giovedì 15 agosto 2013

Ti chiedo un favore grande...

A te che stai leggendo, ti chiedo un grosso favore:
una preghierina per la mia gemellina Alice. Ed una, più piccola, per me.
Oggi, stamattina alle ore 8.30, di 7 anni fa mi lasciava la mia gemellina stupenda: lei andava a incontrare il Padre di tutti noi; io rimanevo sulla Terra a cercare i modi per raggiungerla...
La storia non te la racconto (già troppe volte ti ho annoiato con questo) ma ti ringrazio del favore che mi hai fatto condividendo con te questo "scritto" di Alice, proprio oggi che festeggiamo la Madonna che sale al Cielo.
(l'ho definito "scritto" perché non so se devo definirlo pensiero, o preghiera, o canzone o approfondimento o... non lo so: forse una "illuminazione", visto ciò che le è successo da lì a poco).

MADRE, IO VORREI...
Io vorrei tanto parlare con Te di quel Figlio che amavi:
io vorrei tanto ascoltare da Te quello che pensavi
quando hai udito che non saresti più stata tua e questo Figlio che aspettavi non era per Te...
Io vorrei tanto sapere da Te se, quand'era bambino, Tu gli hai spiegato cosa sarebbe successo di Lui.
E quante volte anche Tu di nascosto piangevi, Madre,
quando hai capito che presto l'avrebbero ucciso per noi.
Io ti ringrazio per questo silenzio che resta tra noi.
Io benedico il coraggio di vivere sola con Lui.
Ora capisco che, fin da quei giorni, pensavi a noi,
per ogni figlio dell'uomo che muore, ti prego così...

mercoledì 14 agosto 2013

La giustizia in Italia N O N è uguale per tutti. Lo dicono proprio i "magistrati"

Così la clemenza del Colle scatenerà l'ira dei forcaioli

La giustizia in Italia è stata usata per troppi anni come arma impropria di lotta politica. Basta leggere le dichiarazioni di certi magistrati per capirlo. Ecco perché va riformata

Leggete qui per averne la prova. Perché qui raccontiamo un pezzo di Paese che nelle procure e nei tribunali ha giocato una partita che con la giustizia aveva davvero poco a che fare. Cominciate da Gherardo Colombo, noto per essere stato l'ideologo del pool Mani Pulite, quello che mise in ginocchio tutti i partiti della repubblica tranne il Pci (che già aveva cambiato il nome in Pds). In un suo scritto, appendice del libro In nome dei pubblici ministeri di Gargani e Pannella, il pm di Magistratura democratica anticipava quale sarebbe stata la linea dei magistrati per combattere una politica non gradita. Il giudice - scriveva Colombo - deve svolgere un ruolo politico perché deve surrogare il ruolo di un'opposizione politica inefficiente per via della scelta consociativista della sinistra storica. In sostanza - sosteneva Colombo - il giudice deve avere un doppio ruolo: scendere in campo e sostituirsi all'opposizione parlamentare ogni qualvolta questa si dimostri incapace o impossibilitata a ribaltare la situazione. Pago di aver aperto il filone della magistratura militante, Colombo ora siede nelle stanze del potere più consociativista del Paese, il consiglio di amministrazione della Rai, ovviamente in quota Pd.
Sono così questi giudici, partono con la rivoluzione e arrivano alla pensione con la lottizzazione. È successo anche a un altro esponente di spicco di Magistratura democratica, Vittorio Borraccetti, che come magistrato sul campo si è fatto notare solo una volta, come coautore, insieme ad altri colleghi, di una clamorosa bufala giudiziaria, il caso (insoluto) di Unabomber. Presero fischi per fischi, indagarono e massacrarono un innocente che solo dopo un calvario giudiziario fu liberato con tante scuse (non le loro ovviamente). Ebbene, questo genio dell'investigazione, nel congresso di Magistratura democratica del 2000 tenne una relazione nella quale si teorizzava il dovere morale e politico di abbattere il governo Berlusconi. «Il conflitto di interessi dell'onorevole Berlusconi - disse - pesa come un macigno sulla democrazia italiana anche per la presenza nel suo schieramento di componenti, politiche pur minoritarie, che si richiamano esplicitamente al fascismo e alla xenofobia. E il suo schieramento - aggiunse - è pericoloso anche perché tende a mettere in discussione i fondamentali dell'attuale assetto costituzionale adoperando a tal fine, specie nel suo leader, una demagogia fondata su parole d'ordine semplici e accattivanti che assecondano gli istinti meno nobili del corpo sociale».
Per ammissione di uno dei leader di Magistratura democratica Berlusconi andava quindi perseguito non per reati specifici e provati ma in quanto politico molto votato e alleato con la Lega e An. Del resto Vittorio Borraccetti non ha fatto altro che appiccicare nomi e cognomi al teorema fondante di questa corrente, che nel congresso di Catania del 1972 prese il nome di «uso alternativo del diritto». Sentite cosa disse a proposito il giudice Di Lello: «Con questo congresso dobbiamo decidere se Magistratura democratica, nata per contrastare le mistificazioni della giustizia borghese, debba oggi accettare di farsi garante di una eventuale repressione dell'area del dissenso, magari in una ipotesi di compromesso storico». E il magistrato Libero Mancuso ammetteva: «Siamo figli del Sessantotto perché siamo cresciuti con quelle lotte e al fianco di esse». Giacomo Conte, giudice del tribunale di Palermo, affermava che «era inaccettabile il punto di vista di chi intende identificare il movimento democratico, del quale noi siamo parte integrante ed essenziale, soltanto nel Pci e nelle forze prevalenti delle federazioni sindacali lasciando fuori i collettivi di base, i gruppi della nuova sinistra, i consigli di fabbrica, i movimenti dei diritti civili e femministi, cioè i poli di aggregazione di una autentica espressione proletaria capace di prefigurare la costruzione della società socialista».
Il magistrato come un Cobas, un No Tav, un no global, infarcito di ideologia comunista e pronto a tutto per metterla in pratica, fino a teorizzare la possibilità di una «giurisprudenza alternativa» e del «diritto diseguale» a seconda del giudizio politico. Come Antonio Bevere, il giudice che ha condannato al carcere il sottoscritto, che da sostituto procuratore di Milano ebbe a dire: «Il capitalismo è il vero nemico della democrazia». E la magistrata Elena Paciotti: «Quando un giudice di Magistratura democratica si trova di fronte un imprenditore e un lavoratore deve considerarli uguali davanti alla legge o assumere un atteggiamenti parziale?». Domanda retorica. La risposta è arrivata nei fatti. E figuratevi quanto possono essere stati parziali i magistrati di Magistratura democratica quando si sono trovati davanti l'imprenditore Silvio Berlusconi che con Forza Italia uccise nella culla il loro sogno di arrivare per via giudiziaria (Mani Pulite) a un'Italia comunista.

domenica 11 agosto 2013

L'Italia (che lavora) vista dagli "altri"...


