti di ogni epoca… E noi che immaginavamo un castigatore irremovibile, che ci premiasse per le nostre stanche devozioni e finalmente desse voce al desiderio di vendetta ed autocelebrazione che coviamo nell’intimo, vorremo accoglierlo per quello che è, anche al costo di cambiare noi stessi? Sapremo tenerci ben lontani dall’altare che frequentiamo, se non ci saremo prima riconciliati col fratello contro cui abbiamo qualcosa (Mt. V, 24)? Impareremo che non si è cristiani, ma pagani, pregando a forza di parole, trite e ritrite (Mt. VI, 7)? Capiremo, finalmente, che l’unico elemento distintivo del discepolo è l’amore vicendevole senza eccezioni, come quello di Gesù (Gv. XIII, 35)? Alla mia ventottesima occasione di ripetere il percorso natalizio, prego il Signore di riuscire a compiere un qualche passo di effettiva conversione… E, se siete d’accordo, lo chiedo anche per voi!

In questo tempo di Natale, ma poi anche lungo tutto il corso del nuovo anno liturgico, leggeremo il Vangelo di Matteo, che è stato scritto per parlare alle comunità di matrice ebraica e dunque porta continui riferimenti all’Antico Testamento… Il brano di oggi, che contiene alcune delle ultime parole pronunciate da Gesù prima della fine, richiama il noto episodio del diluvio universale, raccontato nei capitoli 6, 7 e 8 della Genesi. Non c’è il tempo di soffermarci troppo su questo argomento, ma è importante sottolineare che già il Dio del Pentateuco si rivela per quello che sarà poi manifestato in Cristo: un Pastore che si addolora in cuor suo per la malvagità degli uomini (Gen. VI, 5-6) e che tuttavia sa rallegrarsi anche per un solo giusto che cammina con lui, come Noè (Gen. VI, 8-9), tanto da stabilirvi un’alleanza (Gen. VI, 18); un Signore che lava con l’acqua del cielo un’umanità in cui “ogni uomo aveva pervertito la sua condotta” alla violenza (Gen. VI, 12), rinnovando menti e cuori in vista del Regno di giustizia e di pace (ricordate il ramoscello d’ulivo nel becco della colomba inviata in avanscoperta, Gen. VIII, 11?) per il quale ciascuno di noi deve fattivamente collaborare (Gen. VIII, 17)! Ebbene sì, amici… Niente catastrofismi, e nessun castigo divino. Solo una grandiosa immagine di riscatto universale, una salvezza planetaria che proviene dall’Alto, e che mette già al centro l’amore incondizionato del prossimo quale unico modo serio per rendere onore a Dio (“Soltanto domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”, Gen. IX, 4-5)!

Nel Vangelo di oggi, la salvezza offerta da Noè con l’arca viene accostata alla salvezza propostaci da Gesù attraverso il Regno. È proprio vero, siamo tutti figli della nostra società, scalpitante ed isterica, tanto che non riusciamo a distoglierci dalla nostra routine quotidiana, che può diventare una forma di vera e propria schiavitù… Il Signore non fa riferimento al bere, al mangiare ed allo sposarsi con intento di condanna o comunque di censura, come certo becero moralismo oggi dilagante potrebbe farci pensare: si tratta, più semplicemente e meno maliziosamente, delle normali vicende della vita, che se diventano assoluti e ci riempiono l’esistenza rischiano di farci sfuggire quanto di importante sta per accadere! Così come l’arca di Noè non ha accolto tutti, ma soltanto coloro che si erano accorti del disastro incombente, così il Regno di Dio, pur essendo per tutti, diverrà solo di coloro che raccolgono sul serio lo Spirito d’amore di Gesù. Ecco perché, alla venuta del Figlio dell’uomo, ci sarà una duplice sorte, chi sarà “portato via” per la salvezza eterna e chi sarà “lasciato”… Perché ci sarà chi si sarà messo davvero in gioco per il più piccolo, per il più povero, per il più scartato, ed allora si sentirà dire “vieni, benedetto del Padre” (cfr. Mt. XXV, 34-40), ma ci sarà anche chi, magari assiduo praticante o addirittura porporato, non avrà saputo riconoscere Dio nel volto del fratello, ed anzi avrà pensato di poterlo onorare prescindendo dal prossimo, ed allora si sentirà dire “via, lontano da me, maledetto” (cfr. Mt. XXV, 41-46)! È questo, amici, l’unico metro di valutazione del Padre: l’Amore non può che giudicare sull’amore che siamo stati capaci di riversare sugli altri (cfr. Lc. VII, 47), grazie al fatto di essere animati dal suo Spirito. A noi dunque il compito di vegliare sempre, di tenerci pronti, perché non sappiamo quando il Signore verrà: se la scaltrezza è tipica del titolare di beni terreni (“I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”, Lc. XVI, 8), che ragiona solo in termini di denaro e si guarda bene dal farsi trovare addormentato all’arrivo del ladro per non farsi svaligiare la casa, ancor più il discepolo, che deve lasciare anche il mantello a chi gli vuol portar via la tunica (Mt. V, 40), dovrà stare attento a cogliere l’essenza del messaggio di Gesù (“C'è qualcosa più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa”, Mt. XII, 6-7), per non farsi scippare la salvezza perdendo tempo dietro inutili formalismi!

All’inizio di un tempo forte come l’Avvento, chiediamo al Signore questa chiarezza di comprendere ciò che è centrale e ciò che è periferico nella nostra vita di fede… Perché nessuno pensi di poter essere discepolo transitando dal tempio senza essere animato da una misericordia senza confini, magari davvero sentita e non solo recitata, unica prescrizione (“voglio”) effettivamente lasciata ai suoi da Gesù! Perché nessuno possa insuperbirsi a tal punto da sentirsi senza peccato e dunque poter scagliare pietre di condanna su chicchessia (cfr. Gv. VIII, 7), ma perché l’attesa del Dio bambino, che sorride anzitutto ai pastori emarginati di Betlemme, possa scalfire sul serio il nostro cuore di pietra, in modo da poter accogliere il Salvatore non da grotteschi commedianti come al solito (io per primo)!

