sabato 23 aprile 2011

Oggi Dio è morto....

Sabato Santo

Il Sabato Santo è detto giorno
aliturgico da intendersi non nel
senso che è l'unico giorno dell'anno
che sarebbe senza alcuna
liturgia, se non fosse prevista la
celebrazione della Liturgia delle
Ore, ma che in esso non si celebra
la Messa. Un’antica omelia
del sabato santo recita: «Oggi
sulla terra c’è grande silenzio,
grande silenzio e solitudine.
Grande silenzio perché il Re dorme:
la terra è rimasta sbigottita
e tace, perché il Dio fatto carne
si è addormentato e ha svegliato
coloro che da secoli dormivano.
Dio è morto nella carne ed è
sceso a scuotere il regno degli
Inferi… in altre parole è preparato
per te dai secoli eterni il
Regno dei cieli

venerdì 22 aprile 2011

La Parola di Dio

Venerdì Santo
Gv 18,1- 19,42


«Quaerens me sedisti lassus, redemisti
crucem passus» recita
un’antica sequenza medievale:
«Cercandomi ti sedesti stanco,
mi hai redento con il supplizio
della Croce». Dio non ci abbandona.
La sua passione gloriosa è
il segno dell’amore che non muore.
Dio cerca anche oggi i suoi
figli e li riscatta dal male e dalla
morte. Si fa carico di tutti noi:
della nostra insipienza e del pec-
cato, della cattiveria e della violenza,
dell’ipocrisia e della superficialità.
La sua misericordia è senza
limite, il suo amore non ha
confini. Oggi è il giorno del perdono,
il segno della Grazia: Dio
santo, Dio forte, Dio immortale,
abbi pietà di noi.

giovedì 21 aprile 2011

PAKISTAN, COSTRETTE A CONVERTIRSI ALL’ISLAM CON LA VIOLENZA

Non cessa la spirale di violenza
contro i cristiani in
Pakistan. Vittime soprattutto
le donne, spesso
stuprate, costrette a
matrimoni forzati e a
conversioni all’islam. A
denunciarlo sono fonti locali
dell’Agenzia Fides e il
Centre for Legal Assistence
and Settlement (CLAAS),
che si occupa dell’assistenza
legale dei cristiani discriminati
e perseguitati in
Pakistan, conferma l’allarme,
riportando dettagliatamente
numerosi casi di
violenza avvenuti soprattutto
nella provincia del
Punjab. L’ultima vittima,
Lubna Masih, 12 anni, è
stata violentata e uccisa
da un gruppo di musulmani
a Rawalpindi. La Chiesa
in Pakistan sta operando
per arginare il fenomeno,
cercando la collaborazione
delle istituzioni.
«Le ragazze cristiane
sono le più deboli e vulnerabili,
perché le comunità
da cui provengono sono
povere, indifese, emarginate
- spiega a Fides una
religiosa che si occupa di
nascondere e assistere le
ragazze che riescono a
fuggire - la tendenza è
davvero preoccupante: si
registrano centinaia di casi
l’anno e quelli che vengono
alla luce sono una minima
parte».
Intanto continuano ad
aumentare i casi di condanna
per blasfemia. La
legge sulla blasfemia è
spesso utilizzata come pretesto
dai fondamentalisti
per attaccare le minoranze
religiose, che in Pakistan
costituiscono il 4% della
popolazione. Secondo i
dati pubblicati dal National
Commission for Justice and
Peace (Ncjp) della Conferenza
episcopale del Pakistan,
dal 1986 al 2009 ben
964 persone sono state
arrestate per aver profanato
il Corano o dissacrato
Maometto.
Proprio per le vittime
della legge sulla blasfemia
il 20 aprile, mercoledì
della Settimana
Santa, si celebrerà una
Speciale Giornata di
preghiera in Pakistan e in
tutte le nazioni del mondo
che aderiranno all’iniziativa.

La Parola di Dio

Giovedì Santo
Gv 13,1-15


Cominciò a lavare i piedi dei discepoli.
L’ultimo insegnamento è il
servizio, la via dell’umiltà, la carità
verso il prossimo. L’amore verso
di Dio si manifesta con la nostra
ggiioorrnnaallee
disponibilità a lavare lo sporco
della terra, a rendere i nostri simili
migliori con la gratuità dell’amore.
Ci riconosceranno suoi discepoli
quando sapremo scendere
dal piedistallo che ci siamo costruiti
e ci metteremo a servizio
dell’uomo, come ha fatto Gesù.
Con questa pagina il Vangelo di
Giovanni narra l’Eucaristia. Gesù
ci ha chiesto di dare noi stessi da
mangiare all’uomo affamato di
giustizia e assetato di verità. Il
linguaggio della carità è comprensibile
ad ogni lingua, ci rende
credibili. È il tratto del volto di
Dio che si lascia riconoscere nel
nostro. È la somiglianza a Lui che
rende credibile il Vangelo. Gesù
facci santi.

mercoledì 20 aprile 2011

La Parola di Dio

Mercoledì Santo
Mt 26,14-25


Dio non ha prezzo. Non bastano i
trenta danari per comprarlo. Giuda
credette di mettere Gesù in
mano ai potenti della terra e fu
sconfitto dalla misericordia. L’uomo
nella prosperità non comprende:
è come gli animali che periscono.
Anche la mia storia è piena
di occasioni mancate, di presunzione
e di peccato. Pasqua vuol
dire passaggio. Dio pietoso ci fa
passare dalla morte alla vita. Dalla
cultura della morte, alla gioia di
vivere. Non si sdegna per i miei
tradimenti. Dal suo costato trafitto
in croce sgorga la sorgente della
vita. La grazia che mi salva, il potente
riscatto che salva anche i
miei contemporanei distratti dalle
cose, incapaci di accorgersi dell’amore
che non ci abbandona. È
tempo di conversione e di perdono

martedì 19 aprile 2011

La Parola di Dio

Martedì Santo
Gv 13,21-33.36-38


A mensa con i suoi discepoli
Gesù contempla la fragilità
della sua stessa Chiesa: Giuda
lo tradisce, Pietro lo rinnega.
Il suo amore è più forte della
morte, la sua passione per noi
tutti riscatta le nostre miserie.
Nella umiliazione della croce
la solitudine e l’abbandono
sono più amari del fiele, più
pungenti dei chiodi, più dolorosi
dei flagelli. L’orgoglio che
mi fa pari ad Adamo nel Paradiso
terrestre è vinto dall’umiltà
di Dio, che non mi abbandona,
neppure quando il
mio peccato mi fa ributtante e
misero. Dio non abbandona
l’uomo, neppur se tradito: neanche
quando nelle stagioni
fatue della vita ho provato a
non riconoscerlo. Il gallo seguita
a cantare ogni giorno
per annunziare anche l’ora
della preghiera, come ci insegna
il grande Ambrogio. L’uomo
caduto è redento. La forza
di Dio non si ferma di fronte
al male, mai: Dio salva.

lunedì 18 aprile 2011

La Parola di Dio

Lunedì Santo
Gv 12,1-11


L’umanità sfinita per il peccato torna
a vivere per il gesto d’amore di Gesù,
che per noi peccatori affronta la
crudezza della passione. La gratuità
di Maria è la risposta adeguata al
Signore; è lo stile nuovo degli amici
di Gesù, che si contrappone al calcolo
interessato di Giuda, il traditore,
l’uomo dei trenta danari. L’unguento
profumato aggiunge incontaminata
poesia all’ultimo incontro di Gesù
con i suoi. Rivela anche a me
l’amore appassionato del Cristo per
l’umanità ferita. È l’unguento che la
nostra tradizione medievale volle
capace di guarire ogni male. Anche
noi abbiamo bisogno di essere risanati
dal peccato che sfigura, dalla
superficialità che rende tutto banale.
La prima testimone della Resurrezione
ci viene incontro nel primo giorno
della settimana santa con la delicatezza
del nardo e la compassione
composta e sofferta, che è la risposta
dei cristiani all’amore generoso
di Gesù.

domenica 17 aprile 2011

Buona Domenica!

VANGELO
Gv 11,1-45
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?».
Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui». Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro èqui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.


In queste domeniche di Quaresima dell’anno A abbiamo il privilegio di leggere tratti di Vangelo così significativi che, se compresi nel profondo, possono davvero stravolgere in positivo il nostro rapporto con Dio, inaugurando in noi una nuova primavera spirituale che può farci rifiorire dal di dentro una volta per tutte… I brani delle ultime settimane, così come quello di oggi, venivano storicamente approfonditi nell’ultima fase del catecumenato, un cammino pluriennale di iniziazione e formazione cristiana per seguire consapevolmente Gesù che culminava nel battesimo durante la grande veglia del Sabato Santo: gli ultimi quaranta giorni di percorso, quelli quaresimali appunto, dovevano rappresentare un momento forte per fissare i fondamentali della fede che si sarebbe abbracciata di lì a pochi giorni, ed è proprio per questo che si ricorreva a pagine preziosissime come la samaritana, il cieco nato e, da ultimo, Lazzaro. Tutti tratti evangelici che pescano da Giovanni, colui che più di tutti ha saputo volare alto per individuare l’essenziale del cristianesimo e proclamarlo al mondo… Non sciupiamo, amici, questa grande occasione che la Chiesa ci offre per conoscere l’ABC del nostro credere: grazie al Cielo, che ha ispirato il Concilio Vaticano II con la sua grande ventata di novità, oggi non c’è più alcun bisogno di farsi cristiani per poter sperare nella salvezza, dunque è possibile diventare discepoli del Nazareno per entusiastica adesione alla sua Parola e non per sostanziale costrizione! Che il Signore ci conceda, a me per primo, di sfruttare questa preziosa opportunità per compiere un qualche primo passo di effettiva conversione, tanto per cominciare da quel mostro di dio vendicativo che ci siamo costruiti nella testa al Dio bellissimo incarnato da Gesù… Sarebbe, già solo per questo, una Quaresima più che riuscita!