La corrispondente Bbc: "Lo scandalo? Fate ferie chilometriche"

Come risponde l'Italia alla crisi? Chiudendo per ferie


Come risponde l'Italia alla crisi? Chiudendo per ferie. È l'accusa, che punge sul vivo, di Luisa Baldini, corrispondente in Italia della britannica Bbc ripresa da Linkiesta. Ecco lo sfogo su Twitter della giornalista: «Un esempio del perché l'economia italiana è fiacca? Le aziende non rispondono alle e-mail dal primo al 22 agosto» e a corredo c'è la schermata di risposta della società in questione: «Il servizio informazioni via mail sui prodotti è sospeso fino alla riapertura, il 22 agosto». Inutile prendersela con la Casta che si concede ferie chilometriche, fa notare Baldini, gli italiani sono un popolo di vacanzieri. Anche quando sono pronti a lamentarsi per la mannaia della crisi e dovrebbero rimboccarsi le maniche, non rinunciano al rito della villeggiatura estiva. «Con questo atteggiamento - continua la giornalista abituata ai ritmi anglosassoni - l'Italia non può fare concorrenza. Purtroppo non siamo più nel ventesimo secolo»


E la multinazionale francese lascia la Calabria ai suoi rifiuti

Nel disastrato quadro del recupero dei rifiuti in Calabria si era inserita una multinazionale francese, Veolia. Che però dopo quattro anni di gestione del termovalorizzatore di Gioia Tauro ha dovuto rinunciare


Nel disastrato quadro del recupero dei rifiuti in Calabria si era inserita una multinazionale francese, Veolia. Che però dopo quattro anni di gestione del termovalorizzatore di Gioia Tauro ha dovuto rinunciare. Lasciando a sé stesso, e alle lungaggini degli enti locali, un impianto che tutto sommato aveva funzionato e che è diventato l'ultimo anello di una catena di disservizi. La sintesi della vicenda: dopo decenni di commissariamento la «grana» dei rifiuti quest'anno è passata alla Regione. L'ente ha ereditato impianti vecchi e trascurati, una raccolta differenziata che supera di poco il 10 per cento e uno smaltimento basato quasi esclusivamente sulle discariche. Negli ultimi mesi la situazione è peggiorata, con gestori privati senza le carte in regola che non hanno fatto la manutenzione straordinaria delle apparecchiature e gare d'appalto che non vengono bandite. Intanto i francesi se ne sono andati e i rifiuti rischiano di accumularsi di nuovo per strada.




L'industriale: "In Carinzia in un giorno ho aperto una fabbrica"

Francesco Biasion: "Se tutto il sistema rema contro gli imprenditori, regole del mercato del lavoro, certezza del diritto, istituzioni, non ha più senso restare qui"

«Le ultime multinazionali rimaste se ne andranno via una a una. Se tutto il sistema rema contro gli imprenditori, regole del mercato del lavoro, certezza del diritto, istituzioni, non ha più senso restare qui». La profezia amara è di Francesco Biasion, che su Linkiesta.it racconta come la sua azienda, sana e fiorente, sia pronta a traslocare in Carinzia. La Bifrangi spa produce componenti meccanici e dà lavoro a 500 persone in Italia più un migliaio nel mondo per un fatturato di 108 milioni di euro solo da noi. Perché in Austria? «Perché lì - spiega l'imprenditore di Mussolente, nel Vicentino - chi fa impresa è visto come un Dio in terra». Mentre in Italia ritardi e burocrazia lavorano ai fianchi le aziende fino a farle cedere. «Là in un giorno abbiamo fatto tutto: mi hanno dato il terreno, aperto la partita Iva, acceso i conti correnti». Così 40-50 milioni di investimenti e mille posti di lavoro lasciano il Veneto per finire oltreconfine.









I primi scheletri negli armadi del giudice Antonio Esposito

Capita (quasi) sempre: quando ci si sente puri e, soprattutto, intoccabili, sotto sotto si nascondono scheletri e "marachelle" inconfessabili. E quando qualcuno le dissotterra ecco scattare la querela... 

Se fossimo in un film saremmo sicuro nel genere COMICO! Invece siamo in Italia e questa lobby all'interno della Magistratura, quella con la lettera maiuscola, ci fa riflettere: se solo Silvio Berlusconi non fosse sceso in campo (politico) nel 1994 adesso saremmo "liberati" dai sinistri e "forti e ricchi" come Cuba (dove le donne danno via di tutto per un capo d'abbigliamento) o il Kosovo (non servono parole qui, neh?) o i resti post-comunisti della Germania dell'Est (patria della Tiranna Angela Merkel) o della Polonia, ecc... tutti Paesi ridotti alla fame e privati di ogni libertà: comunque anche in Italia i "dissidenti" finiscono in carcere, sia i giornalisti (caso Sallusti) che i politici (il recentissimo caso Berlusconi)....



Il giudice bugiardo ci querela ma non chiarisce il caso Ispi

Esposito si fa scudo dell'associazione Caponnetto e denuncia Il Giornale per lo scoop sul doppio lavoro. Il colloquio col Mattino è lungo 40 minuti: al Csm l'audio integrale 

Il giudice Antonio Esposito si sente diffamato. Quello che ancora non conosciamo è invece l'umore del dottor Antonio Esposito, il tuttofare della scuola Ispi, quello che mette il suo numero di telefono tra i contatti per chi vuole fare master o esami nella sede locale dell'università telematica.
Non si sa, insomma, cosa pensano l'uno dell'altro. L'unica cosa certa è che sono la stessa persona e di fatto il giudice fa un doppio lavoro. La domanda allora è: si può fare?
Esposito promette querela. L'annuncio non lo fa di persona, ma si nasconde dietro l'associazione Antonino Caponnetto di cui è presidente onorario (e che sulla pagina Facebook «si stringe intorno al suo presidente e ai suoi familiari vittime di una campagna vergognosa e diffamatoria dopo la sentenza di condanna emessa a carico di Berlusconi»). In pratica tira in ballo una colonna della lotta alla mafia per ribadire quello che il Giornale in realtà non ha mai nascosto, e cioè che la sezione disciplinare del Csm lo ha sempre ritenuto estraneo a tutte le accuse. O meglio, a quasi tutte, visto che il 7 aprile del '94 il plenum del Csm approvava a maggioranza la proposta di trasferimento d'ufficio dell'allora pretore di Sala Consilina, che venne destinato alla Corte d'Appello di Napoli nonostante lui avesse fatto presente che l'adozione del provvedimento gli avrebbe causato danni incalcolabili, ledendo irreversibilmente il suo onore e il suo prestigio professionale e denunciando che la relativa procedura sarebbe stata condotta con spirito persecutorio e diffamatorio nei suoi confronti, in esecuzione di un disegno comune ai convenuti».
I suoi colleghi, insomma, conoscevano l'intreccio di interessi tra il pretore e la vita sociale ed economica di Sapri. E per questo lo hanno trasferito. Nell'ultima seduta del Csm i consiglieri ne hanno parlato a lungo, anche scontrandosi sulle diverse interpretazione di certi episodi. Ma alla fine sono stati d'accordo sul fatto che «la presenza ultraventennale di Esposito nella pretura di Sala Consilina e il suo coinvolgimento nella gestione dell'Ispi hanno determinato una situazione particolare che ha accresciuto il suo potere fino a dar luogo a qualcosa di diverso e di incompatibile con la funzione di pretore dirigente». 
Sulla scuola di formazione i consiglieri si soffermano a lungo, ipotizzando che il particolare tenore di vita del magistrato che risultava «proprietario di un villino a Roma, di una Jaguar e di un motoscafo avallassero l'ipotesi che l'Ispi avesse consentito la realizzazione di guadagni nell'ordine di centinaia di milioni, come sembrerebbe potersi evincere dai costi di iscrizione e dalle rette di frequenza». Alla fine è stata proprio la gestione dell'Ispi a determinare il trasferimento. «Dovrebbe essere provato - si legge nel provvedimento - che Esposito svolga attività ulteriori rispetto a quella dell'insegnamento per il quale è stato autorizzato dal Csm». E come emerge dagli accertamenti del capitano dei carabinieri Ferdinando Fedi. «Esposito - scrivono i consiglieri - poteva essere reperito sistematicamente presso i locali della scuola e i collegamenti con l'Ispi venivano tenuti anche in pretura. Pure i carabinieri a volte dovevano attendere perché nello studio del pretore erano a colloquio delle studentesse della scuola stessa».
Ora, invece, Antonio Esposito deve chiarire il pasticciaccio della sua intervista al Mattino di Napoli. Qualche domanda se la sta facendo anche il ministro Cancellieri, che ha messo in campo gli ispettori di via Arenula per indagare sulla vicenda. Qualcosa non torna neppure al Csm, dove il presidente della prima commissione Annibale Marini e il vicepresidente Michele Vietti si sono affrettati ad acquisire l'audio integrale del colloquio. Il Mattino ne ha pubblicato on line solo una manciata di minuti. Il resto, quasi 40 minuti, non è irrilevante. Forse il primo a dover pretendere trasparenza è proprio il giudice Esposito. Chieda al suo amico giornalista di farci ascoltare tutto.