Buon cammino d’Avvento a tutti,
Matteo


È che Dio arriva quando meno te lo aspetti.
Magari lo cerchi tutta la vita, o credi di cercarlo, o sei convinto di averlo trovato e quindi dormi sugli allori e, intanto, la vita ti passa addosso.
Oppure proprio non ci pensi, travolto come sei dalle cose da fare, dal mutuo da pagare, disperatamente galleggiando in questo sfilacciato tramonto di civiltà che stiamo vivendo.
È che Dio è evidente e misterioso, accessibile e nascosto, già e non ancora.
E la nostra vita passa, con i suoi desideri e le sue delusioni, le sue scoperte e le sue pause, le sue paure e le sue ironie, i suoi entusiasmi e i suoi fallimenti. Passa e fatichiamo a tenerla ferma in un punto, un punto qualsiasi, attorno a cui far girare tutto il resto.
È che intorno tutti gufano, ma tanto. E anche ad essere ottimisti e a voler sempre vedere il mezzo bicchiere pieno c’è da vivere in ansia perenne: l’instabilità politica è alle stelle, forse l’Europa fallisce dopo tutti i bei sogni di unità, alcuni di voi (anch’io!) si ritrovano senza un lavoro, tutti, intorno, sembrano cani rabbiosi che scattano appena li sfiori.
Insomma: per tutte queste ragioni abbiamo assoluto bisogno di fermarci, almeno qualche minuto, di guardare dove stiamo andando, di trovare un filo a cui appendere, come dei panni, tutte le nostre vicende.
Oggi inizia l’avvento, finalmente.
Pubblica confessioneSono quattro settimane che ci preparano al Natale, un’arca si salvezza che ci viene data per ritagliarci uno spazio di consapevolezza. Un mese per preparare una culla per Dio, fosse anche in una stalla. Non siamo qui a far finta che poi Gesù nasce: è già nato nella storia, tornerà nella gloria. Ma ora chiede di nascere in me.
Io voglio prepararmi, ho bisogno di capire come posso trovare il Dio diventato accessibile, fatto volto, divenuto incontrabile. Voglio poterlo vedere questo Dio consegnato, arreso, palese, nascosto in mezzo agli sguardi e ai volti di tanti neonati.
Sono poche quattro settimane, lo so. Ma voglio provarci ancora.
Perché possiamo celebrare cento natali senza che mai una volta Dio nasca nei nostri cuori.
Come dice splendidamente Bonhoeffer: «Nessuno possiede Dio in modo tale da non doverlo più attendere. Eppure non può attendere Dio chi non sapesse che Dio ha già atteso lungamente lui.»
Uno preso, uno lasciato
Iniziamo a leggere Matteo, da oggi. Il pubblicano divenuto discepolo, colui che si è fatto bene i conti in tasca, ci accompagna e ci incoraggia sull’impervia strada della conversione.
Il brano del Vangelo è faticoso e ostico e rischia di essere letto in chiave grottesca.
Gesù, al solito, è straordinario: cita gli eventi simbolici di Noè, dice che intorno a lui c’era un sacco di brava gente che venne travolta dal diluvio senza neppure accorgersene. Perciò ci invita a vegliare, a stare desti, proprio come fa Paolo scrivendo ai Romani.
E Gesù avverte: uno è preso, l’altro lasciato.
Uno incontra Dio, l’altro no.
Uno è riempito, l’altro non si fa trovare.
Dio è discreto, modesto, quasi timido, non impone la sua presenza, come la brezza della sera è la sua venuta. A noi è chiesto di spalancare il cuore, di aprire gli occhi, di lasciar emergere il desiderio.
Come? Non lo so, amici. Io cerco di farlo ritagliandomi uno spazio quotidiano alla preghiera, per meditare la Parola. Alcuni tra voi riescono a prendersi una domenica pomeriggio per fare un paio d’ore di silenzio e di preghiera, altri fanno una piccola deviazione andando al lavoro per entrare in una chiesa. Se vissuti bene, aiutano anche i simboli del Natale cristiano: preparare un presepe, addobbare un albero, partecipare alla novena. Facciamo qualcosa, una piccola cosa, per chiederci se Cristo è nato in noi, per non lasciarci travolgere dal diluvio di parole e cose che ognuno vive.
Ma, ad aggravare la nostra situazione, non dobbiamo solo combattere contro la dimenticanza.
Ci tocca pure combattere contro il finto natale.
VendesiNon capisco perché una festa splendida, la festa che celebra la notizia dell’inaudito di Dio che irrompe nel mondo, sia stata travolta dalla melassa del buonismo natalizio.
È un dramma, il Natale, è la storia di un Dio presente e di un uomo assente.
Non c’è proprio nulla da festeggiare, non abbiamo fatto una gran bella figura, la prima volta.
Natale è un pugno nello stomaco, una provocazione, un evento che obbliga a schierarsi.
Natale è l’arrendevolezza di Dio che ci obbliga a conversione.
Quindi: viva i regali, viva la festa. Ma che sia autentico ciò che facciamo, che sia presente il festeggiato, Dio, alle nostre ipercaloriche cene, che i bimbi capiscano che è il suo compleanno, e a noi fanno i regali.
SvendesiIn questi anni ho visto con sgomento che il Natale, per i poveri veri, per chi ha subito un abbandono, un trauma, un lutto, è diventato una festa odiosa e insostenibile.
Di fronte alle immagini stereotipate della famiglia felice intorno all’albero e armonia e canti di angeli che ci propinano i media, chi, invece, vive affettività fragili e solitudini, è travolto da un insostenibile dolore.
E questo mi fa impazzire di rabbia.
Il Dio dei poveri, il Dio che viene per i pastori, emarginati del tempo, il Dio che non nasce nel Tempio di Gerusalemme, ma nella grotta di Betlemme, viene sostituto dal dio piccino del nostro ipocrita buonismo. Se i nonni soli, se le persone abbandonate, se i feriti dalla vita non hanno un sussulto di speranza nella notte di Natale, significa che il nostro annuncio è ambiguo, travolto e sostituito da un inutile messaggio di generica pace.
Esagero? Voglia Dio che sia così.
Tra quattro settimane celebreremo il Natale.
Non giochiamo a far finta che poi Gesù nasce, Gesù è già nato, morto e risorto, vive accanto a me.
Il problema è, semmai, se io sono nato.
(Don Paolo CURTAZ)

sabato 4 dicembre 2010

Siamo uomini (e donne) o caporali?

  Prendo spunto dall'articolo seguente per porre l'attenzione su una cosa davvero dolente: quando i superiori (come tra i laici anche all'interno della Chiesa c'è una lunghissima gerarchia, quasi militare) non sono attenti ai risvolti psicologici dei propri "sottoposti" o, ed è anche peggio, non conoscono quasi nulla di loro, dei loro problemi familiari, personali, le loro aspettative, i loro sogni ecc... fanno sempre e sicuramente dei danni, a volte anche irreversibili.

Ciò che è accaduto al diacono dell'articolo che leggerete (è una notizia di questi giorni, forse ne sapete più voi di me, sicuro) poteva accadere anche ad Alice: anche a lei hanno spostato di ben 6 mesi, prima, e dopo di altri 6 mesi, un importantissimo (per la Chiesa e per lei) momento (non ricordo se era la "vestizione" o una roba simile). Per Alice era una tappa fondamentale, era il poter finalmente diventare la "Fidanzata di Gesù" se non proprio la Sua sposa.

Alice visse questi intoppi in modo strano per il suo carattere (ma era già prossima alla morte e quindi, presumibilmente, aveva già altre sue difficoltà, diciamo più impellenti, più urgenti e sicuramente più pressanti e dolorose): interiorizzò il tutto, scrivendo solamente a se stessa (poesie, preghiere e sul suo diario segreto), per poi rimandare il confronto con gli altri (suoi amici, e parenti stretti) solo dopo le vacanze estive: aveva già appuntato a chi parlarne e cosa dire loro. 

Forse voleva essere certa che il rinvio fosse ufficializzato? O voleva sapere bene il motivo "reale" di questi schiaffoni (i motivi "ufficiali" erano: poca maturità per quel rito, prima; e poi il giungere a finire il Liceo, per il secondo rinvio)

La realtà sembra (alla luce dei fatti e delle cose che si sono sapute dopo) ancora più assurda.