Ma veniamo al Vangelo di oggi, che è particolarmente ricco e merita di essere analizzato più compiutamente possibile. Anzitutto, più che di resurrezione, bisognerebbe parlare di rianimazione di un cadavere: san Paolo ci dice chiaramente che soltanto “Cristo risuscitato dai morti non muore più” (Rom. VI, 9), mentre i pochissimi che Gesù ha rianimato (soltanto altri due oltre a Lazzaro: la figlia di Giàiro ed il figlio della vedova - Lc. VIII, 40-56 e Lc. VII, 11-17) sono stati destinati a morire una seconda volta… È positivo rianimare un morto per poi costringerlo a morire di nuovo? E soprattutto, se Gesù aveva davvero il potere di far tornare in vita i defunti, perché l’ha esercitato con tutta questa parsimonia? Il problema, amici, è che dobbiamo imparare a leggere la Scrittura - specialmente Giovanni! - andando oltre l’episodio raccontato, in modo da coglierne l’insegnamento teologico… Il Vangelo non è una sterile cronaca di fatti storici, ma una feconda narrazione di verità di fede che emergono da vicende emblematiche, simboliche, come quella descritta nel brano odierno. Un fatto di cronaca che si perde nella notte dei tempi non avrebbe più alcun interesse per noi… Un episodio-tipo da leggere teologicamente, invece, continua a parlare di Dio in modo attuale anche a noi uomini dei XXI secolo! Ebbene, amici, la vicenda di Lazzaro è l’escamotage giovanneo per trasmetterci la buona notizia portata dal Maestro: la morte non solo non interrompe la vita, ma è quell’elemento che le consente di fiorire nella sua forma più piena e definitiva, tanto completa che non è raggiungibile su questa terra… Il discepolo, colui che si siede alla scuola della misericordia senza confini retta da Gesù, raggiunge un livello di vita così elevato, così seriamente tendente al modello divino, che non potrà mai distruggersi: il Nazareno garantisce che “se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte” (Gv. VIII, 51), la quale sarà solo un passaggio di rinascita alla vita eterna.

Ebbene, l’amico Lazzaro sta male, muore, e quando Gesù arriva è già nel sepolcro. La reazione di Marta, una delle sorelle, alla vista del Signore, è di rimprovero (“se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”); non solo, ma con le sue ulteriori parole (“qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”) Marta dimostra di non avere ancora capito nulla del suo amico Nazareno che pure frequenta abitualmente (quale consolazione, per tutti noi cercatori!): per lei Gesù è inferiore a Dio, non ha compreso che in lui si manifesta la pienezza del Padre! Gesù le risponde “Tuo fratello risorgerà”, e lei risponde scocciata “So che risorgerà nell’ultimo giorno”… Marta crede unicamente alla risurrezione finale, che consola fino a un certo punto coloro che piangono la persona amata, ma il Signore sta per cambiarle radicalmente il concetto di morte e di vita che ha in testa; “io sono la resurrezione”, dice il Maestro, utilizzando significativamente un verbo al presente e non al futuro, ed aggiunge “chi crede in me, anche se muore, vivrà”: questo fatto che non si conoscerà mai la morte deve essere ben chiaro anche agli occhi di coloro che ad oggi sono vivi e vegeti, ed è proprio rivolgendosi a loro che Gesù conclude “chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”! Siamo di fronte allo stravolgimento di tutte le credenze più diffuse circa l’esistenza umana, già all’epoca ed ancora oggi: il Signore non risuscita i morti, ma comunica a tutti noi, suoi figli, un livello di vita così alto, così improntato alla sua misericordia senza confini, che è incorruttibile e riesce a superare la morte; la vita eterna non è dunque una speranza da custodirsi gelosamente per il giorno finale, ma è una certezza per il presente di ciascuno, che in quanto figlio è reso partecipe dei livelli di vita intramontabile propri di Dio… “Credi questo?”, chiede Gesù ad un’attonita Marta. “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”! Marta riconosce la divinità del Nazareno, ed è proprio a questo punto che la situazione comincia ad ingarbugliarsi…

L’evangelista sottolinea che “Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro”… Nel linguaggio biblico il villaggio rappresenta il luogo della tradizione religiosa autocratica e bastante a se stessa, dunque impermeabile alla novità bellissima portata dal Nazareno: in questo villaggio, in particolare, i Giudei stanno presentando il cordoglio funebre alle sorelle che hanno perduto Lazzaro, in un’atmosfera di assoluto sconforto per qualcuno che non c’è più e si è perso definitivamente. Il Signore vede che anche la piccola comunità dei suoi amici, costituita a questo punto dalle sole sorelle, non ha recepito le sue “parole di vita eterna” (Gv. VI, 68) e cede alla disperazione più totale… Neanche loro due avevano capito che il discepolo non vedrà mai la morte! Ecco perché “molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?»”… Il Maestro sta chiedendo loro che cosa ne hanno fatto, per capire come hanno (re)agito senza il conforto della fede: “vieni a vedere!”, gli rispondono, così come lui stesso aveva detto “venite e vedrete” ai primi cercatori di Dio che volevano sapere dove abitasse (Gv. I, 39); se in quel caso erano gli uomini a voler imparare qualcosa da Gesù, qui è come se il Signore fosse invitato dall’uomo a scoprire qualcosa di suo, della sua esistenza terrena, qualcosa che è sempre difficile da sopportare e che dunque è meglio condividere: è un’intuizione di Donpi (penso la leggerete più sotto…), ma è talmente bella che non posso non farla mia! In questo momento Dio, davanti alla salma del suo amico Lazzaro, per la prima volta sperimenta sulla propria pelle il dolore dell’uomo: e scoppia a sua volta in lacrime, ma con un pianto fatto di condivisione della sofferenza umana e non certo di disperazione; non è un caso, a ben vedere, che di qui a poco Gesù scenderà a Gerusalemme per mostrare la misura infinita del suo amore per tutta l’umanità condividendone pubblicamente le pene attraverso lo “spettacolo” (Lc. XXIII, 48) della passione e della croce: questo Maestro che piange dopo aver “imparato il dolore” sotto la guida dell’uomo e che dunque decide di farsene carico in prima persona, amici, è l’icona di un Dio bellissimo che non può non farvi innamorare nel profondo…

Dicevamo che Gesù piange perché condivide il nostro dolore e non certo per sconforto; ed infatti gestisce la situazione in modo piuttosto deciso, indirizzando alla sua piccola comunità (e dunque anche e soprattutto a noi Chiesa di oggi!) ben tre verbi imperativi: togliere, sciogliere e lasciare. Cominciamo dal “togliete la pietra”: il macigno tombale, che rappresenta la fine di tutto ancora nel nostro parlare odierno (“metterci una pietra sopra”), è un ostacolo disperante alla vera comprensione della morte che è stato messo lì dall’uomo, dunque va rimosso… Ma la comunità oppone resistenza proprio a chi vuole liberarla (“Manda già cattivo odore”), c’è sempre il rischio di affezionarsi alla sofferenza tanto da non volersene affrancare, e il Signore è costretto ancora una volta a chiedere ai suoi fiducia in lui (“Se crederai, vedrai la gloria di Dio”): questa “gloria di Dio”, capiremo fra poco, è la comunicazione all’uomo di una vita misericordiosa a livelli talmente alti da essere incorruttibile e dunque immune dalla morte. Alla fine, comunque, tolgono la pietra, e Gesù non dice, ma urla “Lazzaro, vieni fuori!”: il regno dei morti non è il posto del discepolo del Nazareno, perché chi lo ha seguito sul serio ha il suo Spirito di misericordia, e lo Spirito è vita, e dove c’è vita non c’è spazio per la morte! Ebbene, il Signore chiama Lazzaro, ed ecco invece uscire “il morto”, fra l’altro rifasciato come un salame (“i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario”)… Ma ve l’immaginate questa specie di zombie tutto bendato che zompetta fuori dal sepolcro?? È l’immagine di morte definitiva che pervade questa comunità ad aver legato ed imbavagliato lo spirito di Lazzaro, impedendogli di “librarsi in volo verso campi luminosi e sereni”, per dirla con Baudelaire… E questo vale non solo per Lazzaro, non si può parlare sotanto di lui, ma si estende a tutti i defunti di tutti i tempi. La comunità dei credenti, allora, deve cambiare la sua idea di morte come fine della persona, ed eccoci agli altri due imperativi di Gesù: “Liberàtelo e lasciàtelo andare”! Sciogliendo il defunto dai lacci della morte che noi stessi gli leghiamo addosso col nostro sconforto, comprendendo che se anche noi abbiamo sofferto il distacco lui non ha mai visto la morte, si libera l’intera comunità dalla paura del trapasso, che diventa un passaggio dalla vita terrena alla vita in pienezza: ce lo ricordassimo quando piangiamo sconsolati i nostri morti, quando sguazziamo nella disperazione, quando siamo così presuntuosi da pensare di potere o dovere fare qualcosa noi da quaggiù per loro che sono lassù… Liberiamoli, una buona volta, da questi vincoli di paura: oltre a dirci cristiani, cominciamo ad ascoltare il Signore sul serio!

E poi, favoloso ed attualissimo in questi tempi di testamento biologico e di grandi polemiche sul fine vita, il “lasciatelo andare”… Ma come Gesù, hai appena rianimato un cadavere davanti ai suoi parenti in lacrime, ed anziché proporre loro di rimanere un po’ insieme o magari di abbracciare quel fratello ritrovato, dici di lasciarlo andare? Si tratta di un grande insegnamento per tutti noi, che nella società altamente tecnologica di oggi siamo così morbosamente attaccati alla vita nostra e di chi ci è vicino (un po’ meno a quella di chi ci è più lontano…) che siamo disposti a tutto, perfino ad accanirci medicalmente contro ogni ragionevole speranza su un corpo ormai martoriato ed irrecuperabile, pur di non cedere alla morte biologica come un normale decorso di natura… è un grave peccato di superbia contro Dio questo di volere a tutti i costi protrarre la vita oltre i suoi confini naturali, spesso in condizioni così disumane da non poter nemmeno rispettare la dignità della persona, ma questo accanimento terapeutico è soprattutto il segnale di un’incommensurabile carenza di fede. Il credente sa che la morte non è che un passaggio alla vita in pienezza, sa che non è la fine di un bel niente, ed allora non si intestardirà oltre ogni logica nel prolungare artificiosamente una vita terrena arrivata ormai al capolinea, ma sarà in grado di “lasciar andare” serenamente il Lazzaro della situazione, consapevole che quello che è solo un morto agli occhi del mondo gioisce già nella pienezza misericordiosa del Padre, da vivente più che mai! Non affezionatevi alla sofferenza, amici, non solo nel fine vita, ma anche in tutto il resto dell’esistenza… Non affezionatevi neanche alla croce, che è sempre e solo una “collocazione provvisoria”, come scriveva quel birbante di Tonino Bello: domenica prossima mediteremo la passione del Signore, ma ricordiamoci che il gran finale sarà la sua risurrezione, la quale lo rende vivo ancora oggi e per sempre!