sabato 10 agosto 2013

Inorridita condivido: bimbo di 2 mesi prende fuoco in autocombustione


"Combustione umana spontanea", bimbo di due mesi prende fuoco




macchina polizia indiana
Choc in India dove un bimbo di due mesi è vittima di fenomeni di autocombustione. Il piccolo Rahul, un bimbo  nato nel Tamil Nadu (India meridionale), per ben quattro volte ha preso fuoco da solo. Medici ma anche specialisti del paranormale si stanno interogando su come possa avvenire.
Secondo "The Times of India", il caso viene ricollegato a quello indicato come combustione umana spontanea e di cui sarebbero stati segnalati circa 200 casi (presunti) negli ultimi tre secoli in tutto il mondo. La prima volta che la mamma del piccolo, Rajeshwari, ha assistito incredula al fenomeno è stato solo nove giorni  dopo il parto.
Ricoverato in ospedale, il piccolo Rahul è stato trovato sano e forte, e quindi dimesso. Ma poco dopo essere rientrato a casa, il suo corpo si è nuovamente ustionato. Dopo un terzo ed un quarto episodio dello stesso genere, i genitori hanno portato il figlioletto nel Kilpauk Medical College (KMC) di Chennai per studi più approfonditi, che per il momento non hanno fornito risposte conclusive. Il pediatra Narayana Babu, che ha in cura Rahul, ha dichiarato che la ragione potrebbe essere "l'emissione di un qualche gas altamente combustibile attraverso i suoi pori di cui non abbiamo ancora scoperto la natura".
Visibilmente preoccupato è il padre del bimbo, Karnan, che ha dichiarato a The Indian Express: "Come famiglia siamo veramente preoccupati perché gli abitanti del villaggio sono impauriti e ritengono che nostro figlio sia sotto il controllo di un demonio che innesca il fuoco".

lunedì 5 agosto 2013

Quando dovrebbe fare il GIUDICE fa il POLITICO e quando vorrebbe fare DIFENSORE (di se stesso) fa il COMICO: chi è?

Ma Re Giorgio (Napolitano) che, secondo la Costituzione italiana, è a capo della Magistratura cosa dice ora che sa che, a giudicare il cav. Silvio Berlusconi non è stato un giudice ma un avversario (o "nemico"?) politico? Aspetta che mister Esposito entri in politica (magari tra 2-3 anni) per "accorgersi" che è così? Allora fa il finto tonto. E quindi conferma di essere di parte, tutt'altro che "super partes", e soprattutto un ipocrita a continuare a fingere di non vedere una cosa così evidente: guardi, "caro" reuccio/despota (no, non è un Presidente della Repubblica: avrebbe capito che la Carta costituzionale da il POTERE al popolo e quindi ci faceva andare a votare, anziché IMPORCI quella schifezza di governicchio tenuto su con lo sputo. E con Mario Monti), solo chi non vuole vedere (perché, per l'appunto, ipocrita!) non vede. 

Oppure dobbiamo temere il peggio: non solo continua a dimostrarci che lei è sempre stato un comunista (uno iscritto al Partito Comunista italiano è un comunista, no?), ipocrita e di parte, ma è anche tenuto per le palle da qualche magistrato? Ovvero è sotto ricatto? Magari per le prove che ha fatto cancellare di come vendeva lo Stato (cioè noi tutti) alla mafia? O cose ancora peggiori (se possibile)? 

Tutto questo è molto peggio di avere un leader politico incarcerato in perfetto stile staliniano della mai morta Unione sovietica!!!

Esposito si difende (male) sul Fatto

Per 24 ore silenzio sepolcrale sulle rivelazioni del Giornale. Poi la smentita. Che smontiamo punto per punto


Per dovere di coscienza, sabato scorso ho rivelato sul Giornale due fatti di cui sono stato diretto testimone il 2 marzo 2009 a Verona, durante un ricevimento all'hotel Due Torri: 1) il giudice Antonio Esposito, presidente della seconda sezione penale della Corte suprema di Cassazione che ha confermato la condanna definitiva a carico di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset, mi parlò malissimo dell'ex premier, soffermandosi sul contenuto pecoreccio di presunte intercettazioni telefoniche nelle quali il Cavaliere avrebbe assegnato un punteggio alle prestazioni erotiche di due deputate del Pdl sue amanti; 2) lo stesso dottor Esposito mi anticipò lì a cena, fra una portata e l'altra, quale sarebbe stato il verdetto di colpevolezza che avrebbe emesso contro Vanna Marchi, puntualmente confermato meno di 48 ore dopo dall'agenzia Ansa.
Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito
Ho anche precisato che quest'ultimo episodio l'avevo già riportato a pagina 52 del mio libro Visti da lontano, edito da Marsilio nel settembre 2011, dunque in tempi non sospetti, quando ancora nessuno poteva sapere che il giudice Esposito sarebbe stato chiamato a occuparsi del processo Mediaset.
Anziché chiedersi se queste due notizie fossero vere oppure no, per 24 ore sono rimasti tutti zitti. Non un fax di smentita dall'interessato o dal suo legale. Non una nota dalla Cassazione. Non una dichiarazione di solidarietà al collega Esposito da parte dell'Associazione nazionale magistrati. Non un lancio dell'Ansa. Non un sottopancia scorrevole su Sky Tg24. Non un cenno nei siti dei principali quotidiani. Un fragoroso, sepolcrale silenzio. Interrotto alle 19.23 di sabato solo dalla home page di Dagospia.
Ieri, finalmente, il giudice Esposito ha affidato la sua replica al Fatto quotidiano, anziché al ben più diffuso Corriere della Sera. Scelta oculata: meglio non allargare troppo la frittata. Al posto suo, confesso che avrei fatto lo stesso, se non altro perché il giorno precedente quell'organo di stampa aveva tessuto le lodi della «Corte impermeabile del giudice Esposito» (titolo a pagina 6) e Gianni Barbacetto aveva definito il presidente della seconda sezione penale «un amante degli scacchi» e gli altri quattro componenti del collegio «moderati, moderatissimi, mai schierati politicamente e lontani dalle correnti della magistratura associata».
Il titolo di prima pagina del Fatto recitava: «Ora manganellano il giudice Esposito». Occhiello esplicativo preceduto dalla testatina «Fango»: «“Metodo Mesiano” contro il presidente della Cassazione». All'interno, si precisava che l'alto magistrato «non intende replicare “se non nelle sedi competenti” a quelle che ritiene calunnie e falsità». Subito dopo, però, con l'autore del pezzo Barbacetto, lo stesso che l'aveva asfissiato d'incenso il giorno prima, «accetta di spiegare che cosa non quadra nella ricostruzione del Giornale». Vediamo.