Infatti sembrerebbe che i "reali" motivi che avessero spinto i "superiori" di Alice fossero un mix tra queste cose, e forse anche altre che io non vi aggiungo perché le ritengo minimali (ma forse mi sbaglio) o non ne ho in mano le prove provate:

1) la frequentazione (anche se forse era solo virtuale) di Alice con un signore sposato: lei gli voleva bene come (e forse più) di un fratello. Questo era molto mal visto dalla "capa" (credo si chiami Madre Superiora), che però per un verso la spingeva verso l'avere "rapporti con altri coetanei per capire se stava davvero la sua strada giusta era il diventare suora anziché madre e sposa" e dall'altra si scandalizzò quando mia sorella consegnò a mani di una sua amica suora un pacchetto (intonso, mai nemmeno aperto) di preservativi che Alice aveva acquistato in occasione del suo incontro con quest'uomo sposato (e oggi con una figlia, tra l'altro nata pochi mesi dopo la morte di Alice)

2) l'intercessione (malevola e subdola) di nostro padre. Ormai è accertato che mio padre lasciò un "obolo" a mani della Superiora (o della sua Tesoriera) pari a un assegno che dovrebbe essere stato di circa 20mila euroni. E questo per avere, in cambio, un freno a mano costantemente tirato a che non si arrivasse mai al "passo decisivo" (quello "senza ritorno"): un po' come nei "Promessi Sposi" ("quel matrimonio non s'ha da fare", ricordate?); ecco, qui non "s'aveva da fare" che mia sorella Alice diventasse suora

Breve parentesi: e poi ci dicono che hanno poche vocazioni? Azzarola, se chi si sente portato alla vita sacerdotale o monastica la inducono al suicidio o lo rimandano "sine die"... mi sembra una ben grande contraddizione! O mi sto sbagliando io? Chiusa parentesi


Vi sembra tutto assurdo? A me sembrava di sì, ma, crescendo, sto notando che siamo in un mondo che fa rimpiangere la jungla. Qui ci vendiamo i figli, vendiamo i loro sogni, chiudiamo in una scatola ermetica i loro progetti e la loro felicità e buttiamo via la chiave. Sembra che la gioia di qualcuno che ci sta vicino sia per noi una sconfitta, mentre il circondarci di frustrati, delusi e depressi sia un far emergere la nostra forza, la nostra bellezza come uomo o donna di successo, quello/a che non è felice (al pari di chi ci sta vicino) ma almeno ha i soldi, ha il "potere", ha la forza di poter o meno giocare con la vita degli altri....

Quindi, come non capire (anche se non giustificare) il gesto di questo povero ragazzo dell'articolo?

E come non ricordare, a noi stessi, prima che a "loro" (ai "capi" laici e a quelli e quelle ecclesiastiche), che è da falliti cronici affondare chi ci sta vicini per sentirci meno nani. Ed è da vigliacchi all'ennesima potenza fare questo di nascosto, adducendo motivazioni "elevate" (quesi celestiali), rivolte esclusivamente al bene della persona colpita, non certo a meschini giochi di potere e di denaro!

Preghiamo anche per la sua santa anima, amici. Grazie

 

 

Non diventa sacerdote,
giovane diacono suicida:
"Sono fragile, scusatemi"

di Redazione
Luca Seidita si è suicidato lanciandosi dalla Rupe di Orvieto dopo che era arrivato il "no" alla sua ordinazione a sacerdote. La Santa Sede: "Non era maturo per diventare sacerdote". Ma monsignor Scanavino: "Per me era pronto"
Terni - Un giovane diacono si è suicidato lanciandosi dalla Rupe di Orvieto dopo che era arrivato il "no" alla sua ordinazione a sacerdote. Proprio oggi la diocesi orvietana aveva reso noto che la sua ordinazione era stata fermata "per diretto intervento della Santa Sede". "Sono fragile - ha scritto il diacono in una lettera lasciata in camera sua - chiedo perdono".
Il ritrovamento del cadavere Luca Seidita si è lanciato ieri sera, tra le 21,30 e le 22, dalle mura medievali di Orvieto, da un’altezza di 30 metri. A trovare il corpo è stato un passante che portava a spasso il cane. Gli accertamenti sono svolti dai Carabinieri, coordinati dalla procura di Orvieto. Ieri sera il sostituto Flaminio Monteleone si è recato sul posto insieme ad un medico legale e ai vertici locali dell’Arma. I primi accertamenti avrebbero evidenziato sul cadavere lesioni dovute alla caduta ma non segni di violenza di altro tipo. La salma è comunque a disposizione della magistratura, che in giornata deciderà sull’autopsia.
La lettera del diacono In una lettera lasciata nella sua camera nella curia orvietana, il diacono ha spiegato di essersi suicidato per il diniego a diventare sacerdote. La lettera è stata scritta al computer, ma secondo gli inquirenti non ci sono dubbi che l’autore sia stato il diacono. Nessuna incertezza - ha confermato il procuratore - anche sul fatto che Seidita si sia suicidato. "Volevo diventare sacerdote e tutta la mia vita è stata dedicata a questo, ma mi è stato negato", così il diacono ha sintetizzato il motivo che lo ha indotto a togliersi la vita.
Santa Sede: "Non era maturo" Secondo la Santa Sede Seidita "non era maturo" per diventare sacerdote. A rivelarlo è stato il vescovo di Orvieto, monsignor Giovanni Scanavino, parlando di "divergenze di valutazione" con i dicasteri romani. "Per me era pronto a diventare prete", ha sottolineato monsignor Scanavino.

venerdì 3 dicembre 2010

Eccoci in foto

 Ok, lo so che è una foto "datata" (anno scolastico 1998-99) ma "godetevi" me e mia sorella Alice in Quarta Elementare (scuola Primaria).
Avevamo 8 piccolissimi anni (in realtà 7 e mezzo, visto che le foto di classe si fanno in genere a fine anno scolastico, Maggio-Giugno, e noi siamo di Novembre): sì, sì, siamo un anno (e un pezzettino) avanti rispetto agli altri compagni di classe. E' stato il nostro cruccio, sentirci le "più piccole" (quasi sempre "le escluse" dai giochi dei "grandi") e ne abbiamo sempre sofferto (genitori, se potete, evitate di mandare i figli "anni" avanti. Grazie)

Io sono la più "piccolina" (in realtà sono ingobbita), come sempre incazzata, di malumore, una "maschiaccia" pronta a saltare alla gola del primo che mi faceva girare ciò che non avevo (e ancora adesso non ho, tranquillizzatevi)
La mia gemellina Alice è vicina a me, impettita, orgogliosa, carinissima.
Sì, siamo gemelle ma lei è la più carina (anzi è "la" carina delle due)

Alice non sarebbe riuscita a raddoppiare i suoi anni (morirà il 15 Agosto 2006, circa 90 giorni prima di compiere 16 anni), io sto quasi per triplicarli (il 13 novembre 2014 compirò 24 anni).
Lei si faceva un mazzo a studiare, a fare la brava ragazza, a essere ubbidiente e si faceva non in 4 ma in 10 per aiutare tutti.
Io sono stata decisamente egoista, menefreghista e avevo (ho?) l'idea che, PRIMO, devo farmi rispettare dagli altri "costi quello che costi"; poi, semmai, viene il resto....

Ecco, questa sembra l'ingiustizia della vita.
Però io credo che un Dio dolce, buonissimo, che agisce solo per il nostro bene (perché ci ama davvero!) esiste e quindi qualcosa sarà servito toglierci la migliore e lasciarvi la peggiore.
Il casino sta a capirne i motivi...

giovedì 2 dicembre 2010

la cartolina






Da un posto così bello mi scrive, per bacchettarmi (ovvio!), una lettrice.
Copio e incollo ciò che mi scrive, la traduzione è facile e comunque potete averla "facilmente" usando il nostro traduttore (menu in alto a sinistra)


My dear Flavia I met  your blog by chance and I'm reading it for 2 weeks. I really like but I have to tell you a gentle criticism.
Let me get this criticism because I'm old and I could be your mom. Take off photos of  the Giada porn. Now there's you write and those porno photos in a blog are a hurt. Your blog is human, moral and full of intimate reflections. Excuse me. Luna by Shenzhen Portofino