Buona settimana,
Matteo Moretti


È splendido, Dio.
Disseta l’anima, ridona luce alla nostra cecità.
La quaresima è il tempo in cui riscoprire l’essenziale della fede, entrando nel deserto delle nostre giornate ingombre di cose da fare. Un tempo per lasciare che l’anima ci raggiunga.
E oggi, alla fine di questo breve percorso, troviamo un vangelo da brividi, il racconto di un’amicizia travolta dalla morte e dalla disperazione.
È lì, a Betania, il piccolo villaggio che sorge sul monte degli ulivi, nel declivio opposto a quello che sovrasta Gerusalemme, che Gesù volentieri si rifugia, in casa di questi tre suoi coetanei, Lazzaro, Marta e Maria, per ritrovare un po’ del clima famigliare di casa.
Per fuggire dalla Gerusalemme che uccide i profeti.
Che bello pensare che anche Dio ha bisogno di una famiglia.
Che bello fare della nostra vita una piccola Betania!
E in questo contesto che avviene il dramma: Lazzaro si ammala e muore, e Gesù non c’è.
Come succede anche a noi, a volte, e davanti alla malattia e alla morte di una persona che amiamo, scopriamo che Gesù è distante.

Tragedie
La resurrezione di Lazzaro è posta poco prima della Passione di Gesù.
È l’ultimo e il più clamoroso dei segni, quello che determina la decisione, da parte del Sinedrio, della pericolosità di Gesù e la necessità di un suo immediato arresto, senza indugiare ulteriormente.
Come se Giovanni volesse dirci che la vita di Lazzaro determina la morte di Gesù.
Immagine di uno scambio che, da lì a poco, sarà per ogni uomo.
La vicenda di Lazzaro, allora, è la vicenda di ognuno di noi.
Gesù ci disseta.
Gesù ci dona luce.
Gesù dona la sua vita per me.

Strazio
Nello straordinario e complesso racconto giovanneo, esiste un passaggio che voglio sottolineare.
Quando Marta e Maria, sorelle di Lazzaro, abituate ad accogliere il Signore nella loro casa a Betania, sanno della presenza di Gesù, escono di casa, disperate, si affidano all’amico e Maestro.
Il racconto è un crescendo di emozioni, di testimonianze di fede delle sorelle, ma anche di umanissimo sconforto e pena.
Quando Gesù vede la disperazione delle sorelle e della folla, resta turbato, e scoppia in pianto.
All’inizio del vangelo a Giovanni e Andrea, discepoli del Battista, che, su indicazione del profeta, lo avevano seguito e gli chiedevano dove abitasse, Gesù aveva risposto “venite e vedrete” (Gv 1,39).
Ora è Gesù che si fa discepolo, che è invitato ad andare.
Come se, fino ad allora, non avesse visto fino in fondo quanto dolore provoca la morte.
Come se fino ad allora Dio non avesse ancora capito quanto male ci fa la morte, quanto sconforto porta con sé il lutto.
Come se Dio non sapesse.
Come se Dio imparasse cos’è il dolore.
Dio piange, davvero.
E quel pianto ci lascia interdetti.

Turbamenti
Quel pianto ci sconcerta, ci scuote, ci smuove.
Dio, ora, sa cos’è il dolore.
Fra poche ore andrà fino in fondo, portando su di sé tutto il dolore del mondo.
Dio e il dolore si incontrano. Non è bastato che Dio diventasse uomo per condividere con noi la vita. Ha voluto imparare a soffrire, per redimere ogni pena.
Ci basta?
Non lo so.
Davanti ad un Dio che condivide, non sempre il nostro cuore si convince, si converte.
Come coloro che vedono il pianto di Gesù.
Alcuni notano l’amore di Gesù per Lazzaro, la sua compassione.
Altri, cinicamente, obiettano: Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?
In queste parole abbiamo tutta la contraddizione dell’essere umano.
Preferiamo un Dio che condivide il nostro dolore o un Dio che ci evita il dolore?

(Paolo CURTAZ)

sabato 16 aprile 2011

La Parola di Dio

Sabato 16 aprile
Gv 11,45-56


L'ultima preghiera di Gesù prima
della passione è che siamo una
cosa sola, come Lui con il Padre.
Pare che ci siamo dimenticati di
questo supremo desiderio del Cristo.
La Chiesa ha la missione di
recuperare unità tra l'uomo e se
stesso, tra l'uomo e Dio, tra gli
uomini vicendevolmente, nell'impegno
della vita, nell’armonia
della creazione. Questa è la vera
pace. Gesù ci fa recuperare il
senso delle cose; noi stessi, alla
nostra identità. Farsi carico è la
parte del capro espiatorio, che
Israele antico cacciava nel deserto
, dopo aver addossato su di lui
tutte le colpe dell'anno. Sulla
Croce di Gesù ci sono tre scritte:
la più piccola è la condanna,
sempre opera di mano d'uomo:
noi soli siamo capaci di spiegare
accusando e di operare discriminando.
Poi c'è la traversa
maggiore dove Dio, per timore
di non rimanere a braccia aperte
, pronto ad accogliere tutti
, si è fatto inchiodare sulla
croce. La traversa più piccola,
dove il Figlio di Dio poggia i
suoi piedi: è la bilancia del
mondo. Quando va a nostro
danno, con i suoi piedi insanguinati
il Figlio di Dio ancora
oggi intercede per noi. Avventurandoci
dentro la Settimana
Santa, ci sia dato di scoprire la
divina misericordia.

venerdì 15 aprile 2011

La Parola di Dio

Venerdì 15 aprile
Gv 10,31-42


Gesù è accusato di bestemmia; in
realtà offende il nome santo di
Dio chi non lo riconosce nella sua
verità. Parlare di Dio oggi pare
una questione desueta e inutile.
Invece per questa via si torna a
ragionare dell'uomo e della sua
grandezza, perché immagine dell'Eterno
Padre. È la vera dignità
della persona che, negata, suona
bestemmia agli occhi di Dio. Ci è
chiesto quest'oggi di recuperare
la visione che ha Dio del nostro
mondo. Le sue opere, come le
opere di carità che riusciremo anche
noi a fare, hanno il sapore
del soprannaturale. Come Israele
antico riconobbe l'opera di Dio nei
segni dell'amore con cui Gesù liberò
dal male poveri e infermi,
peccatori e sfiduciati, così questa
Chiesa, esercitando fattivamente
la carità, svela che Dio è presente
nel nostro mondo. Opera tramite
noi, suoi figli: figli nel Figlio.

giovedì 14 aprile 2011

L'Italia verso il golpe rosso


Attenti, c'è una sinistra
che incoraggia il golpe

Giuliano Ferrara
di Giuliano Ferrara
Nel mirino di Ferrara a Radio Londra un editoriale di Asor Rosa sul Manifesto di ieri che invocava il golpe per abbattere Berlusconi

Sono cento righe intrise di attacchi al governo e di analisi pessimistiche che più pessimistiche non si può e che si concludono con una ricetta che supera tutte quelle proposte fino a oggi dall’opposizione per abbattere il premier. Ciò che invocava ieri sul «Manifesto» lo storico di sinistra Alberto Asor Rosa è nientepopodimeno che un colpo di Stato, attuato con la collaborazione di carabinieri e polizia. Una minaccia alla quale ieri sera Giuliano Ferrara ha dedicato il suo «Radio Londra». Pronta la controreplica di Asor Rosa: «Faccio appello alle forze sane dello Stato perché evitino la crisi verticale della democrazia». 
Asor Rosa
 
C’è chi pro­pone di fare un colpo di Stato contro il gover­no eletto, il go­verno eletto da­gli italiani, il go­verno Berlusco­ni.
Si chiama Al­berto Asor Rosa, è stato deputato della sinistra e professore universi­tario. Negli anni Settanta militava, diciamo, in quelle tendenze di pen­siero alla Toni Negri contigue cul­turalmente al terrorismo italiano. Ecco che cosa ha scritto sul quoti­diano comunista il manifesto di og­gi, , perché non vorrei che poi si di­cesse che io mi invento le cose che dico: «Ciò cui io penso è una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni... eccetera, scenda dal­­l’alto, instaura quello che io defini­rei un normale “stato di emergenza”, si avvale più che di manifestanti generosi, dei carabinieri e della polizia di Stato, congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari...» eccetera eccetera eccetera. Insomma, un colpo di Stato in piena regola contro il governo eletto dagli italiani.
Siamo finalmente alla piena, diciamo dispiegata chiarezza di un progetto politico che molti altri editorialisti, questa volta di Repubblica , avevano già definito anche nella famosa assemblea del Palasharp, dove un ragazzino di tredici anni fu convocato a recitare la litania dell’odio contro l’arcinemico. Che cosa dicono costoro? Dicono che siccome lui, Berlusconi, ha rimbecillito gli italiani con le televisioni, siccome con i voti non credono di essere in grado di batterlo alle elezioni, siccome in Parlamento non c’è una maggioranza alternativa e invece di lavorare per trovare una maggioranza alternativa nel Paese e nel Parlamento e varare un governo come sono stati i due governi Prodi - Prodi ha battuto due volte Berlusconi, no? - , bisogna fare qualcosa di extra istituzionale. E Asor Rosa, il professor Asor Rosa, quest’uomo con questi baffi sicuri di sé e questa prosa non proprio elegantissima, dice che cosa bisogna fare: un golpe con i carabinieri e la polizia di Stato,che venga dal-l’alto contro il basso popolo incapace di capire come stanno le cose.
Un golpe delle élite , un golpe favorito dagli intellettuali e dalle loro idee. Un golpe che, diciamo, sarebbe un esproprio di sovranità ai danni del popolo italiano. Guardate che non sto scherzando, Asor Rosa non è un passante, ripeto, è stato un dirigente po-litico della sinistra, fa parte diciamo di quella che potremmo definire la cricca Scalfari, cioè il gruppo di potere editoriale e, se posso consentirmi, lobbistico che in simbiosi con i magistrati cerca, non di portare Berlusconi ai processi, ma di abbattere Berlusconi in quanto capo politico del governo.L’Italia è una democrazia regolare, tra poco vedremo una partita e vogliamo stare tutti tranquilli e andare a dormire tranquilli, però c’è chi lavora per un colpo di Stato.