CENE ALLEGRE

«Intanto le sbandierate (in prima pagina) “cene allegre” si sono risolte in un'unica cena dopo la premiazione». Ho appunto raccontato di un'unica cena svoltasi nel ristorante dell'hotel Due Torri, seguita alla consegna del premio Fair play del Lions club al suo amico Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione, che poco prima avevamo presentato insieme al pubblico in tutt'altra sede. Al banchetto il mio posto era fra i due, Imposimato ed Esposito. Alla sinistra di quest'ultimo sedeva uno stimato funzionario dello Stato, che ha udito come me le esternazioni del giudice della Cassazione e che sarà chiamato a confermarle «nelle sedi competenti» care a entrambi (a Esposito e a me). Quanto all'occhiello di prima pagina declinato al plurale, non l'ho fatto io. E siccome «è il giornalista Stefano Lorenzetto ad allineare le presunte scorrettezze del magistrato», scrive Barbacetto, vorrei che si parlasse solo di quelle.

ABBIGLIAMENTO

Ho scritto nel 2011 in Visti da lontano, mai smentito, che il magistrato da me conosciuto era «sommariamente abbigliato (cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera)». Esposito nega: «Quanto all'abbigliamento, basta guardare le numerose foto scattate quel giorno e controllare le riprese televisive per constatare che era impeccabile». Le uniche riprese televisive esistenti le ho controllate tutte, fotogramma per fotogramma: non possono certo documentare in modo così ravvicinato i particolari da me elencati. Ma si dà il caso che io lavori sui dettagli da 40 anni, da quando faccio questo mestiere. Sono un maniaco dei dettagli, come sa chiunque mi legga (ed Esposito confessa d'avermi letto spesso). Ci mantengo la famiglia, con i dettagli. Ebbene: le riprese non possono certo mostrare i piedi del giudice, nascosti dal banco dei relatori. Però prima della cerimonia io e lui siamo stati anche seduti per una buona mezz'ora nell'atrio della sala convegni di Unicredit, mentre il suo amico Imposimato rilasciava interviste e firmava autografi. Eravamo sprofondati a gambe accavallate in due poltrone, a conversare amabilmente. E, nonostante lui affermi che «una cosa è comunque certa: io in vita mia non ho mai posseduto, né calzato (e dico mai senza tema di smentita) scarpe da jogging, attività che non ho mai praticato», riconfermo che a sfiorare le mie ginocchia erano le sue scarpe sportive, da jogging, da tennis, da running, le chiami come vuole. E aggiungo un altro dettaglio: bianche. Sì, bianche. Ma non lo aggiungo solo io: quelle scarpe se le ricordano anche Francesco Giovannucci, già prefetto di Verona, e sua moglie Enrica, che quella sera erano seduti in prima fila. Al loro occhio - allenato dalla lunghissima consuetudine con le regole del cerimoniale - la stravagante tenuta non poteva passare inosservata.
Le foto le sto cercando. Non è impresa facile, con i colleghi in ferie o che hanno smarrito una parte del loro archivio (è il caso di Giorgio Marchiori, fotoreporter del quotidiano locale L'Arena). E poi di solito i giornali prediligono le immagini a mezzobusto. Solo i feticisti scattano foto ai piedi.
Mi fa specie che un magistrato di Cassazione cerchi di svicolare adducendo come prova decisiva della mia inattendibilità un paio di scarpe. Non è di questo che si sta trattando. Io, comunque, non mi sono mai occupato del colore azzurro dei calzini del suo collega Francesco Mesiano (lo dico ai titolisti del Fatto). Quindi non tentate d'impiccarmi a un paio di scarpe. Con me cascate male: sono figlio di calzolaio.

INTERCETTAZIONI

Esposito nega d'aver detto quello che invece ha detto su Berlusconi. Vuole forse costringermi a pubblicare il testo stenografico delle telefonate che ho avuto con due illustri testimoni presenti a quella cena? Lo avverto: potrebbe restarci di sale. Sappia solo che il 24 luglio scorso ho interpellato il funzionario dello Stato che quella sera sedeva alla sua sinistra. A costui ho chiesto se si ricordasse: a) della cena; b) delle intercettazioni svelate da Esposito con la «pagella» sulle capacità erotiche delle due deputate del Pdl stilata da Berlusconi; c) della sentenza su Vanna Marchi che il giudice ci anticipò durante il banchetto. Nonostante siano passati quasi quattro anni, mi ha risposto per tre volte: «Sì che mi ricordo!». Dopodiché gli ho anche chiesto se sapesse chi fosse quel magistrato. Risposta: «Non lo so, io, me lo sono trovato lì...». Quando gli ho spiegato che si trattava del giudice che di lì a pochi giorni avrebbe deciso il destino di Berlusconi, ha esclamato, sbigottito: «Ma va' lààà! Ma va' lààà! Dìmene altre!». Che in dialetto veronese sta per «dimmene altre», cioè non posso crederci.

AMARONE

Il Fatto ricorda che «Lorenzetto comunque concede al giudice una “misericordiosa attenuante”: “Forse era un po' brillo”, aveva “ecceduto con l'Amarone”». E che altro avrei dovuto pensare all'udire gli sconcertanti pettegolezzi di un eminente magistrato della Repubblica? «Ma il giornalista non poteva non notare che io non ero “un po' brillo” perché sono, da una vita, completamente astemio. Non c'è persona al mondo che possa testimoniare di avermi visto bere vino o altre bevande», afferma il magistrato.
Mi perdoni, dottor Esposito, questo è un clamoroso autogol: ci sta dicendo che lei era sobrio mentre malignava su Berlusconi, s'intratteneva su intercettazioni coperte da segreto istruttorio e anticipava una sentenza su Vanna Marchi che avrebbe dovuto formarsi nel chiuso di una camera di consiglio e non a tavola. Voglia rammentare che l'«attenuante misericordiosa» gliela concessi in forma dubitativa nel libro: sabato scorso gliel'ho revocata, scrivendo che «da giovedì sera mi sono invece convinto che, mentre a cena sproloquiava su Silvio Berlusconi e Vanna Marchi, era assolutamente lucido nei suoi propositi. Fin troppo».

GENIO DEL MALE

«C'è di peggio: Lorenzetto racconta che il giudice, prima della consegna del premio, secondo un testimone avrebbe fatto affermazioni pesanti su Berlusconi, reputato “un grande corruttore” e “il genio del male”». Si difende Esposito: «Quelle parole non le ho mai dette: ma le pare che avrei potuto pronunciare giudizi di quel tipo, mentre ero al tavolo ove si presentava un libro e si consegnava un premio, innanzi a 500 persone?». E chi ha mai scritto che le ha pronunciate davanti a 500 persone? Lei le ha profferite in varie occasioni davanti a uno stimato professionista, un testimone presente a quella serata, che me le ha confermate più e più volte, anche di recente, in una registrazione piuttosto lunga: dura 29 minuti e 30 secondi. Ed è un testimone degno di fede.

CHI SONO

Riferendosi a me, Esposito spiega al Fatto: «Dice anche che io mi sarei lasciato andare perché non ero a conoscenza per quale testata lavorasse: invece lo sapevo, sia perché avevo letto più volte articoli a sua firma, sia perché gli organizzatori ci avevano segnalato il moderatore della serata». A parte che io mi sono limitato a formulare una mera ipotesi («Presumo che ignorasse per quale testata lavorassi»), mi rallegra, dottor Esposito, annoverarla fra i miei lettori. Ma pure qui si sta facendo del male da solo: la circostanza di conoscermi e di sapere per quale testata lavorassi avrebbe dovuto indurla a raddoppiare la prudenza e il riserbo che le sono imposti dall'alto ufficio affidatole.
A questo punto vorrei dirle poche cose sul mio conto. Mi sono dimesso dalla vicedirezione vicaria del Giornale nel 1998, rinunciando ai cinque sesti dello stipendio. Da allora vado in cerca di italiani qualunque. Ne ho intervistati finora 660. Da parecchio tempo non mi occupo né di politica né di giustizia. Non aspiro a dirigere Il Giornale, né Panorama (l'altro mio datore di lavoro, dove sono attualmente cassintegrato), né il Tg5, né null'altro. Faccio il giornalista col massimo scrupolo, come sono certo faccia lei, dottor Esposito, nella sua delicata professione, e ciò mi ha guadagnato la stima di varie personalità, fra cui l'attuale presidente del Consiglio, Enrico Letta, Sergio Zavoli, Enzo Biagi, Ferruccio de Bortoli, Giovanni Minoli, Vittorio Messori, Aldo Busi e Marina Orlandi, vedova del professor Marco Biagi assassinato dalle Nuove Br. E persino di Marco Travaglio, vicedirettore del Fatto quotidiano.