Mia cara signora Luna,
la ringrazio per avermi scritto. Ogni vostro commento mi è utile per migliorarmi.
Peccato che io non posso seguire la sua (gentile) critica: non voglio togliere nulla di nessuno (esclusi gli spam, le bestemmie e gratuiti insulti tra lettori).
E poi a Giada le devo qualcosa: questo blog è nato per suo volere, l'ha difeso con le unghie e con i denti, ha sofferto per portarlo avanti e, per fare questo, ha subìto anche delle ingiustizie da parte di persone a me (sob!) vicine (a proposito, da ieri è tornata a casa mia madre, dopo una luuunga permanenza a Lugano: grande festa Aiazzone!!)
Però le prometto (mi costa poco, l'avevo già deciso da sempre) di non mostrarvi mai su questo blog le mie schif... ehm, nudità.
Le può bastare per non perderla come lettrice "aficionada"? Thanks

martedì 30 novembre 2010

Macché 11 settembre, è il 1° aprile della diplomazia

di Marcello Veneziani

E venne il giorno del Giudizio Universale, il mondo fu giudicato da un dio imbecille. Un mondo guidato da cretini e presieduto dal principe dei cretini: non ho altre parole per riassumere il senso della bufala cosmica delle rivelazioni di Wikileaks. Scusate ma non capisco l’allarme mondiale. Frattini dice che è stato l’11 settembre della diplomazia mondiale, a me è parso il Primo Aprile. Certo, un furbo circondato da furbetti ci ha guadagnato. Ma vi rendete conto di quale Cazzata Planetaria ci stiamo occupando? Sono giudizi sommari e stupidi espressi da qualche funzionario che deve redigere le sue note informative per la Casa Bianca e copia dai giornali e dalle tv; mica sono le pagelle del Signore sulle convocazioni in paradiso e sulle dannazioni all’inferno.
Riflettete un attimo, per favore, su quei rapporti. E ripassate in rassegna quei giudizi, la fonte e il tenore. Nella migliore delle ipotesi sono aria fritta, cose risapute, traduzioni in forma di gossip di giudizi che già s’intuivano. Nella peggiore sono chiacchiere da saloon, tra un whisky e l’altro, che sembrano ispirate più dalla lavandaia - con tutto il rispetto per le lavandaie - piuttosto che dalla diplomazia più importante del mondo. Se questa è la diplomazia americana, allora Dagospia for president, via Obama dalla Casa Bianca e dentro Roberto D’Agostino che almeno è spiritoso e non pretende con i suoi giudizi di guidare la superpotenza mondiale. Ma che senso ha riferire in mondovisione giudizi scemi su Putin macho e capobranco, la Merkel di scarsa fantasia, Sarkozy l’imperatore nudo e autoritario, Ahmadinejad il nuovo Hitler pazzo, Gheddafi un ipocondriaco che si è fatto il botulino ed ha un’amante ucraina, Karzai il paranoico, Kim Jong Il, leader della Corea del Nord, un vecchio ciccione con l’ictus...
A proposito di ciccioni, una obesa signora americana, come purtroppo ce ne sono tanti negli States, Elizabeth Dibble, trincia un giudizio su Berlusconi dandogli dell’incapace e del vanitoso, e poi riferisce di feste selvagge, probabilmente traducendo alla lettera e senza un filo d’ironia il mitico bunga bunga. Ma i festini dei Kennedy e di Clinton erano da prima comunione? I giudizi della signora in sovrappeso (disturbi ormonali e ghiandolari?, dovremmo chiederci stando ai criteri usati per redigere questi compitini) sembrano solo il frutto di una sommaria lettura dei titoli dei giornali italiani all’attacco del premier; e la cosa perfida e grottesca è che ieri gli stessi giornali hanno riferito con grande solennità quei giudizi di cui essi stessi sono la fonte... Ma pensate che il compitino di una grassa patatona americana, per restare alle categorie usate in questo rapporto, sia così sconvolgente per gli equilibri mondiali e così determinante per influenzare l’azione politica di Obama? Su, sono chiacchiere da dopocena, tra il caffè e l’ammazzacaffè, mica altro. Penso cos’era stata per secoli la diplomazia europea, vaticana, orientale, cinese (a proposito, e della Cina non si dice niente negli States; paura?). Giudizi acuti e valutazioni prudenti, informazioni vere e stile di espressione... Tremila anni di diplomazia e di civiltà finiti nel cesso. Pensieri sparsi attaccati col chewing gum. Naturalmente non escludo affatto che ci siano fascicoli seri, e perfino minacciosi, oltre la giostra per idioti globali che è stata pubblicata ieri. Allora lasciamo da parte la buffonata e pensiamo alle cose serie.
Il ciclone Wiki esplicita molte cose che erano implicite, e porta alla luce quel che tutti gli informati probabilmente già sapevano, regolandosi di conseguenza: la preoccupazione per l’Iran, le pressioni arabe per dichiarargli guerra, i rapporti difficili con Israele, la debolezza internazionale dell’Europa, e via dicendo. Per quel che ci riguarda, viene esplicitata una cosa che pensavamo e scrivevamo da tempo: all’Italia di Berlusconi, al di là del fumo dei pettegolezzi e delle campagne per delegittimarlo, alcuni ambienti internazionali, alcune lobbies e alcune diplomazie, a cominciare da quella americana, non perdonano i nostri rapporti economici con la Russia di Putin, la Libia di Gheddafi, la Cina e l’Iran. Non è il lettone di Putin o le amanti bionde di Gheddafi la loro preoccupazione, semmai è la propaganda; ma il fatto che l’Italia abbia vantaggiosi rapporti con quei Paesi, sia un loro partner significativo. Se vogliamo, è un copione già visto, ai tempi di Craxi e di Andreotti, forse anche di Moro. E non c’è da indignarsi e gridare al complotto ma c’è da capire e agire con realismo di conseguenza.
Quella è la partita più delicata, da lì vengono i suggeritori internazionali che si servono magari di toghe avvelenate, ma anche di scatole vuote nostrane per riempirle di tritolo e far esplodere il governo in carica. Quello è il pericolo reale, oltre la bufala. Vedrete, non si fermeranno lì, le loro feste selvagge proseguiranno in varie direzioni per inguaiare il governo. Non so quanto Obama condivida questa linea. Per il resto, l’effetto immediato di questo gossip cosmico dovrebbe essere solo uno: chiudete le ambasciate e aprite le sale da parrucchiera. È la sede più consona per questi pettegolezzi.

I veri valori

Non abbiamo speranza di vivere sereni e di fare alcun percorso sensato e costruttivo se ci manca anche solo una delle nostre quattro "zampe magiche" che, insieme, ci permettono addirittura di volare: AMICIZIA, AMORE, FEDE, FAMIGLIA

Se poi trovo, in giro da qualche parte, cosa Alice intendesse per ognuna di questa "zampa magica" ve lo posto.
Credo ne avesse parlato quotidianamente, però per non scrivere stupidate voglio copiare esattamente cosa lei intendeva....