La Parola di Dio

Giovedì 14 aprile
Gv 8,51-59


Diventare nuovi per Pasqua è riconoscere
Gesù nella verità del suo
essere vero Dio e vero uomo. La
gloria, riconoscere Gesù nella sua
verità, è la via per ritrovare il coraggio
degli Apostoli che avevano
incontrato Gesù Risorto e per ciò
stesso furono liberati da ogni paura
e dal condizionamento del seco-
lo. La nostra vocazione pasquale
ci chiede di essere di riferimento
a molti e di aiuto a tutti: riusciremo
a farlo solo se la nostra vita
mostrerà l'efficacia della Parola e
la Grazia della comunione che ci
lega al Signore. Le pietre contro
di Lui, sono le stesse che vengono
gettate contro di noi, quando
diamo testimonianza al Signore
con la nostra carità vissuta.

mercoledì 13 aprile 2011

La Parola di Dio

Mercoledì 13 aprile
Gv 8,31-42


Sarete liberi davvero, torna a dirci
il Vangelo. La questione della libertà
affascina ogni generazione. La
Parola di Dio la connette alla verità:
entrambi sono qualifiche di
Dio, ma anche dei suoi figli. È una
grande e fatua illusione far credere
alla gente che sia libertà fare quello
che ciascuno vuole. È il Vangelo
che ci insegna che non è libero chi
fa quello che vuole, ma solo chi si
allena a scegliere, con pazienza e
sacrificio. I figli di Abramo sono
chiamati alla libertà perché hanno
un continuo rapporto con Dio: la
tentazione è affermare che non
fummo mai schiavi, senza renderci
conto che viviamo in mezzo a fortissime
pressioni, spesso amplificate
dai media, che tendono a catturare
la nostra autodeterminazione
e a farci schiavi delle cose.

martedì 12 aprile 2011

La Parola di Dio

Martedì 12 aprile
Gv 8,21-30


Questa giornata del percorso
quaresimale è per farci rendere
conto che non abbiamo abbastanza
la prospettiva del
Cielo: siamo mediocri e segnati
dalla logica del mondo. Ogni
uomo, per essere davvero se
stesso, ha bisogno di misurarsi
con Dio e di recuperare spazi
ampi e limpidi del suo pensare.
Ci è chiesto quest'oggi di
riconoscere la presenza di Dio
nella Sua alterità dal mondo.
L'innalzamento di Gesù è la
sua croce. Nella sfida che il
Signore fa alla morte si svela il
di più che appartiene alla sua
natura divina. Sì, abbiamo Dio
per amico, come riuscirono a
capire Pietro e Giovanni la
mattina di Pasqua, correndo al
sepolcro vuoto, primi testimoni
del Risorto. Gesù usando
come suo nome «Io sono», si
fa riconoscere in «Colui che
è», il nome Santo di Yawhè,
adorato nei secoli da Israele.
Abbiamo Dio accanto a noi
nelle tribolazioni e nelle difficoltà
della vita. Diventeremo
alternativi al pensare vecchio
del mondo, solo imparando a
fidarci di Dio e della sua misericordia.

lunedì 11 aprile 2011

La Parola di Dio

Lunedì 11 aprile
Gv 8,1-11


La tentazione dell'ipocrisia riappare
ad ogni generazione. Agli accusatori
del Vangelo non importa niente della
peccatrice; cercano un pretesto per
mettere in difficoltà il Signore. Anche
molto moralismo del nostro
tempo è strumentale: non si cerca
una società più umana; si vuole affermare
se stessi, come quelli che si
scandalizzano vedendo per via le
prostitute, ma a chi si serve di loro
non vogliono che sia dato fastidio. Si
giustifica un uso spregiudicato del
linguaggio sessuale, si dà per scontato
che chi può faccia quello che
vuole, poi ad un tempo si ostenta
rispetto per la Religione e si chiama
libertà la trasgressione. A questa
pagina del Vangelo la Chiesa premette
la splendida vicenda di Susanna
, la giovane sposa ingiustamente
accusata da due vecchi libidinosi e
salvata dal giovane Daniele. Anche
molti nostri ragazzi hanno una impagabile
delicatezza nei rapporti e considerano
la purezza un tesoro prezioso.

domenica 10 aprile 2011

Buona Domenica!

VANGELO
Gv 9,1-41
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu!
Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.
Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».


In questa quarta domenica di Quaresima contempliamo l’incontro stravolgente del Signore col cieco nato… Ricordate il Vangelo della scorsa settimana? Un Dio-sposo che si mette in cerca di una sposa adultera, non certo per minacciarla o castigarla, ma per riconquistarla rispondendo ai suoi ripetuti tradimenti con un’offerta d’amore ancora più grande, capace di passar sopra a qualsiasi sbaglio pregresso grazie allo Spirito di misericordia senza confini che soffia dal Padre su ogni creatura… L’amore divino non va meritato, non dipende dalla situazione o dal comportamento del singolo, ma è un dono gratuito ed inesauribile che viene riconosciuto a ciascuno senza condizioni e, soprattutto, senza alcuna garanzia di effettivo cambiamento, ma soltanto sulla base del bisogno di essere benvoluto proprio di ogni uomo! È il caso della samaritana, che al pari della moglie fedifraga del profeta Osea viene immediatamente perdonata dal Maestro Gesù ed addirittura invitata ad un nuovo viaggio di nozze (Os. II, 16), per scoprire una buona volta di poter contare sull’amore di un Dio compagno di vita e non già sull’incubo di un despota celeste che ti svilisce secondo il proprio capriccio (“mi chiamerai marito mio, e non mi chiamerai più mio padrone” - Os. II, 18), ed è ovvio che “là canterà” (Os. II, 17), avendo finalmente conosciuto la bellezza divina… È, ancora, il caso del cieco nato, che commentiamo oggi. Vedete, amici, questi personaggi che il Vangelo di Giovanni ci pone di fronte in queste domeniche non sono delle simpatiche figure fini a se stesse, raccontate a tutti noi per dovere di cronaca… Non sono in discussione la samaritana ed il cieco nato, ma noi che ascoltiamo questa Parola, qui ed ora, fedifraghi come la donna incontrata al pozzo e spiritualmente accecati e bisognosi di luce come il protagonista di oggi, che lo sappiamo o no, che lo ammettiamo o meno! Siamo ormai giunti a metà della Quaresima: che il Signore ci aiuti, in questa seconda parte del cammino verso la Pasqua, a non vivere gli stimoli evangelici in modo scontato e superficiale, ma a trarre sempre spunto per cambiare sul serio qualcosa nella nostra esistenza, io per primo…, trasfigurandola alla luce del progetto di Dio.

Nel brano di oggi, Gesù restituisce la vista ad un cieco nato, mandandolo a lavarsi nella piscina di Siloe, che significa “Inviato” e dunque rappresenta il Nazareno stesso: il Maestro, che si definisce “luce del mondo”, invita questa persona, che non ha mai avuto la più vaga idea di che cosa sia la luce, ad andargli incontro, per capire una buona volta con che razza di Dio ha a che fare. “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”: quanto bisogno avremmo anche noi di scrostarci di dosso tutta una serie di preconcetti che abbiamo sul Signore e sulla fede, magari inculcatici da un qualche prete o catechista farneticante, come ad esempio quel pazzo di vescovo calabrese che ha interpretato lo tsunami in Giappone come castigo divino su un’umanità impenitente… Quant’acqua occorrerebbe per ripulire quegli occhi di Pastore ottenebrati dall’immagine demoniaca di un dio capriccioso ed inesistente, non basterebbe una piscina intera! Meno male che Gesù si racconta da sé, e ci manda a sciacquare la mente ed il cuore da queste nefandezze così fuorvianti… Ebbene, una volta riottenuta prodigiosamente la vista, questo personaggio comincia subito a scontarla: anzitutto c’è lo stupore dei vicini, coloro che prima si erano accorti della sua esistenza solo perché li disturbava (“perché era un mendicante”), ed ora non lo riconoscono più… Ma com’è possibile? Il Nazareno non gli ha cambiato i connotati, ha soltanto restituito luce ai suoi occhi! Qui l’evangelista ci sta dicendo che quando si incontra sul serio Gesù, da credenti entusiasti e non da bigotti sfiancati, il suo messaggio libera a tal punto da tutti i condizionamenti terreni (denaro, carriera, potere, ecc.) che non si è più gli stessi di prima, ma persone completamente nuove. Di più: una volta incontrato il Maestro, la sua condizione divina, quella vita di misericordia a livelli così alti da essere incorruttibile, è comunicata ad ogni discepolo che lo accoglie (“A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” - Gv. I, 12), il quale dovrà a sua volta riversarla su tutti gli altri; ecco perché, alle domande di chi non lo riconosce, l’ex cieco risponde “Io Sono”… “Io Sono”, Jahvé, il nome impronunciabile perché racchiude l’essenza stessa di Dio!