CONCLUSIONE

A me pare che il thema decidendum non sia il paio di scarpe sportive che lei indossava, bensì il fatto (non quotidiano) che il presidente di una sezione penale della Corte suprema di Cassazione fosse talmente prevenuto in senso sfavorevole a un imputato da dovergli consigliare di astenersi. Io so d'aver detto tutta la verità, nient'altro che la verità, giudice Esposito. Le confesso che temo molto il suo giudizio e quello che ne deriverà nelle aule a ciò preposte. Ma temo molto di più il verdetto di un Giudice che sta sopra di lei e sopra di me. Quello sì definitivo.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

Se Berlusconi è politicamente morto io sono Papa Francesco! (LOL)

Berlusconi politicamente morto? No, è vivo e senza rivali

La sentenza per frode fiscale arriva dopo un processo demenziale e non vale nulla. Per far fuori Berlusconi serve un leader capace di strappargli i consensi. Ma non c'è

Berlusconi politicamente morto? Mi viene da ridere. I suoi avversari sono tuttora spiaccicati nell'irrilevanza, e in più sono suoi alleati di governo per necessità, vivono l'esperienza in un clima di divisione, ostilità reciproca, guerra dei capi, con il buon Matteo che si logora in strepiti verbali e altre acrobazie correntizie, lui che aveva detto di aver imparato la lezione di Berlusconi e voleva imitarlo con tanta buona volontà nella leadership personale e carismatica.
Il partito crisaiolo della Repubblica di De Benedetti, che è l'immagine stessa di un conflitto di interessi addirittura più illustre di quello del Cav, preme per l'Armageddon subito, vuole dettare contenuti e tempi a un partito epifanizzato, evirato, vuole eterodirigerlo platealmente. Ma è un giochino vecchio che divide e aggiunge caos, non una leadership. Il partito di Ingroia è nelle catacombe. Di Pietro si leccherà le ferite di una carriera politica ingloriosa per un po'. Grillo ha spiegato chi è davvero, con il suo consorte Casaleggio, e in pochi mesi è diventato una barzelletta che può ancora divertire una piccola minoranza e minacciare un governo «del cambiamento» a vanvera. La crisi da sinistra dell'esecutivo Letta-Berlusconi-Napolitano e quindi un governicchio in balia dei No Tav e dei somarelli di una classe dirigente da quarto mondo? Sarebbe un regalo anche troppo generoso a Berlusconi, non glielo faranno.
Berlusconi colpito e affondato da una sentenza per frode fiscale pronunciata al termine di un processo demenziale perché «non poteva non sapere»? Mi scompiscio dal ridere. Ci vuole altro per mettere fuori gioco e fuori legge un pezzo gagliardo e ostinato di sovranità popolare, da Berlusconi rappresentato con vittorie elettorali e clamorose rimonte, e formidabili rivincite, per due decenni. La sentenza è politicamente e civilmente ed eticamente nulla. Dovrebbero trovarne un'altra strada, non un timbro giudiziario a cui non crede nessuno, neanche chi lo festeggia come un giudizio di Dio, se il loro problema è far fuori Berlusconi. Dovrebbero trovare una leadership credibile che gli contenda i voti, il consenso, il discorso pubblico che solo lui è oggi in grado di fare. Ma il gran borghese Monti, che ha dato una mano all'Italia finché è stato un tecnico, è affondato nelle risse piccolo politiche con gli uomini di Casini e di Montezemolo. Fini si trastulla non si sa dove e giustamente tace. Tremonti lotta contro il golpe di Draghi. Ma via, siamo seri. Non c'è nessuno capace di prendere il posto di Berlusconi alla testa dell'Italia che non accetta il governo di sinistra, e che governo. L'Ulivo fallì, la serietà al governo fallì, D'Alema se lo sono mangiato i cannibali. E allora? Senza avversari e senza concorrenza interna (un saluto a Pisanu) che cosa volete che sia un annetto di domiciliari e qualche difficoltà con il passaporto.
Anzi. La persecuzione, l'imprigionamento virtuale di un uomo libero e testimone di un programma di libertà, sembra fatta apposta per prolungare ad libitum quella «vita attiva» di cui Berlusconi si sente «quasi» al termine. «Quasi»: ma che adorabile bugiardo! Non so che cosa sceglierà di fare il dominatore di questi anni, il domatore di nani che Berlusconi è stato fino ad ora. Non so. Marina? Sarebbe clamoroso e forse decisivo, se la situazione lo rendesse obbligato. Una donna, e capace e tignosa, che porta il nome e l'eredità di valori e di modi, ma al femminile, del padre politico del movimento. Bush. Clinton. Ricorda qualcosa? Non sarebbe la prima americanizzazione introdotta dal Cav. Oppure troverà altri modi, e tutto sta a superare la fase critica di una «diminutio» delle facoltà ottenuta per via di un'espulsione forzata dall'arena democratica. Certo, niente garantisce niente. Ma prima di dire che Berlusconi è politicamente morto, uno sport in cui i fessi si esercitano da vent'anni, ci penserei sopra un momento.
C'è poi una questione di fondo. Il Paese. I suoi interessi veri. L'uscita dalla crisi recessiva. Ha la sinistra divisa e incauta una formula? Sembrava a cavallo, qualche mese prima delle recenti elezioni politiche, e poi splash. A chi non considera il principio di realtà, a chi non sa parlare un linguaggio di decente modernizzazione liberale dell'economia, di riforme pro mercato e pro lavoro, a chi cerca di turlupinarci con vecchi rancori anticasta, con cretinate sociali da lotta di classe fuori tempo, con narrazioni obsolete alla Saviano e Vendola, non sarà troppo difficile rispondere con un programma serio di riscatto e di rinascita italiana. Non troppo difficile, ma neanche facile. Berlusconi, proprio ora che tutto congiura a imprigionarlo in una formula difensiva, deve passare all'attacco. Ma sulle questioni importanti, su tasse e spesa pubblica, per fare in modo che la gente capisca: una vecchia nomenklatura spossata non ce la farà mai a cogliere i segnali di una possibile ripresa, che per noi parte dal fondo di una specie di abisso eurocostipato. Dagli arresti domiciliari si possono fare grandi cose, se un movimento e uno staff acconci fossero capaci di rilanciare l'immagine vera, quella di un prigioniero che si considera uomo libero, di un uomo accanitamente insultato, diffamato e perseguitato che sa come cavarsela alla Superman, perché usa la modestia dei suoi avversari politici e togati come il supereroe usava la kriptonite. Berlusconi politicamente morto? Andate avanti voi, che a me scappa da ridere.

domenica 4 agosto 2013

Re Giorgio, che fai? Sei correo, ipocrita o sotto ricatto da certi "magistrati"...?

Napolitano sveglia

C'è in gioco la democrazia e il Presidente fa l'offeso. Ma quando toccò a lui la porcata giudiziaria...