lunedì 29 novembre 2010

Wikileaks, ora la diplomazia si fa gossip Berlusconi? Feste e poche ore di sonno

di Massimo M. Veronese

Su internet tutti i retroscena della diplomazia americana: la Clinton ha fatto spiare i vertici Onu, i Paesi arabi volevano la guerra contro l'Iran, i pettegolezzi sulla vita privata di Gheddafi e le critiche a Sarkozy. Le carte sul premier: "Incapace, sembra il portavoce europeo di Putin". Ecco come gli Usa spiavano Ban Ki Moon. L'hacker italiano: "Dietro Assange gli 007"
Di certo in privato sono tutto fuorché diplomatici. Portinaie piuttosto con tutto il rispetto per la categoria. Pettegoli con la feluca. Sembrano chiacchiere da Grande fratello, quelle a cui si abbandonano gli stimati rappresentanti della negoziazione internazionale, gli uomini a cui il mondo ha consegnato la propria salvezza, cazzeggi da bar sport. Silvio Berlusconi, infatti, ci ride sopra. Ha appena saputo che cosa c’è nei documenti rivelati da Wikileaks. Le dice Elisabeth Dibble incaricata d’affari americana a Roma. Lei dice di aver capito perché il premier è «fisicamente e politicamente debole» oltre che «incapace, vanitoso e inefficace come moderno leader europeo». Perché? Per «le frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza». Poi quel giudizio apparso in anteprima sul quotidiano spagnolo El Pais: «Sembra il portavoce europeo di Putin». In nottata un’altra anticipazione, questa del tedesco Der Spiegel: «Hillary Clinton si informò sugli affari tra il premier italiano e quello russo».
Tra diplomatici si parla come amiche davanti al té, evidentemente. Prendi quello che buttano lì su Gheddafi, che pure per come va in giro vestito un po’ se la cerca. Lo trattano come un’Alba Parietti qualsiasi: «Usa il botulino ed è un vero ipocondriaco: fa filmare tutti i suoi controlli medici per analizzarli dopo con i suoi dottori». E poi: «Ha paura di volare sull’acqua, e i suoi viaggi intercontinentali scatenano il panico tra i suoi collaboratori. Al massimo può volare per 8 ore, poi deve atterrare». Cavoli, a noi di certo non è mai capitato di avere paure simili quando prendiamo l’aereo. Ma fosse solo quello. Si insinua, si vocifera, si allude. Manco fossero le tre parche del gossip americano Hedda Hopper, Louella Parsons ed Elsa Maxwell. Sussurrano: il colonnello si sposta di rado senza la sua «infermiera ucraina», Galyna Kolotnytska, una «voluttuosa bionda», o «voluptous blonde, l’unica capace di tenere i suoi ritmi, l’unica di cui il colonnello, che non sopporta neanche i piani alti dei palazzi, si fida ciecamente, l’unica da cui si fa raggiungere in qualunque angolo di mondo con un volo privato se non addirittura privee. Le carte, ipocrite come solo un diplomatico sa essere, però tranquillizzano: «Tuttavia non c’è certezza che i due abbiano una relazione romantica». Lingue biforcute.
E vuoi che non ce ne sia anche per il premier russo Putin? Uno dei cablogrammi del Dipartimento di Stato lo ribattezza «alpha dog», il maschio dominante, manco fosse Lando Buzzanca. In un altro, più o meno della fine del 2008, si spiega che Medvedev, ufficialmente di rango maggiore «fa la parte di Robin rispetto al Batman di Putin». E perchè non Stanlio e Ollio, Gianni e Pinotto, Spic e Span? Sono i giudizi che fanno la Storia.
Le donne poi escono a pezzi. L’Angelina Merkel è un tipo che per sua natura «evita i rischi ed è raramente creativa», e sembra quasi di vederla girare per la Cancelleria con le pattine e i bigodini di fresco. E pensa te che noi invece, che siamo tutt’altro che diplomatici, ci eravamo fatti di lei proprio tutta un’altra idea. La pazza invece è un’altra. Altro che nuova Evita Peron. Ci sono dei «sospetti che la presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner solleva a Washington, fino al punto che la segretaria di stato giunge a chiedere informazioni sul suo stato di salute mentale».
Un totale fuori di testa è pure Hamid Karzai «ispirato dalla paranoia», come se fosse una sana igiene mentale quotidiana guidare l’Afghanistan con Al Qaida che ti aspetta sul pianerottolo. O Sarkozy, un «re nudo» come del resto le riviste di gossip ce l’avevano già mostrato sulle spiagge di Saint Tropez con la Carlà. «Ispirata alla paranoia» semmai, ma questo non c’è sui cablogrammi, erano i suoi bermuda...

La vita per chi non l'ha più

La vita non è fatta di grandi avvenimenti, ma da una lunghissima catena di briciole quotidiane

domenica 28 novembre 2010

Buona Domenica!

VANGELO
Lc 23,35-43
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».



Il mondo di oggi non ha più alcuna morale da proporre, tutt’altro! C’è spazio solo per un moralismo becero e sempre più dilagante, che ricerca biecamente vittime sacrificali - meglio se insospettabili… - da immolare sull’altare più pubblico possibile, di modo che lo spettacolo non sfugga proprio a nessuno… Cos’ha a che fare con la fede questa visione della società e della vita? Abbiamo tutti ben presente il senso del peccato, ma lo ritroviamo solamente negli occhi degli altri, un po’ come gli apostoli all’annuncio di Gesù del suo imminente tradimento: “I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse” (Gv. XIII, 22)… Mai nessuno che sappia guardarsi dentro, e contemporaneamente tutti pronti ad additare chi si pensa sbagli, dunque…sotto a chi tocca! Ieri i divorziati che bene o male pensano di non essere degli scartati da Dio in nessuna circostanza (ed hanno ragione!), oggi un padre che rifiuta un accanimento terapeutico ormai ventennale sulla figlia, e domani avanti il prossimo, che certamente uscirà. Il moralismo è davvero il frutto più distruttivo dell’ateismo… Il discepolo di Gesù, se tale è veramente, non può che essere misericordioso, ed è pronto a scommettere sul pieno recupero di chiunque incontri, per quanto grosse le possa aver combinate… Chi crede di essere senza Dio, invece, rimane senza speranza, ed allora il gioco al massacro può ben cominciare, sparando a zero su chiunque se lo possa meritare! Finalmente, un po’ di giustizia...

Ricordate la prima lettura di domenica scorsa? Nella sua ultima visione il profeta Malachia diceva: “Sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”… L’idea di giustizia di Dio - meno male… - è ben diversa dalla nostra! Non c’è nulla di distruttivo, anzi c’è spazio per un risanamento di tutto e di tutti grazie a dei “raggi benefici” che irradieranno il mondo… Ed il Vangelo di oggi, l’ultimo del tempo ordinario prima dell’inizio dell’Avvento, ce ne offre la prova più incontestabile, in punto di morte (di Gesù, ma anche di alcuni altri). Anche qui va in scena uno spettacolo sacrificale (poco oltre il nostro tratto, al versetto 48, Luca parla espressamente di “convenuti per questo spettacolo”), fra l’altro particolarmente appetibile perché giocato sulla pelle di Dio, e le reazioni del pubblico sono duplici… Da un lato “il popolo”, la moltitudine indeterminata degli astanti incuriositi, che “stava a guardare”: sono gli stessi che pochi giorni prima l’avevano accolto con ogni benedizione (“la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando Osanna!” - Gv. XII, 12-13), e sono anche gli stessi che di lì a poco, morto Gesù, “se ne tornavano percuotendosi il petto” (Lc. XXIII, 48). Ecco a noi l’immagine di chi assiste imperturbabile alla carneficina altrui - materiale o morale - senza mettersi in gioco, senza rischiare in proprio, pur di non dover subire alcun tipo di conseguenza… Ebbene, a questi pavidi indecisi, ipocriti che sanno solo ossequiare il potente di turno facendo strame della propria (pretesa) fede e dunque anche della propria dignità, risponde il Signore: “poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca” (Ap. III, 16)! Dall’altro lato, “i capi” (civili, ma anche religiosi!) ed “i soldati” (la bassa manovalanza dell’Autorità), che “deridevano Gesù” e lo incitavano a salvare se stesso, dando così dimostrazione della sua asserita divinità… Ecco a noi l’immagine del potere autocelebrativo, che viene esercitato superbamente a dispetto di tutto e di tutti, e la cosa può avvenire anche ai livelli più modesti, da parte di miserrimi soldati (quale insegnamento per l’uomo dell’oggi, al quale basta una divisa o anche una ridicola carica di consigliere condominiale per trasformarsi in giustiziere della notte!). L’invito a pensare a se stesso e ad offrire un segno prodigioso, del resto, ricalca esattamente le tentazioni diaboliche che avevano già colpito Gesù nei quaranta giorni di deserto preparatori per il suo ministero pubblico (cfr. Lc. IV, 1-13): eccoci al “tempo fissato” (Lc. IV, 13) per il ritorno del diavolo, cioè di chi crea divisione e sofferenza, il quale non si presenta certo con corna, tridenti e fiammelle di contorno (lo dico a certi cultori di queste fandonie, che danno credito a qualche farneticante esorcista troppo presente nelle librerie cattoliche ed ormai perfino negli autogrill)!