Ebbene, a questo punto cominciano i veri guai per questo povero miracolato… Per la prima di ben sette volte, gli verrà chiesto come gli siano stati aperti gli occhi. La gente, incapace di formarsi una propria opinione sulla base del buon senso, e del tutto appiattita sulle posizioni dei capi spirituali, conduce questo sventurato dai farisei, l’élite religiosa che si autoproclama l’unica detentrice della vera fede… Il problema è che, per la seconda volta, il Maestro ha guarito qualcuno in un giorno in cui era proibito non solo curare i malati, ma addirittura fare loro visita: il riposo del sabato era di fatto il comandamento più importante, quello che Dio stesso rispettava. Ed ecco che anche i farisei chiedono all’ex cieco come abbia riacquistato la vista: nell’animo di questi strenui devoti non c’è alcuna gioia condivisa per la cecità superata, nessun rallegramento per il fratello risanato, soltanto la curiosità giudicante di sapere come il tutto sia successo, per poi sputare sentenza - come sempre! - sulla pelle degli altri: “Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato”… L’unico criterio di valutazione per i farisei è l’osservanza della legge: per il Signore, invece, il solo aspetto che conti qualcosa è il bene dell’uomo; per chi giudica secondo i codici di diritto, Gesù non viene da Dio: fortuna che c’è dissenso, perché qualcuno comincia a chiedersi “come possa un peccatore compiere segni di questo genere”! E tornano alla carica: “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi”? È questo che disturba la casta curiale, che l’uomo abbia aperto gli occhi… Finché si vive nella tenebra il tempio può fare il bello e il cattivo tempo, assolvere o condannare, accogliere o respingere, salvare o dannare: ma se si vede il volto misericordioso di Dio e si capisce la dignità e la libertà senza confini alle quali ciascuno è chiamato indipendentemente da tutto, allora gli apparati di potere che costituiscono un ostacolo alla diffusione della “luce del mondo”, tempio compreso, cadono come birilli! E l’ex cieco, che a differenza di chi gli sta intorno ha incontrato il Signore, è l’unico a non avere dubbi: “È un profeta”, cioè viene dal Cielo, è di Dio!

A questo punto i capi (religiosi!) del popolo giudeo decidono di coinvolgere anche i suoi genitori, che vengono interrogati in modo minaccioso e mantenendo la debita distanza (“che voi dite essere nato cieco”), com’è tipico del potere prevaricatore, che punta all’autoaffermazione piuttosto che a ristabilire la verità dei fatti (“Che cos’è la verità?”, chiederà a Gesù uno sconvolgente Pilato - Gv. XVIII, 38)… Ebbene, le intimidazioni dell’autorità riescono ad indebolire anche i legami familiari fra genitori e prole; è incredibile, ma questo padre e questa madre, per paura dell’apparato curiale, scaricano la patata bollente sul loro stesso figlio: “Ha l’età, chiedetelo a lui”! E rieccoli alla carica sul poveretto: “Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”, allìneati al nostro giudizio e te ne torni a casa con ogni benedizione… E la risposta dell’ex cieco è davvero fantastica, una battuta da copione; non è compito suo dilungarsi in questioni dottrinali (“Se sia un peccatore non lo so”), ma deve pur testimoniare la propria esperienza, ed anche se per l’apparato religioso quanto accaduto è negativo, per lui c’è stato un cambiamento in positivo: prima era ottenebrato, mentre ora ci vede! Guardate che è un punto molto importante, si tratta del primato della coscienza individuale sulla dottrina: quest’ultima può dire quello che vuole, e meno male che lo dice, perché è una voce molto importante con cui confrontarsi… Ma l’ultima parola spetta, indipendentemente da tutto, alla propria coscienza e responsabilità; la dottrina cambia e si aggiorna continuamente, negli ultimi cinquant’anni siamo passati dall’inferno eterno per chi fosse morto mangiando carne al venerdì ad una risata liberatoria che faremmo oggi davanti a simili argomenti, e dunque è possibile che quanto attualmente sia considerato peccato domani non lo sarà più perché si riuscirà a porre sempre più al centro il bene dell’uomo anziché le fisime di noi soloni religiosi: ebbene, se la tua esistenza ti dice che l’esperienza che fai è positiva, se ti comunica quella vita piena di misericordia, non-giudizio ed amore gratuito per tutti gli altri insegnataci da Gesù, in ultima analisi è solo questo che conta!

All’ennesima, identica domanda, il miracolato finalmente reagisce (“Ve l’ho già detto e non avete ascoltato…volete forse anche voi diventare suoi discepoli?”), ma ecco che iniziano a disprezzarlo: “Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè”! Le autorità religiose si appigliano a un morto, anziché ascoltare un vivente… C’è Dio che compie segni evidenti lì nei paraggi, ma loro si ostinano a fare riferimento a qualcuno, ormai trapassato, che col Padre avrebbe soltanto parlato. “Costui non sappiamo di dove sia”: il Nazareno viene costantemente screditato dalla religione ufficiale, perché chi ragiona in base alla legge non può incontrare, né tantomeno conoscere nell’intimo il Signore, che è Spirito di misericordia (ricordate che il Maestro lo diceva alla samaritana?) e come tale non può essere intrappolato in nessuna norma! L’unico che lo capisce, ovviamente, è l’ex cieco, che a differenza di questi guru della fede si è lasciato amare da Dio, sperimentandone il tenero abbraccio: dal suo punto di vista, è incomprensibile come la classe curiale non si renda conto di ciò che accade sotto i suoi occhi, questi davvero incapaci di vedere oltre (“Proprio questo stupisce: voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi”)… Il segno compiuto è inequivocabile, ed il miracolato non può trarre conclusione più chiara: “Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla”! Le autorità religiose non comprendono la manifestazione divina perché ciò che interessa loro è la difesa ad oltranza della dottrina e dell’istituzione, anziché il bene dell’uomo; pensando di non avere più nulla da imparare, ma soltanto da insegnare, replicano duramente allo sventurato che ha osato contraddirle (“Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”), e addirittura “lo cacciarono fuori”, cioè lo scomunicano… Ebbene, qui ci riallacciamo all’inizio del brano, dove la malattia era spiegata dal popolo (ma qui anche dai religiosi!) come castigo celeste per i peccati commessi; il Signore Gesù esclude categoricamente tale correlazione (“Né lui ha peccato, né i suoi genitori”), ci spiega una volta per tutte che il mondo fisico ha una sua sfera d’autonomia e che lassù non c’è un demonio che si sveglia di traverso e ci manda il cancro: aggiunge anche che Dio è schierato, e che dunque si fa più vicino e raggiungibile nei confronti di chi è nella difficoltà, nella tribolazione, nell’esclusione da parte dei sedicenti puri (“perché in lui siano manifestate le opere di Dio”). Il nostro protagonista di oggi, cacciato via dalla religione ufficiale, trova la fede, ed infatti il Nazareno buon Pastore, saputo che lo avevano escluso, va subito a cercarlo per sostenerlo (cfr. Ez. XXXIV, 16: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia”): i capi religiosi, che l’hanno allontanato, sono in realtà gli unici veri scomunicati!

Buona settimana a tutti,
Matteo Moretti


La sete infinita di infinito della Sposa samaritana, ora, è colma, sazia.
Non ha più vergogna della sua fragilità affettiva, della sua vita disordinata, degli inganni dati e ricevuti pur di avere una goccia d’acqua.
Stagnante.
Ora ha incontrato la sorgente. Ora lei stessa è divenuta sorgente che zampilla per le persone che, prima, non voleva incontrare. Non ci sono ostacoli, ruoli, peccati che la possano tenere lontana dallo Sposo che, stanco, l’ha cercata per amarla.
La sua è una vita passata a nascondersi, per timore di essere giudicata.
Lei è una peccatrice che diviene discepola e testimone.
Come il cieco nato.
Che storia.

Dio ci vede
È Gesù che, passando, vede il cieco nato.
Non grida, il poveretto, non chiede, forse neppure sa chi sia il Nazareno. La sua è una vita fatta di ombre, di fantasmi. Non ha mai visto la luce, come desiderarla? Perché?
E Dio lo vede, vede il suo dolore, il suo bisogno, la sua pena, la sua vergogna.
Vergogna, certo, perché è un innocente che paga i peccati dei genitori. Anzi, forse ha già commesso peccato nel grembo della madre, come sostenevano alcuni rabbini. È Dio che lo ha punito, perché chiedere qualcosa a questo Dio terrificante? Così tutti pensano.
E invece.
Un po’ di fango sugli occhi, e l’uomo torna a vedere.
Gesù, intanto, se n’è andato, non vuole applausi, vuole solo dimostrare che Dio non è quel bastardo che a volte gli uomini (religiosi) dicono che sia.

Il cammino di illuminazione
Inizia un feroce dibattito: chi lo ha guarito? Perché? E perché di sabato?
Molti sono i personaggi coinvolti: la folla, i farisei, i suoi genitori, i discepoli…
Ma lui solo è il protagonista, il cieco che recupera prima la vista, poi l’onore, poi la fede.
Prima descrive Gesù come un uomo, poi come un Profeta, poi lo proclama Figlio di Dio. La fede è una progressiva illuminazione, passo dopo passo, ci mettiamo degli anni per riuscire a proclamare che Gesù è il Signore.
E anche la sua forza cresce: il suo senso di colpa svanisce, acquista coraggio. Interrogato, risponde, quando viene inquisito dai devoti, sa cosa dire. Infine è ironico, controbatte, argomenta. Come può un peccatore guarire un cieco nato? E osa: volete farvi discepoli anche voi? Non ha timore, nemmeno dei suoi genitori, pavidi, divorati dal giudizio degli altri, che si rifiutano di schierarsi, intimoriti dalla tragica logica comune.
È libero, il cieco. Ci vede, ci vede benissimo, con gli occhi e col cuore.

La tenebra
Chi crede di vedere, invece, cade nella tenebra più fitta.
Credono di sapere, i devoti, credono di sapere tutto. Non si mettono in discussione, come il cieco che ammette di non sapere. Loro sanno ed è il mondo, gentilmente, che si deve adeguare alle loro teorie. Prima dicono che il cieco mente, che non è mai stato cieco, poi affermano che Gesù è un peccatore, infine, davanti all’evidenza, perdono le staffe.
L’arroganza non ammette le ragioni degli altri, impone solo le proprie.
Credono di vedere, e sono loro i ciechi.
Accecati dalle loro false sicurezze, non si pongono dubbi. Sanno.
L’evangelista è caustico, nel suo ragionare: chi è il cieco del racconto?