Napolitano è infuriato col Pdl? Pazienza, ce ne faremo una ragione. Bersani dice di aver perso la pazienza per l'atteggiamento del Pdl? E chi se ne frega, si accomodi, lui e il Pd, fuori dal governo che tanto andrà a sbattere per la seconda volta in pochi mesi.
Dopo aver messo agli arresti Berlusconi ora pretendono pure di silenziare il Pdl e i suoi milioni di elettori. Addirittura stanno facendo passare per adunata sediziosa la manifestazione di oggi a Roma di sostegno a Silvio Berlusconi. Attenti alle parole, dicono minacciosi. Di mio propongo due o tre slogan: Giudici banditi, Napolitano sveglia, Libertà. Ma Napolitano non potrà ascoltarli perché al Popolo della libertà sarà impedito di sfilare fino a piazza del Quirinale, la stessa che invece venne aperta ai contestatori di Berlusconi la notte delle drammatiche dimissioni da premier. In questo Paese tutto funziona a due velocità e morali: c'è una giustizia per chi è di destra e una per chi è di sinistra, le piazze della sinistra sono democratiche, le altre eversive e via dicendo.
Se avesse solo un po' di coraggio, dovrebbe essere lo stesso Napolitano ad aprire piazza del Quirinale in segno di rispetto e ascolto verso dieci milioni di italiani. Che vivono lo stesso dolore che ha provato lui quando una giustizia banditesca e fuori controllo voleva metterlo alla berlina e mandarlo sotto processo dopo aver origliato illegalmente alcune sue imbarazzanti telefonate. Un suo amico e consigliere fidato, Loris D'Ambrosio, morì d'infarto per la preoccupazione e la vergogna, vittima di una giustizia non sacra ma assassina. La vendetta del presidente fu spietata: pretese e ottenne la sua stessa assoluzione, le prove furono bruciate, i protagonisti di quella infamia, in testa Ingroia e Di Pietro, sono finiti a zappare l'orto e gli è andata ancora bene.
E allora che facciamo presidente? Non è bello che quando tocca a lei difendersi da giudici scellerati non si vada giù per il sottile, quando tocca ad altri si urli invece al golpe e si vietino le piazze. Non abbia paura, signor presidente, ci dimostri che lei con questa porcata non ha nulla a che fare, altrimenti i maligni che parlano di una sua discreta complicità nell'omicidio di Berlusconi avranno sempre più spazio. E, sarebbe brutto scoprirlo, pure ragione.

sabato 3 agosto 2013

...ed io che pensavo che i GIUDICI dovessero essere EQUI e SUPER PARTES...

Alla faccia dell'imparzialità, della compostezza, del volere impartire la giustizia: alcuni giudici sembrano più facinorosi degli hooligans inglesi, meno equanimi di Moggi messo ad arbitrare la Juventus...
Se non stessi vomitando dallo schifo e dall'indignazione potrei rotolarmi per terra dal ridere, e mi chiedo: ma Re Giorgio, a capo della Magistratura, non muove un dito perché è un ipocrita peggiore di questi "magistrati" o è sotto ricatto proprio da loro?
Molto probabilmente entrambe le cose!!!
Mi sento orgogliosa di essere italiana soltanto perché esistono persone come SILVIO BERLUSCONI!



Così infangava Berlusconi il giudice che l'ha condannato

Il presidente della sezione feriale della Cassazione parlò di presunte gare erotiche del premier con due deputate del Pdl. E anticipò la condanna di Vanna Marchi che emise due giorni dopo. Le malignità sul Cav raccolte al Due Torri di Verona nel marzo 2009

Questo è l'articolo più difficile che mi sia capitato di scrivere in 40 anni di professione. Un amico magistrato, due avvocati, mia moglie e persino il giornalista Stefano Lorenzetto mi avevano caldamente dissuaso dal cimentarmi nell'impresa. Ma il cittadino italiano che, sia pure con crescente disagio, sopravvive in me, s'è ribellato: «Devi!».
Il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito
Dunque eseguo per scrupolo di coscienza.
In una nota diramata dal Quirinale dopo la condanna definitiva inflitta a Silvio Berlusconi, il capo dello Stato ci ha spiegato che «la strada maestra da seguire» è «quella della fiducia e del rispetto verso la magistratura». Ebbene, signor Presidente, qui devo dichiarare pubblicamente e motivatamente che fatico a nutrire questi due sentimenti - fiducia e rispetto - per uno dei giudici che hanno emesso il verdetto di terzo grado del processo Mediaset. Non un giudice qualunque, bensì Antonio Esposito, il presidente della seconda sezione della Corte suprema di Cassazione che ha letto la sentenza a beneficio delle telecamere convenute da ogni dove in quello che vorrei ostinarmi a chiamare Palazzo di Giustizia di Roma, e non, come fa la maggioranza degli italiani, Palazzaccio.
Vado giù piatto: ritengo che il giudice Esposito fosse la persona meno adatta a presiedere quell'illustre consesso e a sanzionare in via definitiva l'ex premier. Ho infatti serie ragioni per sospettare che non fosse animato da equanimità e serenità nei confronti dell'imputato. Di più: che nutrisse una forte antipatia per il medesimo, come del resto ipotizzato da vari giornali. Di più ancora: che il giudice Esposito sia venuto meno in almeno due situazioni, di cui sono stato involontario spettatore, ai doveri di correttezza, imparzialità, riserbo e prudenza impostigli dall'alto ufficio che ricopre.
Vengo al sodo. 2 marzo 2009, consegna del premio Fair play a Verona. L'avvocato Natale Callipari, presidente del Lions club Gallieno che lo patrocina, m'invita in veste di moderatore-intervistatore. È un'incombenza che mi capita tutti gli anni. In passato hanno ricevuto il riconoscimento Giulio Andreotti, Ferruccio de Bortoli, Pietro Mennea, Gianni Letta. Nel 2009 la scelta della giuria era caduta su Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Cassazione. Nell'occasione l'ex giudice istruttore dei processi per l'assassinio di Aldo Moro e per l'attentato a Giovanni Paolo II giunse da Roma accompagnato da un carissimo amico: Antonio Esposito. Proprio lui, l'uomo del giorno. Col quale condivisi il compito di presentare un libro sul caso Moro, Doveva morire (Chiarelettere), che Imposimato aveva appena pubblicato.
Seguì un ricevimento all'hotel Due Torri. E qui accadde il fattaccio. Al tavolo d'onore ero seduto fra Imposimato ed Esposito. Presumo che quest'ultimo ignorasse per quale testata lavorassi, giacché nel bel mezzo del banchetto cominciò a malignare, con palese compiacimento, circa il contenuto di certe intercettazioni telefoniche riguardanti a suo dire il premier Berlusconi, sulle quali vari organi di stampa avevano ricamato all'epoca della vicenda D'Addario, salvo poi smentirsi. Il presidente della seconda sezione penale della Cassazione dava segno di conoscerne a fondo il contenuto, come se le avesse ascoltate. Si soffermò sulle presunte e specialissime doti erotiche che due deputate del Pdl, delle quali fece nome e cognome, avrebbero dispiegato con l'allora presidente del Consiglio. A sentire l'eminente magistrato, nella registrazione il Cavaliere avrebbe persino assegnato un punteggio alle amanti. «E indovini chi delle due vince la gara?», mi chiese retoricamente Esposito. Siccome non potevo né volevo replicare, si diede da solo la risposta: «La (omissis), caro mio! Chi l'avrebbe mai detto?».
Io e un altro commensale, che sedeva alla sinistra del giudice della Cassazione, ci guardavamo increduli, sbigottiti. Ho rintracciato questa persona per essere certo che la memoria non mi giocasse brutti scherzi. Trattasi di uno stimato funzionario dello Stato, collocato in pensione pochi giorni fa. Non solo mi ha confermato che ricordavo bene, ma era ancora nauseato da quello sconcertante episodio. Per maggior sicurezza, ho interpellato un altro dei presenti a quella serata. Mi ha specificato che analoghe affermazioni su Berlusconi, reputato «un grande corruttore» e «il genio del male», le aveva udite dalla viva voce del giudice Esposito prima della consegna del premio.
Non era ancora finita. Sempre lì, al ristorante del Due Torri, il giudice Esposito mi rivelò quale sarebbe stato il verdetto definitivo che egli avrebbe pronunciato a carico della teleimbonitrice Vanna Marchi, la quale pareva stargli particolarmente sui didimi: «Colpevole» (traduco in forma elegante, perché il commento del magistrato suonava assai più colorito). Infatti, meno di 48 ore dopo, un lancio dell'Ansa annunciava da Roma: «Gli amuleti non hanno salvato Vanna Marchi dalla condanna definitiva a 9 anni e 6 mesi di reclusione emessa dalla seconda sezione penale della Cassazione». Incredibile: la Suprema Corte, recependo in pieno quanto confidatomi due giorni prima da Esposito, aveva accolto la tesi accusatoria del sostituto procuratore generale Antonello Mura, lo stesso che l'altrieri ha chiesto e ottenuto la condanna per Berlusconi. Ma si può rivelare a degli sconosciuti, durante un allegro convivio, quale sarà l'esito di un processo e, con esso, la sorte di un cittadino che dovrebbe essere definita, teoricamente, solo nel chiuso di una camera di consiglio?
Capisco che tutto ciò, pur supportato da conferme testimoniali che sono pronto a esibire in qualsiasi sede, scritto oggi sul Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi possa lasciare perplessi. Ma, a parte che non mi pareva onesto influenzare i giudici della Suprema Corte alla vigilia dell'udienza, v'è da considerare un fatto dirimente: alcuni dettagli dell'avventura che m'è capitata a marzo del 2009 li avevo riferiti nel mio libro Visti da lontano (Marsilio), uscito nel settembre 2011, dunque in tempi non sospetti, considerato che la sentenza di primo grado a carico di Berlusconi è arrivata più di un anno dopo, il 26 ottobre 2012, ed è stata confermata dalla Corte d'appello l'8 maggio scorso. Senza contare che il collegio dei giudici di Cassazione che ha deliberato sul processo Mediaset è stato istituito con criteri casuali solo di recente.
A pagina 52 di Visti da lontano, parlando di Imposimato (che non ha mai smentito le circostanze da me narrate), scrivevo: «Una sera andai a cena con lui dopo aver presentato un suo libro. Debbo riconoscere che sfoderò un'affabilità avvolgente, nonostante le critiche che gli avevo rivolto. Era accompagnato dal presidente di una sezione penale della Cassazione sommariamente abbigliato (cravatta impataccata, scarpe da jogging, camicia sbottonata sul ventre che lasciava intravedere la canottiera). Il quale, forse un po' brillo, mi anticipò lì a tavola, fra una portata e l'altra, quale sarebbe stato il verdetto del terzo grado di giudizio che poi effettivamente emise nei giorni seguenti a carico di una turlupinatrice di fama nazionale. Da rimanere trasecolati».
Allora concessi al mio occasionale interlocutore togato una misericordiosa attenuante: quella d'aver ecceduto con l'Amarone. Da giovedì sera mi sono invece convinto che, mentre a cena sproloquiava su Silvio Berlusconi e Vanna Marchi, era assolutamente lucido nei suoi propositi. Fin troppo.
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