Bene, a fronte di un’Autorità prepotente e tentatrice, può esistere una diversa concezione del potere, tanto distante da sembrarci fuori dal mondo (Gesù stesso dirà: “Il mio regno non è di quaggiù” - Gv. XVIII, 36) e da aver bisogno di una scritta esplicativa: “Costui è il re dei Giudei”! Chi mai avrebbe potuto riconoscerlo, appeso a una croce come i peggiori dei delinquenti e snobbato o deriso da tutti? Alla nostra idea di regalità, fatta di esasperata autoaffermazione ed opulenza sconsiderata in quanto appunto rivolta a “se stessi”, tipica anche dei nostri ambienti curiali, il Signore contrappone la sovranità vera, fatta di un servizio vicendevole, a cominciare proprio dal Maestro verso i suoi discepoli (“Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto” - Gv. XIII, 5), tanto da arrivare all’estremo sacrificio per l’umanità intera! Se è vero, come è vero, che “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv. XV, 13), è sconcertante che si abbia il coraggio di chiedere o addirittura pretendere qualche altro segno per poter credere! La morte subito vinta del Cristo Re dell’Universo, festeggiato oggi ultimo dell’anno (liturgico), è un fatto che rende scandalosa ogni ulteriore richiesta di segni… Dopo di essa, solo “una generazione perversa e adultera cerca un segno” (Mt. XVI, 4)!

Ma il cuore di questo Vangelo, perdonatemi, è nella seconda parte. Gesù è crocifisso assieme a due malfattori, ed uno di essi è l’unico fra tutti i presenti che riconosce il Signore: cerca di correggere il compagno d’agonia che sbaglia, pensando prima alla sua salvezza che alla propria (“Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?”), riconosce i propri limiti - e per questo li supera… - a fronte dell’assoluta assenza di male in Gesù (“Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”), e sa di poter contare sulla misericordia di Dio (“Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”)! Notate bene la frase, è un’affermazione e non una domanda… Proprio e solo il malfattore, il più lontano dal Signore, è in realtà l’unico che lo conosce sul serio per quello che è, un Padre di misericordia! Come non volare per un attimo alle parole del profeta Osea? “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te, e non verrò nella mia ira” (Os. XI, 8-9)… Ed è proprio così, non c’è trucco e non c’è inganno, ma soprattutto non c’è alcun miraggio nella sua mente offuscata di ladrone moribondo: “Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»”! Questa è l’unica volta che nel Vangelo si menziona il paradiso… Gesù ha sempre parlato di morte che non sarà mai conosciuta dal discepolo (Gv. VIII, 52), dunque di vita che continua, agli stessi livelli qualitativi che si sono raggiunti in terra. Nessun giardino fiorito, e per converso nessun antro infuocato, insomma! Purtroppo non è certo il momento per improvvisare un incontro di catechismo, e fra questi due agonizzanti si parla l’unico linguaggio comprensibile da ambo gli interlocutori… Dio e l’uomo soffrono, l’uno accanto all’altro, apparentemente impotenti di fronte al dolore, ma in realtà capaci di superarlo con la forza di un Amore che salva.

Chiediamo al Signore questa consapevolezza che la verità non è mai appannaggio delle “donne pie di alto rango” e dei “notabili della città”, che sono anzi facilmente sobillabili contro i veri discepoli di Gesù (cfr. At. XIII, 50)… Perché davvero questo malfattore, unico giusto del quadro evangelico di oggi, sappia convertirci mente e cuore dal dio giustiziere che coviamo nel profondo al Dio della misericordia senza confini rivelatoci dal Nazareno…affinché, al più presto possibile, ci comportiamo di conseguenza!

La settimana sarà senza dubbio speciale perché venerdì c’è la serata con Donpi all'Auditorium del Centro Civico Buranello…
A presto dunque!
Matteo



Questa è l’ultima domenica dell’anno, gli amici ambrosiani, invece, hanno già iniziato l’avvento. Insieme, comunque, celebriamo la vera follia del cristianesimo, la non-festa che, se presa sul serio, ci farebbe tutti mettere in ginocchio ad adorare l’infinita misura di Dio.
Oggi celebriamo la regalità di Cristo o, come recita pomposamente la dicitura sul Messale, la Solennità di Gesù Cristo re dell’Universo.
Era l’ora, finalmente, ci mancava. Le istituzioni degli uomini vacillano, le ansie di cui domenica scorsa stringono il cuore di tutti, credenti o meno, non ci dispiacerebbe un bel finale della storia con l’arrivo dei nostri, come nei film western degli anni Sessanta.
Cristo re.
Ma dove?
Guardare oltre
Le ragioni per scoraggiarsi non mancano, e la fragile storia fatta di armi e di violenza, continua a dettare legge. Non è cambiato molto in questi duemila anni di cristianesimo, il Regno sembra essere un bel progetto rimasto sulla carta, un afflato spirituale di qualche sognatore.
La festa di oggi, invece, è una provocazione alla nostra tiepida fede, che sfida la nostra fragile contemporaneità, il nostro cristianesimo miope, fatto di piccoli progetti.
Cristo è re, significa dire che Lui avrà l’ultima parola sulla storia, su ogni storia, sulla mia storia personale. Dire che Cristo è re, significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio e dell’uomo, credere che il mondo non sta precipitando nel caos, ma nell’abbraccio tenerissimo e gravido del Padre. Dire che Cristo è re, significa creare spazi di rappresentanza del Regno là dove stiamo vivendo la nostra vocazione alla vita, piccoli spazi pubblicitari per dire agli smarriti di cuore: ecco, Dio vi ama.
Oggi è la festa in cui le comunità guardano avanti, al di là e al di dentro dei nostri limiti e dei nostri sforzi perché, sempre, il metro di giudizio del nostro essere Chiesa è la realizzazione del Regno.
Un re bislacco
Peggio: la regalità di Gesù è una regalità che contraddice la nostra visione di Dio.
Perché questo Dio è più sconfitto di tutti gli sconfitti, fragile più di ogni fragilità. Un re senza trono e senza scettro, appeso nudo ad una croce, un re che necessita di un cartello per essere identificato.
Ecco: questo è il nostro Dio, un Dio sconfitto.
Non un Dio trionfante, non un Dio onnipotente, ma un Dio osteso, mostrato, sfigurato, piagato, arreso, sconfitto.
Una sconfitta che, per Lui, è un evidente gesto d’amore, un impressionante dono di sé.
Un Dio sconfitto per amore, un Dio che - inaspettatamente - manifesta la sua grandezza nell’amore e nel perdono. Dio - lui sì - si mette in gioco, si scopre, si svela, si consegna.
Dio non è nascosto, misterioso: è evidente, provocatoriamente evidente; appeso ad una croce, apparentemente sconfitto, gioca il tutto per tutto per piegare la durezza dell’uomo.
Gesù è venuto a dire Dio, a raccontarlo. Lui, figlio del Padre ci dona e ci dice veramente chi è Dio. E l’uomo replica. “No, grazie”. Forse preferiamo un Dio un po’ severo e scostante, sommo egoista bastante a se stesso, potente da convincere e da tenere buono.
Forse l’idea pagana di dio che ci facciamo ci soddisfa maggiormente perché ci assomiglia di più, non ci costringe a conversione, ci chiede superstizione; non piega i nostri affetti, solo li solletica.
Salva te stesso
La chiave di lettura del vangelo di oggi è tutta in quell’inquietante affermazione della folla a Gesù: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Frase che Luca fa dire anche ai sacerdoti e ai soldati pagani: tutti concordano nel ritenere un segno di debolezza il dover dipendere dagli altri.
Il potente, così come ce lo immaginiamo, è colui che salva se stesso, può permettersi di pensare solo a sé, ha i mezzi per essere soddisfatto, senza avere bisogno degli altri.
Dio è ciò che non possiamo permetterci di essere, il più potente dei potenti, che può tutto, che non ha bisogno di niente e di nessuno, beato lui! Per dimostrare di essere veramente Dio, Gesù deve mostrarsi egoista perché, nel nostro mondo piccino, Dio è il Sommo egoista bastante a se stesso, beato nella sua perfetta solitudine. Dio diventa la proiezione dei nostri più nascosti e inconfessati desideri, è ciò che ammiriamo nell’uomo politico riuscito, ricco e sicuro, allora cerchiamo di sedurlo, di blandirlo, di corromperlo.
No, il nostro Dio non salva se stesso, salva noi, salva me.
Dio si auto-realizza donandosi, relazionandosi, aprendosi a me, a noi.
Ladri e ladroni
I due ladroni - infine - sono la sintesi del diventare discepoli. Il primo sfida Dio, lo mette alla prova: se esisti fa che accada questo, liberami da questa sofferenza, salva te stesso (di nuovo!) e noi, e me. Concepisce Dio come un re di cui essere suddito.
Ma a certe condizioni, ottenendo in cambio ciò che desidera: una redenzione in extremis. Non ammette le sue responsabilità, non è adulto nel rileggere la sua vita, tenta il colpo. Non è amorevole la sua richiesta: trasuda piccineria ed egoismo. Come - spesso - la nostra fede. Cosa ci guadagno se credo?
L’altro ladro, invece, è solo stupito. Non sa capacitarsi di ciò che accade: Dio è lì che condivide con lui la sofferenza. Una sofferenza conseguenza delle sue scelte, la sua. Innocente e pura quella di Dio. Ecco l’icona del discepolo: colui che si accorge che il vero volto di Dio è la compassione e che il vero volto dell’uomo è la tenerezza e il perdono. Nella sofferenza possiamo cadere nella disperazione o ai piedi della croce e confessare: davvero quest’uomo è il Figlio di Dio.
Per i cardiopatici: conclusione da non leggere
Che re, sbilenco, amici. Un re che indica un altro modo di vivere, che contraddice il nostro “salvare noi stessi” per salvare gli altri o - meglio - per lasciarci salvare da Lui.
Siamo onesti, amici: lo vogliamo davvero un Dio così? Un Dio debole che sta dalla parte dei deboli? È questo, davvero, il Dio che vorremmo? Di quale Dio vogliamo essere discepoli? Di quale re vogliamo essere sudditi?
Non date risposte affrettate, per favore, altrimenti ci tocca convertirci.
(Don Paolo CURTAZ)