Illuminazioni
È un progressivo cammino verso la luce, la fede. Nessuna apparizione o folgorazione, fidatevi, ma un lento incedere della verità in chi le lascia spazio nel proprio cuore.
Dio vede la nostra tenebra e desidera illuminare la nostra conoscenza, i nostri sensi.
E pone una sola condizione: lasciarci mettere in dubbio, porci delle domande, indagare.
Come il cieco che non sa, che si interroga, che argomenta.
Il rischio, invece, è di fare come i farisei che sono convinti di non avere nulla da sapere, nulla da capire. Sanno, e basta.
Quanti arroganti vedo intorno a me!
Nelle proprie convinzioni politiche, schierati a prescindere.
Quanti arroganti nelle proprie convinzioni agnostiche e anticlericali, atei a prescindere, rabbiosi per principio (fatevi un giro sul web!), intolleranti nel nome di una mal intesa idea di tolleranza.
Quanti arroganti fra noi cattolici, sempre armati, sulle difensive, santamente convinti di dover menare bastonate ai non credenti e, quel che è peggio, ai credenti che dubitano, che si interrogano, proprio come il cieco. Cattolici che si sentono in dovere di difendere la Chiesa a prescindere, scordandosi che essa è santa e peccatrice, sempre in riforma, cattolici che si arrogano il dovere di rilasciare patentini di cattolicità.

Lasciamo che il Signore ci restituisca la luce, lasciamo che la sua Parola ci conduca alla verità tutta intera. Le domande, gli interrogativi, ci aiutino a scoprire in lui il Signore risorto della nostra vita.
(Paolo CURTAZ)

sabato 9 aprile 2011

ORISSA, PERSECUZIONI AI FUORICASTA CHE ABBRACCIANO LA FEDE CRISTIANA

Non si arrestano le oppressioni
a danno dei cristiani
ad Orissa, in India. A farne
le spese anche le famiglie
tribali dalit, i fuoricasta,
privati di ogni diritto e sottoposti
a continue vessazioni.
La Chiesa cattolica opera
per fornire aiuto e assistenza
a queste popolazioni
discriminate, che spesso
finiscono per conoscere
meglio e abbracciare la
fede cristiana. Questa dinamica
, spiegano fonti
dell’Agenzia Fides, è alla
base delle violenze perpetrate
dai gruppi radicali
indù verso i cristiani, accusati
di fare proselitismo e
di voler convertire i dalit.
L’ultimo episodio di violenza
risale a pochi giorni fa,
la polizia dell’Orissa ha
arrestato 14 cristiani con
l’accusa di aver operato
conversioni forzate. Ma in
Orissa, riferiscono fonti
locali di Fides, continuano
a verificarsi casi di violazioni
dei diritti dei dalit:
nei mesi scorsi 83 famiglie
dalit del villaggio di Ranapada
sono state attaccate
e scacciate dagli abitanti di
54 villaggi vicini.
La vicinanza della Chiesa
cattolica agli ultimi e ai
dalit è stata ribadita da
mons. John Barwa, insediatosi
come nuovo arcives
co vo d i Cu t ta ck -
Bhubaneswar. L’arcivescovo
, anch’egli un tribale, ha
rimarcato il desiderio di
«unità nella diversità e di
riconciliazione in Orissa»,
spiegando che il suo motto
episcopale «Venga il Tuo
Regno», esprime il bisogno
di annunciare e manifestare
il Regno di Dio nel territorio.

La Parola di Dio

Sabato 9 aprile
Gv 7,40-53


Mosè e le Scritture testimoniano
l’efficacia dell’opera del Cristo.
Quanti la banalizzano sono come
quegli intellettuali del Vangelo
che, per guardare il particolare,
perdono di vista il disegno globale
di Dio.
La Chiesa invoca, a metà del
cammino quaresimale, il dono
dello Spirito Santo, perché Iddio
attiri verso di sé i nostri cuori e li
motivi con la sua Grazia. Senza
l’aiuto di Dio, non possiamo recuperare
la nostra qualità di figli nel
Figlio. Con la sua potenza a nessuno
è precluso il cammino verso
la santità. La persona del Cristo
suscita divisione: chi lo riconosce
e si affida diventa una meravi-
glia. Chi si ostina nel perseguire
il propri interessi meschini
ed egoistici, persino nello studio
non trova vantaggio. L’uomo
che vuole valorizzare l’intelletto
si pone alla ricerca e
Dio si fa trovare da chi è appassionato
cercatore della Verità.

venerdì 8 aprile 2011

La Parola di Dio

Venerdì 8 aprile
Gv 7,1-2.10.25-30


Il fascino di Gesù è grande. L’incontro
con Lui non è mai banale:
suscita assonanze interiori o rifiuto;
non lascia mai indifferenti. Il
Vangelo ci propone di imparare
da Gesù. La Chiesa prega che la
frequentazione dell’Eucaristia ci
spogli dell’uomo vecchio e ci rivesta
del Cristo, nella giustizia e
nella santità. L’ascolto della Parola
di Dio ci motiva razionalmente
e offre alla nostra volontà le motivazioni
per diventare sempre più
giusti. Ma la Parola ha anche una
valenza soprannaturale; è dinamica
e creatrice, per la forza dello
Spirito Santo. Il corpo e il Sangue
del Signore, assimilato nella nostra
esistenza ci trasforma e, da
peccatori, ci fa diventare santi:
come dice l’Aquinate non è il premio
dei buoni, ma il sostentamento
che ci fa diventare, da peccatori,
santi. Accogliamo con gioia i
frutti della redenzione e manifestiamoli
nel rinnovamento della
vita.

giovedì 7 aprile 2011

La Parola di Dio

Giovedì 7 aprile
Gv 5,31-47


La Quaresima è una rinnovata iniziazione
alla vita cristiana. È tempo
per vagliare la nostra qualità
interiore di uomini liberi, figli di
Dio. Il processo interiore di auto-
critica di fronte alla Parola di Dio
e di conversione trasforma non
solo noi stessi, ma anche il mondo
che ci circonda. Penitenza e
carità sono strettamente legate.
Se siamo fedeli alla Grazia giungeremo
a Pasqua rinnovati. Se
avremo il coraggio di cambiare
quanto di male e di ingiusto vi è
in noi, per il dono che ci è offerto
dallo Spirito, abbiamo la possibilità
di diventare alternativi persino
a noi stessi. Come il pane di Pasqua,
azzimo, senza il lievito della
malizia e del peccato, anche noi
possiamo far gioire chi ci incontra
con il fascino di una vita nuova.
La santità è possibile. Santo è
bello.

mercoledì 6 aprile 2011

La Parola di Dio

Mercoledì 6 aprile
Gv 5,17-30


Dio ha pensieri d’amore e di pace
verso di noi, che pure non perdiamo
occasione per guastare il progetto
del Creatore e riempire il
cuore della gente di preoccupazioni
e di dolore. I tiranni, che fanno
soffrire popoli interi, come chi si
pasce dell’ingiustizia e si rifiuta di
aiutare il prossimo, non sono padroni
del mondo. Ogni persona
umana è creata da Dio libera e responsabile
delle sue azioni. È già
in atto il giudizio sulla nostra vita e
sulle nostre opere. La Chiesa in
questo giorno, ascoltando il Vangelo
Vangelo
ci conforta: Dio non rifiuta il
perdono ai peccatori pentiti, a chi
intende cambiare il proprio modello
di vita. L’umile confessione delle
nostre colpe ci ottiene la sua misericordia.
Chi di fatto si rende
conto del male compiuto e si impegna
a far di meglio fa rivivere in
sé la qualità di figlio beneamato,
che il Padre aspetta e accoglie con
amore.

martedì 5 aprile 2011

Scoperta choc: in 50 DNA di cancro al seno 1700 storie diverse

di Gioia Locati  (*)

Scoperta shock per gli scienziati della Washington University: i ricercatori americani hanno “mappato” il dna del cancro in 50 donne malate di carcinoma mammario e hanno scoperto ben 1.700 mutazioni, quasi tutte “uniche” nel senso che quelle che ricorrono frequentemente sono solo 5. CONCLUSIONI: OGNI PAZIENTE è UNA STORIA A SE’

Gioia Locati
La notizia è stata divulgata dall’agenzia AdnKronos: ogni TUMORE HA UN IDENTIKIT UNICO proprio come ogni persona è diversa dall’altra e lo è nei genomi (ossia nel “materiale genetico” ereditabile) come nelle impronte digitali. Personalizzare le cure sarà impresa sempre più titanica, ma NECESSARIA
Che ogni cancro fosse diverso dall’altro gli oncologi lo avevano capito da tempo. Eppure è stato ugualmente «uno shock» per l’èquipe americana scoprire che le affinità fra un tumore e l’altro si limitano a un pugno di mutazioni ricorrenti: sostanzialmente 5. I ricercatori guidati da Matthew Ellis, nel più grande studio di genetica dei tumori mai condotto finora, sono riusciti a mappare per intero il genoma del cancro al seno in 50 malate, confrontando il Dna tumorale con quello ottenuto da cellule sane delle stesse pazienti.

Un lavoro immane che ha coinvolto oncologi, patologi e genetisti. Insieme, hanno passato in rassegna oltre 10 “trilioni” (10 mila miliardi) di mattoncini (basi) che compongono il Dna, ripetendo ogni opera di sequenziamento (sia sul genoma sano che su quello malato) per 30 volte a paziente.
Nei tumori analizzati sono state individuate oltre 1.700 mutazioni, in
stragrande maggioranza uniche, ossia presenti soltanto in una paziente. I risultati sono stati presentati a Orlando, Florida, dove si è aperto ieri il 102esimo meeting annuale dell’American Association for Cancer Research (Aacr).

I campioni di Dna sono stati ottenuti da pazienti arruolate in uno studio clinico guidato da Ellis per l’American College of Surgeons Oncology Group. In tutte le malate, il tumore è risultato positivo al recettore degli estrogeni. Significa che, legandosi a questi ormoni, la neoplasia cresce e a si espande.
Per ridurne le dimensioni facilitando l’asportazione del tumore, ogni paziente ha ricevuto prima dell’intervento chirurgico una terapia antiestrogenica, ma gli scienziati hanno osservato che solo 26 tumori su 50 rispondevano alla cura.
Apparentemente la neoplasia era uguale (ER+, cioè positiva ai recettori degli estrogeni), ma la stessa terapia funzionava soltanto in una paziente su due.