giovedì 1 agosto 2013

PENA DI MORTE A SILVIO BERLUSCONI (e poi negano che certi magistrati non stiano facendo politica?)

Avevo sperato fino all'ultimo in una sentenza di CONDANNA A MORTE immediatamente eseguibile ed eseguita: solo con questa sentenza il tribunale di guerra di Lenin e di Stalin avrebbe potuto raggiungere lo scopo di 20 anni di inseguimenti e meschine figuracce.

No, non si parla di un tossico che uccide ciclisti o bimbi che attraversano con la madre sulle strisce pedonali, e nemmeno chi uccide la propria compagna con 25 coltellate, o chi sevizia ed uccide a seguito di una rapina. Stiamo parlando di un uomo, ultrasettantenne, che da 20 ha osato pensare che l'Italia meritava quella LIBERTA' che i nostri nonni ci hanno regalato a costo della vita.
In effetti quanti "magistrati" possono vantare parenti che hanno patito per liberare la nostra Nazione? Non di certo di questi "togati" che si cospargono il viso di quintali di bronzeo metallo pur di raggiungere l'obiettivo di eliminare il ("il", cioè l'unico) Avversario politico che li ha battuti, che ha vinto anche la "gioiosa macchina da guerra" dopo che, appunto, qualche "magistrato" aveva tolto di mezzo i partiti avversari al PCI (Partito Comunista Italiano)

Hanno sbagliato! Ai due terzi di votanti in Italia va bene che girino liberi gli assassini, anche i più efferati, ma non chi pensa di regalar loro la libertà di voto (ricordiamo quando "certi magistrati" hanno vietato al PDL di partecipare alle elezioni nella Regione Lazio?), di pensiero (arrestano anche i giornalisti; beh solo quelli che non la pensano come loro, ovvio!) e di parola, questo va UCCISO! E mortificandone il corpo, gli eredi e gli amici. E chi lo ha votato e lo voterebbe ancora!

Cavoli, se fossimo una Nazione con le palle avremmo appeso per gli stessi attributi questa gentaglia pagata con le nostre imposte e che, quando sbaglia (anche per dolo o colpa grave) non paga mai in prima persona!
E invece, noi aspettiamo che riprenda il campionato di calcio e, come i vari Vendola o Marrazzo o Luxuria ecc ecc ci insegnano, rimaniamo a "90 gradi e con le mutandine calate"

CHE VERGOGNA, ITALIA!!!
Adesso speriamo che solo il Buon Dio ce li tolga dai coyotes, sperando che i giovani siano meno vili, venduti e che abbiamo almeno dignità e morale...


Processo Mediaset, la Cassazione conferma la condanna a 4 anni di carcere

Dopo oltre 10 anni è arrivato il giorno della sentenza. Dopo quasi sette ore di camera di consiglio, la Suprema Corte conferma la condanna a 4 anni di carcere. Annullata l'interdizione dai pubblici uffici che dovrà essere ricalcolata. Vai allo speciale: ASSALTO GIUDIZIARIO

Conferma della condanna d’appello a quattro anni di reclusione e rinvio dell'interdizione dai pubblici uffici alla Corte d’Appello di Milano per rideterminare la pena. Dopo dodici anni di scontri giudiziari e politici è arrivato il giorno della sentenza al processo sui diritti tv Mediaset: dopo quasi sette ore di camera di consiglio, la Corte di Cassazione ha deciso di condannare Silvio Berlusconi e, insieme lui, dieci milioni di italiani che alle ultime elezioni hanno votato il Pdl.
Il Presidente della sezione feriale della corte di cassazione Antonio Esposito legge la sentenza del processo Mediaset



Oltre 10 anni di "scontri" giuridici e politici, prima del verdetto della Cassazione. Il Cavaliere ha atteso il verdetto della Suprema Corte a Palazzo Grazioli. Dopo che l’accusa ha chiesto la conferma della condanna per Berlusconi ma la riduzione da cinque a tre anni della pena accessoria dell’interdizione, ieri in Cassazione la parola era passata alle difese. "Manca nel tessuto della sentenza un elemento probatorio che Berlusconi possa aver partecipato al reato proprio", aveva detto uno dei due legali del Cavaliere, Niccolò Ghedini, aggiungendo che è stato un processo in cui "non c’è stata data possibilità di difenderci". "Nessuna prova è stata raccolta su ingerenze di Berlusconi nella gestione di Mediaset dal 1995 ad oggi" aveva spiegato anche l’avvocato Franco Coppi che ieri pomeriggio, per quasi due ore, aveva evidenziato gli interrogativi disseminati lungo i 94 motivi di ricorso alla Suprema corte.