venerdì 26 novembre 2010

ehi, questa ve l'ho già scritta?

Veniamo da Dio e andiamo a Dio, attraverso l'amore  

 Cavoli, mi sa che ha risolto secoli di discussioni filosofiche sulle domande tipo "da dove veniamo?", "dove andiamo?", ecc ecc...

O no?
Mi rivolgo a chi, sfortunato come me ha fatto il liceo scientifico (ma forse anche al classico e in altre scuole superiori) dove si fa filosofia "sul serio" e per arrivare a uno striminzito 6-- ci sono voluti ben nove mesi di studio.
Praticamente tutto l'anno scolastico

Avrei dovuto leggere prima il diario di mia sorella ;)
Eppure, già all'epoca glielo rubato e andavo a leggermelo in bagno. Poi glielo rimettevo a posto ma.... chi sa come mai se ne accorgeva sempre...

Il trucco (lo dico per le bimbe che hanno diari segreti e vogliono sapere con certezza se questo viene letto solo da lei o meno) è mettere un sottilissimo capello (meglio se corto e biondo, simil-trasparente) a cavallo tra la copertina e la prima pagina, che queste, chiudendosi, appena appena lo pinzano. Il primo che lo prende nemmeno si accorge di questo stratagemma e ha già perso il silenziosissimo antifurto.

Ingegnosa la sorellina, non trovate?

giovedì 25 novembre 2010

A proposito di valori

Alessandro Sallusti

(di Alessandro Sallusti) 

La vi­cenda ci incurio­sisce perché è l’ennesimo tas­sello di un mo­do di concepire la politica ben lonta­no dai retorici e roboanti proclami moralisti, etici e legalitari di Fini e della sua fresca squadra di compagni

Una vettura di lusso, valore cento­mila euro, acquistata da An e messa a disposizione di Gianfranco Fini. Pec­cato che An non esisteva più da mesi e quindi sorge il problema di chi e per­ché ha speso tanti soldi (sottratti a bi­sogni più nobili e urgenti) che sono parte del patrimonio di un ex partito affidato, dopo la fusione col Pdl, alle cure di una Fondazione. Che quanto­meno ci sia sotto un pasticcio, è prova­to dal fatto che ieri, appreso che il Giornale stava per pubblicare la sto­ria, la berlina di lusso, una ammira­glia Bmw, è stata riconsegnata in fret­ta e furia dal presidente della Camera ai legittimi proprietari, cioè la Fonda­zione.


Non vogliamo girare il coltello nella piaga, né metter­la giù più dura di quello che è. Dirimere la que­stione sarà pro­blema ­dei custo­di della cassafor­te aennina. La vi­cenda ci incurio­sisce perché è l’ennesimo tas­sello di un mo­do di concepire la politica ben lonta­no dai retorici e roboanti proclami moralisti, etici e legalitari di Gianfran­co Fini e della sua fresca squadra di compagni di avventura. Prima la que­stione dell’appalto Rai (un milione e mezzo di euro) che il presidente della Camera ha fatto avere alla suocera, una anziana signora che l’unica tv che conosce è quella del suo salotto di casa. Poi si è scoperto il caso Monte­carlo, un appartamento del partito svenduto al cognato via società of­fshore. E adesso pure la fuoriserie gra­tis. Se aggiungiamo che il giornale del Fli Fini se lo fa pagare da noi, con sol­di pubblici sottratti ai fondi per il vo­lontariato, direi che il nuovo che avan­za sa molto di vecchio. Il vecchio me­todo dei politici di vivere al di sopra delle loro possibilità a babbo morto. Cioè a spese altrui, a volte dello Stato, altre del partito (e non andiamo ol­tre).

Egregio presidente della Camera, la prossima volta che aprirà la bocca sui valori della nuova destra europea che lei pensa di incarnare, provi alme­no un filo di vergogna. Case, macchi­ne e televisioni Berlusconi, come tut­ti i suoi elettori, se li paga di tasca sua.