In linea con quanto emerso da ricerche precedenti, Ellis e colleghi hanno confermato che due mutazioni sono comuni a buona parte delle pazienti: la mutazione del gene PIK3CA era presente nel 40% circa delle malate del campione, mentre quella del gene TP53 nel 20%. Gli studiosi hanno identificato una terza mutazione, comune al 10% circa delle pazienti: quella del gene MAP3K1 che regola i meccanismi del cosiddetto “suicidio cellulare”, in base al quale le cellule malate tendono ad autoeliminarsi. Ma appena altre due mutazioni – ai geni ATR e MYST3 – ricorrevano in percentuali simili a MAP3K1. «Scoprire che erano così poche è stato uno shock»,
confessa Ellis.
Oltre alle 5 mutazioni più o meno ricorrenti, il team di scienziati
americani ha identificato altri 21 geni che apparivano mutati in un numero significativo di pazienti del campione, ma con frequenze decisamente inferiori al 10%. Nonostante questa relativa rarità, i ricercatori ritengono comunque importanti queste mutazioni. Considerando infatti che «il tumore al seno è molto comune – spiega Ellis – anche le mutazioni che ricorrono con una frequenza del 5% finiscono per coinvolgere un gran numero di donne».
Non solo. Alcune mutazioni genetiche che nel cancro al seno sono rare, possono essere invece diffuse in altri tipi di neoplasie. Tanto che potrebbero già essere disponibili farmaci disegnati ad hoc per contrastarle. L’obiettivo ideale da raggiungere, puntualizza tuttavia Ellis, è quello di mettere a
punto “a tavolino” trattamenti specifici al bersaglio, sequenziando il genoma tumorale non appena il cancro viene diagnosticato.

La prima conclusione che gli autori del maxi-studio si sentono di trarre
è che «i genomi tumorali sono straordinariamente complicati, e questo spiega la nostra difficoltà nel prevedere i risultati delle nuove terapie».
«Il traguardo più vicino – aggiunge il coordinatore della ricerca – è usare le informazioni ottenute per definire un approccio terapeutico personalizzato per ognuna di queste pazienti». Infine, una consolazione: «Se non altro – riflette Ellis – abbiamo tracciato dei limiti alla complessità del problema. Guardare al telescopio e capire per quanto si estende l’universo non è facile, mentre ora sappiamo che l’universo del cancro termina dove finisce il genoma». UN PROBLEMA GRANDE COME IL DNA UMANO. Non resta che rimboccarsi le maniche.


Nota:
 Chi è Gioia Locati - tutti i suoi articoli:  "Nell’autunno del 2007 ho scoperto di avere un tumore al seno, da allora la mia vita è cambiata profondamente ma non in peggio. “Col senno di poi”…"
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La Parola di Dio

Martedì 5 aprile
Gv 5,1-16


Il sabato è il giorno della creazione;
il miracolo di Gesù è
segno della creazione nuova.
Redimere è riscattare il progetto
di Dio per l’uomo. Gesù
ci libera dal male facendosi
carico dei problemi di tutti noi.
Il Vangelo, assimilando l’infermità
al peccato, ci fa scorgere
la misericordia di Dio che, con
la fatica dell’incarnazione da
Betlemme al Calvario, manifesta
il suo amore e rimedia le
sofferenze dell’uomo. Ne guarisce
l’aridità e il compromesso
con il male. Chiede anche alla
Chiesa di fare altrettanto. I
Padri amavano chiamare il popolo
di Dio «Cristo totale»,
perché non è più separabile
Gesù, che ne è il capo, da noi,
che ne siamo il corpo. Per vivere
degnamente il mistero
pasquale ci è chiesto di recare
ai fratelli il lieto annunzio della
salvezza. Noi stessi qualche
volta ci stupiamo che Gesù
risorto operi ogni giorno tramite
questa povera Chiesa
che, pur segnata da contraddizioni
e dal peccato, riesce
ancora a fare presente il Signore.

lunedì 4 aprile 2011

I segreti inconfessabili di Massimo D'Alema (e di alcuni Magistrati italiani)

Le carte sui fondi dei Ds
ignorate dai giudici
fanno tremare D’Alema

di Redazione
Il giudice ordina di desecretare le 300 pagine che svelano il tesoro nascosto degli ex Democratici di sinistra. Ma la Procura non ha mai aperto un'inchiesta
Luca Fazzo - Gian Marco Chiocci

Milano «It would be better to avoid showing mr. Massimo D’Alema as rapresent Il Partito del D.S. as this could cause all sort of complication». Traduzione: «Sarebbe meglio evitare di mostrare Massimo D’Alema come rappresentante del partito dei Ds, perché questo potrebbe provocare ogni tipo di complicazioni». Eccolo, finalmente, il foglio che per cinque anni è rimasto segreto, negli armadi blindati della Procura e del tribunale di Milano, e che adesso viene riportato alla luce per ordine di un giudice. E insieme a quel foglio - coperto da grandi macchie, ma leggibile in molte sue parti - viene alla luce l’intero dossier: nome in codice «Oak Fund».
È il dossier che fa tremare i Ds. Nel rapporto riservato sul presunto tesoro dell’ex Pci-Pds-Ds che il capo della Security di Telecom, Giuliano Tavaroli, commissionò all’agenzia d’investigazioni private Polis d’Istinto, si parla diffusamente di personaggi, società e conti esteri riconducibili al partito di D’Alema. Quel D’Alema che come presidente del Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti, lo scorso novembre provò a scavalcare il segreto di Stato per mettere le mani sul preoccupante carteggio fin lì definito una «bufala» da lui stesso, da Fassino e dall’ufficio legale del partito. Richiesta respinta. In base al decreto Mastella - varato in fretta e furia dal Parlamento dopo l’esplosione dello scandalo Telecom - tutti i dossier erano destinati a essere distrutti, seppellendo per sempre i loro contenuti, veri o fasulli che fossero.

Ma giovedì scorso una novità inattesa fa irruzione sulla scena del processo in corso a Milano agli uomini accusati di avere realizzato quei dossier. Il presidente della Corte d’assise Piero Gamacchio si vede recapitare in aula l’intero malloppo: a inviarlo è un altro giudice, Giuseppe Gennari, che dovrebbe occuparsi della distruzione del materiale. Ma Gennari dice: non ho trovato alcuna prova che questi dossier siano stati raccolti illegalmente, per cui devono fare parte a pieno titolo del processo. Il segreto, insomma, è tolto sull’intera attività della «Security» di Telecom. Compreso il dossier «Fondo». Quello sul fondo della Quercia.

Il Giornale ha potuto leggere per intero il dossier. È una lettura che apre scenari inquietanti. Dentro c’è tutta la storia del conto, ci sono ripetuti riferimenti a D’Alema, al suo partito, ai suoi presunti incaricati d’affari. Certo, sono tutte tracce che andrebbero verificate da un’inchiesta ufficiale. Ma - e questo è il secondo aspetto inquietante - una inchiesta ufficiale non c’è mai stata. A leggere il dossier, si comprende appieno lo stupore con cui l’anno scorso il giudice Mariolina Panasiti, rinviando a giudizio gli attuali imputati, sottolineò l’assenza di qualunque sviluppo investigativo dei suoi contenuti.

Il dossier è costituito da circa trecento pagine di secret reports e note confidential, raccolti dall’investigatore privato Emanuele Cipriani su input di Giuliano Tavaroli, a sua volta incaricato della cosa (secondo quanto dichiarato in un’intervista, ma non ai pm) da Marco Tronchetti Provera. È la storia del Oak Fund alle Isole Cayman, creato il 22 settembre 1997 con il numero 76524 e gestito dalla Citco, una società fiduciaria con sede anche in Olanda. Il dossier ricostruisce genesi e catena di controllo del fondo attraverso complicati schermi finanziari, con rimbalzi su banche estere, europee e caraibiche e con l’impiego di professionisti del settore off shore simili in tutto a quel James Walfenzao che trattò la casa di Montecarlo del cognato di Gianfranco Fini, mister Giancarlo Tulliani.

Nella sua intervista a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica, Tavaroli aveva riassunto così i risultati del dossieraggio: «I soldi hanno viaggiato in giro per l’Europa, per poi approdare a Londra nel conto dell’Oak Fund cui erano interessati i fratelli Magnoni e dove aveva la firma Nicola Rossi e Piero Fassino. Queste cose le ho dette anche ai pm ma loro mi dicevano: non scriviamo i nomi sul verbale, diciamo esponenti politici». Tutte queste persone citate dall’ex capo della security hanno smentito e annunciato querele. Ma restava da capire il comportamento della procura di Milano: questi benedetti nomi associati a queste benedette società finanziarie, ci sono o non ci sono nel dossier sequestrato durante l’inchiesta? E se ci sono, come in alcuni casi ci sono, perché non si è indagato al riguardo?
Ecco arriva la risposta: alcuni nomi, nel dossier, ci sono. C’è, ripetutamente, quello di Massimo D’Alema. C’è una sigla che appare due volte, P.F. C’è un non meglio identificato «signor Rossi».

C’è persino una telefonata che uno degli emissari di Cipriani fa alla Citco di Nassau, spiegando di voler inviare un bonifico ai proprietari del fondo Oak, e si sente rispondere di contattare la sede dei Ds a Roma, con tanto di numero telefonico, e di contattare il «tesoriere del partito o il noto personaggio “Baffino”». C’è un’altra telefonata, sempre alla Citco, in cui l’emissario di Cipriani chiede come dovrebbe rispondere se qualcuno gli facesse domande sul fondo Oak, e gli dicono di fare riferimento genericamente a qualche banca, «è anche possibile accennare alla compagnia assicuratrice Unipol ma non deve essere assolutamente menzionato M.D’A. o gli esponenti del partito italiano». E poi c’è il foglio macchiato citato all’inizio di questo articolo: macchie fatte a bella posta, per nascondere autore e data. È intestato alla Citco Netherlands, indirizzato a tale «mr.Rolle».