Secondo Coppi, la sentenza d’appello "muove da un pregiudizio", cioè che "ci sia un meccanismo truffaldino ideato negli anni Ottanta, che sia stato ideato da Berlusconi""Ma il reato non c’è", aveva detto chiedendo quindi l’annullamento della sentenza o un nuovo processo d’appello per derubricare il reato. Annullamento che non è arrivato. La Corte di Cassazione si è, infatti, limitata ad annullare la sentenza impugnata limitatamente alla condanna alla pena accessoria per l’interdizione temporanea per cinque anni dai pubblici uffici. L'articolo 12 del decreto legislativo stabilisce infatti che, in caso di condanna per frode fiscale si applica, come pena accessoria, "l’interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore a un anno e non superiore a tre anni". I giudici di Milano, censurati sul punto dalla Cassazione, avevano, invece, applicato le disposizioni generali in materia di interdizione dai pubblici uffici che, tra l’altro, stabiliscono che "la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni", quanti ne erano stati previsti per il Cavaliere sia in primo che in secondo grado. Per quanto riguarda la pena in carcere, la Suprema ha rigettato, invece, il ricorso del Cavaliere.


Insomma, ingiustizia è fatta. "Non dirò a..." si è limitato uno dei legali dello studio Coppi.
A questo punto per rideterminare gli anni di interdizione dai pubblici uffici, Berlusconi dovrà subire un nuovo processo in Corte di Appello a Milano, da parte di una sezione diversa da quella che si espressa sul merito del processo sui diritti Mediaset. Processo che dovrebbe svolgersi in autunno. Per cui Berlusconi resterà senatore ancora per diversi mesi. Per il momento c'è solo una certezza: condannando Berlusconi, la Cassazione ha decapitato la democrazia.





Basta politica a colpi di processi

Mai il conflitto di poteri fu in così evidente contrasto con l'equilibro che essi dovrebbero mostrare


S'intende il 30 luglio come una data epocale: il passaggio da una fase all'altra, da una democrazia libera a una democrazia commissariata.
Nessun dubbio che l'attivismo della magistratura su questioni irrilevanti e contraddittorie, abbia come obiettivo di alterare la dialettica democratica e interferire sulle scelte autonome della politica.
Mai il conflitto di poteri fu in così evidente contrasto con l'equilibro che essi dovrebbero mostrare.
Il Parlamento ha maggioranza e opposizione dalla stessa parte. L'esecutivo è condizionato dalle decisioni della magistratura. La magistratura, più di sempre, stabilisce chi è abilitato a governare e chi no. Siamo arrivati alla legittimazione del condizionamento e della subordinazione dell'attività politica alle sentenze giudiziarie, con l'ipocrisia di affermare il contrario. Il sogno di Di Pietro, diventato realtà, quando Di Pietro è in sonno.
I processi a Berlusconi sono oggettivamente pretestuosi e risibili. Quello che ha la sua scadenza, come un giudizio di Dio, il 30 luglio, attribuisce a Berlusconi una consapevolezza e una responsabilità diretta che egli non aveva neppure quando era a capo delle sue aziende: resta inspiegabile come un gruppo paghi ogni anno quasi 500 milioni di tasse e si esponga al giudizio per tre milioni di supposta evasione. La condanna in primo grado per il Caso Ruby, come le condanne a Fede, Mora e Minetti, estendono la sfera della giurisdizione a quella della morale, in modo straordinariamente sbilanciato rispetto all'obbligatorietà dell'azione penale.
Nessuno persegue i documentati clienti di Ruby. E nessuno ricerca gli sfruttatori di prostitute anche minorenni che, quotidianamente, e facilmente reperibili, promuovono e alimentano questa attività a Milano e in tutta Italia. Qualunque commissariato di polizia può documentarlo.
Ma già si annunciano altri processi per mantenre il deputato nella permanente condizione di imputato. Tutti risibili e fasulli, con personaggi da operetta: Tarantini, De Gregorio, Lavitola.
Nessuna autorità politica e morale, non che difenda Berlusconi o lo riconosca come vittima, ma che stigmatizzi il movimento inutile, e che si muove nel vuoto di responsabilità inesistenti, da parte della magistratura.
Le povere ragazze che hanno visto «l'inferno» e hanno chiesto danni per una cena, sono state documentatamente pagate e mantenute da uomini maturi, in circostanze che nessuno ha voluto verificare.
Non si riconoscono parti lese, vittime, persone che abbiano patito danni, e per i quali il responsabile debba riparare o pagare. Non esistono denunce e riscontri se non di atti compiuti liberamente nella sfera privata.
Uno scandalo giuridico accompagnato dal silenzio di chi avrebbe dovuto denunciarlo, a partire dal presidente della Repubblica. Il presidente Cossiga avrebbe ridicolizzato una magistratura che lascia quotidianamente distruggere l'Italia con opere pubbliche inutili (vedi La Spezia) e si occupa d'indagare ciò che avviene nei letti di un cittadino, pur gravato di pubbliche responsabilità.
Un giorno si stabilirà che un ministro non può in camera sua leggere Justine del marchese De Sade o Petrolio di Pasolini. Siamo arrivati a legittimare l'azione della magistratura nelle sfere più intime e segrete, violando l'intimità delle persone e costringendole su stereotipi come «sfruttatori» e «prostitute». 
Mai la libertà era stata minacciata, come per indicare, attraverso una punizione esemplare, l'illegittimità di comportamenti del tutto estranei alla sfera penale, evidentemente scambiata con quella del pene.
L'indignazione dei moralisti ha frenato l'indignazione contro lo stupro e la violenza della legge, nella totale indifferenza dei radicali, in altre epoche attivissimi contro gli abusi, le storture e le perversioni dei magistrati (e ora, come madre di tutte le battaglie, preoccupati soltanto di garantire la possibilità di fumare in automobile: i diritti civili in fumo). 
Si registra che comportamenti di questo genere, da parte della magistratura inquirente, si erano verificati soltanto nell'infame Caso Braibanti (con la riduzione dell'amore e della libertà sessuale, in plagio), e in quello dell'Ultimo tango a Parigi, destinato alla distruzione dalla morbosa follia di inquirenti sessuofobi.
Nessuno può considerare reato la disponibilità sessuale, libera e spontanea di giovani donne, come di giovani uomini, per i quali, in particolare, si invocano tutte le garanzie.
Il caso Berlusconi, purtroppo inquinato dal giudizio sulla sua attività politica, è il documento della più violenta coercizione delle libertà individuali e dei diritti della persona, dai tempi delle spedizioni punitive delle squadracce fasciste contro gli omosessuali. Altro che omofobia. Qui si vogliono condannare le libertà sessuali di chiunque non si professi omosessuale. Nel qual caso egli ha diritto a tutti i desideri che vuole.
Che età avevano i ragazzi con i quali aveva rapporti sessuali Pasolini, che ne otteneva i favori in quanto professore? E fu naturalmente assolto in un Tribunale dell'Italia del 1950, più garantista e tollerante dell'Italia del 2013.
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