Nota a margine (di Flaviaccia):
il nostro lettore che mi ha segnalato questo articolo ha chiosato la mail indirizzata a me dicendo:
"... certo che Fini poteva anche far comprare da AN una FERRARI, specie se del suo amico Montezemolo ed essere più patriottico..."

mercoledì 24 novembre 2010

Dai, questo per parlare seriamente.... ridendo

Fazio&C? Arbasino li aveva già sistemati


(di Massimiliano Parente)
 
 
Massimiliano Parente
Alberto Arbasino
«L’orrore delle strade, l’orrore della gente, la compassione, l’indignazione ogni volta, ma come si fa» dice Arbasino a Fabio Fazio in un’intervista che non vedrete mai. Già, come si fa, si chiede Fazio con il suo sorrisetto senza perché e felice di esistere. Soprattutto adesso che il grande tribuno Roberto Saviano ha accusato il Nord di essere mafioso ed elogiato la raccolta differenziata dei Borboni, come si fa. Meno male che c’è Arbasino, un mostro sacro, l’ultimo grande rimasto. L’Alberto Arbasino ospite di Vieni via con me è quello del 1976, ossia lo scrittore che parla in Fratelli d’Italia, mentre Fazio è Fazio, tale e quale a oggi.
E dunque, insomma, Arbasino, questa emergenza rifiuti, come si fa? Perfino l’Ue ha detto che non è cambiato niente da due anni a questa parte, dice Fazio con il suo tono da chierichetto allegro e il suo sorrisetto senza perché e felice di esistere, Napoli è ancora sommersa dalla spazzatura. Arbasino non risponde. Fazio prova a imbeccarlo: il governo Berlusconi in due anni non ha risolto niente. Arbasino sbuffa. «E Napoli lì, a aspettare che vengano Elargite Provvidenze, senza muovere un dito... Tanto è vero che mentre gli altri ricostruiscono Amburgo o Hiroshima qui non hanno ancora cominciato a portar via le immondizie del Dugento dalle strade...». Fazio resta qualche secondo in silenzio, imbambolato, disorientato. Dietro le quinte Mazzetti guarda Saviano, Saviano guarda Mazzetti, fissano il monitor dove Arbasino è impassibile, elegantissimo, impettito vicino a Fazio che si tocca il pizzetto, si gratta la nuca, e pensa che forse ha capito male. Ehm, obietta... dottor Arbasino... ma il Nord è sempre stato avvantaggiato, no? Napoli non è mica la Svizzera, no? «Senza cielo, senza mare, senza frutta, e fino a poco tempo fa così poveri che dovevano fare i mercenari all’estero, chi le avrà mai elargite, agli svizzeri così dileggiati da tutti questi dritti, le industrie chimiche e le banche e le orologerie e cioccolaterie e gli alberghi dove non danno da mangiare la merda?». Appena sente «merda» Fazio sgrana gli occhi, deglutisce, si asciuga il sudore con un kleenex, pur continuando a sorridere con il suo sorrisetto senza perché e felice di esistere, Fazio sorriderebbe anche torturato dai talebani, gli viene naturale. Tuttavia è in imbarazzo, non sa cosa rispondere, è Arbasino, non uno qualsiasi, non la Littizzetto.

All’improvviso si ricorda dei Borboni, e del discorso di Saviano sui Borboni. Forse Saviano ha sbagliato, secondo Saviano i Borboni erano progrediti, avanzatissimi, ma Fazio si ricorda di aver studiato a scuola che i Borboni erano cattivi, borbonici appunto, e allora sempre con il suo sorrisino senza perché e felice di esistere obietta che a Napoli c’erano i Borboni, ecco. Arbasino sospira. «Solita colpa dei Borboni che avrebbero borbonizzato la città? Mah, dev’essere lei che ha napoletanizzato loro». Dietro le quinte si ode un urlo, una bestemmia, un tonfo sordo. Il sito Dagospia riporta in tempo reale una presunta telefonata di Ruffini a Mazzetti dove Ruffini avrebbe urlato «chi c... l’ha invitato questo qui? Chi è? L’ha mandato Masi?» e Mazzetti avrebbe risposto «è Arbasino, direttore. Einaudi, 1976, ha presente?», e Ruffini «non può essere, ora c’è anche il Meridiano, Arbasino è Mondadori, come Saviano, non può dire certe cose. Comunque, chiunque sia, fatelo tacere».
Intanto Fazio è lì in diretta a tribolare, ovviamente senza smettere di sorridere con il suo sorrisetto senza perché e felice di esistere, e annuisce mentre Arbasino continua, implacabile: «In fondo, di Borboni ce ne sono sempre stati dappertutto, e in contesti più seri come Madrid o Parigi o perfino Parma non si comportavano in modo così scorreggione...». Scorreggione? Il povero Fazio barcolla, si appoggia all’asta del microfono, fissa Arbasino, cerca un appiglio, cerca di ricordarsi qualcosa di bello di Napoli su cui dirottare il discorso, finché non ha un’illuminazione: la Commedia dell’arte, Eduardo...! Ma Arbasino taglia corto. «Commedia dell’arte? No, grazie, mi fa vomitare».
Fazio sta per avere un tracollo. Sì ma la gente, il popolo, la napoletanità... «Davvero è un posto che non mi dice niente, non ha niente da darmi, non mi importa niente, perciò trovo inutile venirci». Fazio è un bagno di sudore, fissa dei segni incomprensibili di Mazzetti, timidamente riesce a dire: ma, dottor Arbasino, tranquillizziamo gli spettatori, potrebbero fraintenderla... Non ce l’ha con Napoli vero? «Io a Napoli vorrei starci sempre il meno possibile». Ehm, prego? Mazzetti si sbraccia e mostra un cartello a Fazio: FAGLI DIRE UN ELENCO E BASTA. Fazio annuisce, si asciuga di nuovo il sudore, guarda l’orologio... Arbasino purtroppo non c’è più tempo... potrebbe concludere con un elenco? Sa, noi facciamo così, gli elenchi, dice Fazio a Arbasino, continuando a sorridere del suo sorrisetto felice di esistere ma ormai tremolante, come un’erezione senza più ispirazione. Arbasino squadra Fazio, annuisce, tira un lungo sospiro: «Qui basta uscire per strada e veder la gente e sentire i fetori e provar le scaltrezze perché mi venga una gran voglia di gambe lunghe fatte senza economia, gente pesante che parla con calma, capelli lavati, pelle sgrassata, unghie pulite, vestiti senza odori, birra danese, formaggi olandesi, strade senza merda, industrie efficienti, parlamenti rigorosi, civiltà magari parvenues ma prive di zozzoneria, ristoranti al primo piano con tappeti spessi per terra, pannelli di legno o di cuoio alle pareti, il suo soffitto scuro, il suo camino acceso, magari la neve fuori, il burro lì subito, freschissimo, coi toast caldi, vini del Reno meravigliosi, lini finissimi sulla tavola oltre che in bagno e a letto, nessun pezzo che non sia d’argento vecchio, camerieri abilissimi in frac, piatti molto elaborati e molto cremosi fatti in cucine competenti...». Qui il povero Fazio prova a fermare Arbasino dopo aver letto un cartello di Mazzetti a caratteri cubitali con su scritto INTERROMPILO SUBITO, alza un ditino come a scuola e prova a dire egregio Arbasino, la ringraziamo molto del suo intervento ma... Arbasino non lo sente, la vocetta di Fazio è troppo esile, troppo rispettosa del mostro sacro, e Arbasino ormai è un fiume in piena «... e si può leggere un giornale anche a mezzanotte, almeno i titoli, anche in mezzo ai parchi, perché la nebbietta madreperla si illumina dei riflessi delle luci e del neon delle città. E alle otto si è già finito di mangiare: un grosso mixed grill, non la mozzarella con le vongole. Nessuno ha lagnosamente offerto un cazzetto sporco, una sorella lurida, un cugino imbroglione, e i finestrini della macchina non sono stati sfondati per portar via la radio o un pacchetto di Marlboro...». Fa una pausa per chiedere un bicchiere d’acqua, si guarda intorno e non c’è più nessuno, né il pubblico né Fazio né Saviano né standing ovation, lo studio è deserto, evacuato, la lucina della telecamera è spenta, e pare che Mazzetti sia stato ricoverato d’urgenza al San Raffaele per un collasso nervoso. Arbasino fa spallucce e, con tutto questo parlare di Napoli e spazzatura, dimenticandosi di essere negli studi milanesi di via Mecenate, sospira e si incammina verso l’uscita borbottando tra sé e sé: «Lo so, lo so, ormai, purtroppo, che si fa uno sbaglio dei più stupidi tutte le volte che si scende a sud di Milano... Ancora, ci sono cascato».