Cita il nome del fiduciario italiano fino a quel momento indicato come gestore del conto. E lancia l’ammonimento: non citare mai Massimo D’Alema, «as this could cause all sort of complications».
Sul conto della Oak, in una data che il dosser non indica, approdano 10 milioni e 775 mila dollari. Perché? Il dossier non lo cita, perché l’indagine si ferma lì: a Cipriani arriva l’ordine di sospendere l’indagine. Ai vertici di Telecom conoscere tutta la verità sul fondo della Quercia non interessa. Alla Procura di Milano, evidentemente, neanche.
(1 - continua)

Godibilissimo, da leggersi tutto d'un fiato...


Ecco l'Italia degli ipocriti
scandalizzati per il "vaffa"

di Vittorio Sgarbi
Tutti si indignano per l’offesa di La Russa a Fini, ma è normale se un candidato viene "trombato" (alle urne...)

Nei giorni scorsi, soprattut­to l’altro ieri, non si potevano leg­gere i giornali. Nessuna notizia, se non il doppione predicatorio e moralistico del resoconto di quanto è accaduto alla Camera il 30 e il 31 marzo. Dopo i fatti, le (patetiche) opinioni. Tutti si so­no esercitati nel prendere le di­stanze dal ludibrio e dalla mortifi­cazione, senza precedenti (sic!), inflitta al parlamento. Perfino l'intelligente e acuto Michele Ai­nis (non dico il perduto Merlo), non ha saputo resistere. E inizia, in volgare, il suo fondo sul Corrie­re, con la frase «una roba così non era mai successa» («roba», scrive proprio «roba»). E prose­gue «il Capo dello Stato che con­voca i capigruppo al Quirinale, li mette in riga come scolaretti, gli chiede conto dei fatti e dei disfat­ti. D'altronde non era mai succes­so nemmeno il finimondo anda­to in scena negli ultimi due gior­ni: il Ministro della Difesa che manda a quel paese il Presiden­te della Camera, quella della Giu­stizia che giustizia la sua tessera scagliandola contro i banchi dell' Italia dei Valori…». Io non c'ero, e per impreviste circostanze in quei due giorni non ho letto i gior­nali e non ho visto la televisione. Dalle numerose persone che ho incontrato, mi è arrivata una fle­bile eco di questi «scandalosi av­venimenti ».

Ma quando poi, il primo aprile, ho ripreso a legge­re i giornali, verso sera, dopo aver visto una luminosa Cata­nia, non credevo alle orecchie della mia mente, nelle quali ri­suonavano gemiti e grida di indi­gnazione di tutti i più autorevoli opinionisti. Il destino mi ha fatto recupera­re anche il Merlo di giornata (uscito il 31 marzo) con il consue­to articolo contro Berlusconi, te­ma letterario, molto amato e molto frequentato dai cultori dell'ovvio, il quale senza accor­gersene mina alle radici tutte le proteste sue e dei suoi affini. Il suo articolo sul «Cavalier Laqua­lunque » si conclude nei fatti con un «vaffanculo» pudicamente mascherato. Dopo le sue consue­te metafore gattopardesche sul­la Sicilia e sulle vane promesse di Berlusconi, novello Don Caloge­ro Sedara ( «il sogno come varian­te del sonno »), chiude: «Deve es­sere p­er questo che i miei sciagu­rati paesani lo hanno applaudito invece di mandarlo… alla deriva nel suo cargo…». Voleva eviden­temente dire «affanculo», come il suo sciagurato paesano La Rus­sa aveva detto a Fini. Qual è la dif­ferenza? Il ruolo? La sede? Un il­lustre giornalista su Repubblica può «mandare affanculo» il pre­sidente del Consiglio, e un Mini­­stro, già fascista, amico del già fa­­scista, quindi suo camerata, Fi­ni, non può fare lo stesso col Pre­sidente della Camera? La diffe­renza sembra spiegata dallo stes­so Fini, che respinge le scuse dell' ex-camerata, dicendo: «Non è stata un'offesa alla persona ma all'Istituzione».

Il giorno dopo il pilotato pareggio (arbitro di par­te lo stesso Fini), sul verbale rela­tivo alla seduta del giorno prima, si confermerà la minacciosa con­siderazione di Fini. Dunque un «vaffa» può tanto? Ed è tanto ra­ro? E può muovere Presidenti di Camera e della Repubblica, opi­nionisti, direttori di giornali, scrit­tori, in una così corale, unanime e concorde indignazione? Beh! Viene da sorridere. E perché nes­sun coro di proteste si levò con­t­ro l’osceno Di Pietro che sguaia­tamente in Aula urlò «conigli» e altre contumelie all’indirizzo del presidente del consiglio e del mi­n­istro degli Esteri offeso al punto da andarsene dai banchi del go­verno. Non era forse anche in quel caso un deputato a offende­re due istituzioni? «Vaffa» è, ormai da anni, la for­tunata esortazione di Beppe Gril­lo, comico-politico-comico, se­gretario- non segretario di un par­tito a cinque stelle, sorto dalle fondamenta di molti«vaffa».Esi­ste quindi un «partito del vaffa», riconosciuto in amministrazio­ni regionali e comunali.

Esisto­no simpatizzanti di quel partito, i quali, normalmente, come la maggioranza degli italiani, pen­sano, dicono o mandano affan­culoqualcuno. Il1˚ maggio2008 io ero ospite a una puntata di San­toro che mandò, in prima serata davanti a milioni di spettatori, una serie di«vaffa»di Beppe Gril­lo contro numerose istituzioni. Nessuno si scandalizzò, non fu punito; io che mi ribellai a quella esibizione davanti al ghigno compiaciuto di Travaglio, fui querelato e mai più invitato. Dov'è dunque lo scandalo odierno per una formula di così frequente e, anche televisivo, uso? Nel luogo? Nell'invito, forse poco cortese, al Presidente della Camera? Inoltre, in una seguitis­sim­a trasmissione Rai è stato for­malmente consentito, e addirit­tura organizzato con contributi registrati, come documento poli­tico di costume, quello che oggi determina indignazione alla Ca­mera dei Deputati.

È legittimo in­sultare in televisione il Presiden­te della Repubblica e il Senatore Umberto Veronesi, definito «cancronesi»? Tutto bene? Tut­to male? O niente di più e niente di meno di quello che si sente nel­­le strade, nelle piazze, nei gruppi organizzati contro il Presidente del Consiglio, e si legge nei libri dei principali e ammirati roman­zieri, fin dalla metà del '900, da Celine, a Miller, a Pasolini, a Mo­ravia, a Busi, che al tema ha dedi­cato il titolo del suo libro: «Ci vo­gliono i coglioni per prenderlo nel culo» (edizioni Mondadori). E allora per cosa si turbano (a cor­rente alterna) e di cosa si preoc­cupano le anime belle? E cosa è più osceno della ipocrisia e della indignazione retorica? Ma sicco­me la questione è lessicale, vor­rei rispondere con un riferimen­to pertinente e linguisticamente inquietante.

Dobbiamo rispetta­re la lingua, e come insegna il Manzoni, la lingua letteraria si forma sulla lingua dell'uso. Vi so­no inoltre termini tecnici che si generano in certi ambienti. Dun­que, nel mondo della politica, e con preciso riferimento alle ele­zioni, terminologia corrente e persino «ufficiale», senza alcuno scandalo, è «trombare». A ogni elezione c'è l'elenco dei «tromba­ti eccellenti». La parola, participio passato del verbo trombare, l'ho sentita io stesso pronunciare da Andre­­otti, da Napolitano, da de Mita, da Craxi, da Pannella, da Cirino Pomicino, da Di Pietro, da Berti­notti, da Bersani, da Bossi, da Ca­sini, da Fini, da La Russa e da mol­tissimi altri. Forse mai da Berlu­sconi. Si dirà perché è più abitua­to­a trombare che a essere trom­bato. Io stesso fui indicato fra i «trombati»da Gian Antonio Stel­la dopo aver perso le elezioni nel collegio uninominale di Porde­none- Sacile contro il leghista (ex­tracomunitario: era svizzero!), Edoardo Ballaman.

C’è poco da fare: il verbo è quello, e, nella so­stanza e nel concetto, è assai affi­ne al deprecato «vaffanculo».Un participio contro un vocativo. Ma qui si aprono numerose va­rianti. Chi è eletto, o eletta, non è «trombato» o «trombata». Quin­di si evidenziano contraddizioni o nuovi costumi, perché è evi­dente che, nell'ambito elettora­le, la Nicole Minetti non è stata «trombata», ed è dunque stata eletta. Eletta, non «trombata». Lo stesso si può dire, con perfetta evidenza, di Rosi Bindi: eletta e mai «trombata». Di questo la stessa Bindi è perfettamente con­sapevole. È, in prospettiva delle sue certe elezioni future, «mai trombabile». Il che non vuol dire «non trombabile».Ma è ragione­v­ole aspettativa ritenere che que­sto non avvenga. Eletta e «non trombata» è anche Barbara Ma­tera, e non si può dire che questo possa essere ritenuto offensivo. Dunque, perché non ci si preoc­cupa di tanti trombati definiti tali da illustri politici e colleghi, e ci si scandalizza per il «vaffa» di la Russa? Oggi manda a fare in cu­lo, domani potrebbe essere trom­bato.

Così va il mondo, e così la politica si manifesta senza turba­menti e scandali. Fino ad oggi al­meno, quando il gentile Michele Ainis ci informa, forse esageran­do, che «una roba così non era mai successa».Si vede che era di­­stratto quando alla Camera ap­parve un cappio, a manifestare tutta la passione per l'attività del­la magistratura, la quale non manda a fare in culo, ma spesso, troppo spesso, senza che ci si scandalizzi, incrimina o arresta, o semplicemente sputtana inno­centi. Che talvolta si suicidano. Come è capitato qualche girono fa al viceprefetto Salvatore Sapo­rito. Una notizia che non ha de­stato scandalo come il «vaffancu­lo » di La Russa, ma era ed è, caro Ainis, molto più scandalosa.