domenica 31 ottobre 2010

Buona Domenica!

Nelle ultime tre domeniche abbiamo seguito un vero e proprio “master breve” sulla fede… Per cominciare abbiamo detto che essa non dipende da Dio, che non sta a Lui accrescerla, ma che è la ns. libera risposta al suo amore incondizionato, offerto a tutti gli uomini indipendentemente dai loro meriti; abbiamo poi imparato che solo uscendo dai ns. convincimenti, dai ns. pregiudizi e addirittura dal sistema di valori istituzionalizzato possiamo incontrare il Signore che ci libera, e ciò malgrado rischiamo – nove su dieci – di arroccarci nell’ingratitudine anziché tornare a rendere gloria a Dio; domenica scorsa infine abbiamo scoperto che il Padre, a differenza del giudice iniquo, non ha certo bisogno di continue insistenze per render giustizia all’oppresso, ma anzi, sempre a differenza del giudice iniquo, ci chiama a prenderci cura degli altri uomini per costruire già qui in terra la giustizia propria del Regno, attingendo alla preghiera come fonte d’ispirazione nel contatto con lo Spirito e non come disimpegnante anestetico che ci estranei dal mondo.

Al termine dell’ultimo tratto di Vangelo, Gesù si poneva – ma soprattutto ci poneva… – una domanda inquietante: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”… Ebbene, col brano di oggi siamo posti di fronte al pericolo da cui scaturiva quell’interrogativo, il rischio peggiore per l’aspirante discepolo, quello cioè di pensare di avere fede ed invece essere completamente fuori strada, tanto da mancare il bersaglio del tornare in pace con Dio! La parabola è raccontata solo “per alcuni”, nel senso che – grazie al Cielo! – non tutti i credenti percorrono il sentiero sbagliato, ma soltanto quelli che sono “persuasi di essere giusti e disprezzano gli altri”… Ambo i protagonisti, fra l’altro, salgono al tempio “per pregare”, e dunque sono intimamente animati dalla volontà di rapportarsi con Dio, ma in realtà uno solo riuscirà nell’intento!

Fariseo significa letteralmente “separato”, è colui che, a differenza degli altri uomini, riesce ad adempiere scrupolosamente alle ben 613 prescrizioni moltiplicate dai rabbini a partire dalle originarie 10 “parole” consegnate sul Sinai… L’osservanza della Legge è per lui la ragione di vita, l’unica via di salvezza da percorrersi ad ogni costo, ed è perfettamente consapevole della propria inattaccabilità formale. Il fariseo sta dritto “in piedi”, non avverte alcun debito verso Dio (anzi…), e prega “tra sé”, in un atteggiamento tanto autoreferenziale ed autocelebrativo che non lascia spazio alcuno per il Signore… I contenuti della sua (presunta) preghiera, poi, sono ancora più significativi: il fariseo ringrazia per essere diverso dal resto degli uomini, che sono “rapaci, ingiusti e adulteri”, cioè ringrazia per essere migliore, soprattutto di quel pubblicano che lo affianca nel tempio (ma si pone ai piedi di Dio anziché “in piedi”…)! Il fariseo giudica il fratello nella fede, è impietoso come e più del pagano, e lo fa dall’alto di chi “digiuna due volte alla settimana e offre la decima parte su tutto ciò che possiede”, dunque fa sacrifici anche oltre il necessario… Non aveva voluto ascoltare il profeta che ammoniva “misericordia voglio e non sacrificio”, come toccherà ricordare anche a Gesù (Mt. XII, 7)!

Ben diverso è il comportamento del pubblicano (da “publicus”), professionalmente avvezzo a disinteressarsi totalmente della Legge pur di spremere le maggiori tasse possibili dalla gente più indigente per foraggiare al meglio l’apparato pubblico, imperiale e locale, e (perché no?) garantirsi la propria posizione di privilegio in barba alle miserie degli altri… Questo pubblicano, però, avverte finalmente la sete di Dio, si mette in ricerca di qualcosa di altro (e di “Alto”), ha voglia di pregare, e rimane consapevole delle proprie responsabilità, si mantiene a distanza, non osa rivolgere direttamente al Cielo nemmeno lo sguardo, eppure in cuor suo sa che l'amore del Padre non gli sarà mai negato, ed infatti le sue parole non restano dette "tra sé", ma si crea il desiderato contatto..."a passo d'uomo, si è messo in cammino verso il divino", per dirlo con le parole del compianto vescovo Ablondi! "O Dio, sii benigno con me, peccatore"... Lungi da lui ogni vanto di credito, ma soprattutto - e sebbene ne avesse a sua volta motivo - lungi da lui ogni giudizio sul fratello fariseo che lo affianca nel tempio, perché solo chi è capace di Dio è capace anche di benevolenza e perdono senza confini (e ce lo dimostra ulteriormente San Paolo, che nella seconda lettura ci dice "tutti mi hanno abbandonato"...ma "non se ne tenga conto contro di loro"!)...

Due atteggiamenti radicalmente diversi, dunque, che prefigurano un finale davvero sconcertante: soltanto il pubblicano torna a casa rappacificato con Dio, e dunque anche con se stesso, mentre al "perfettissimo" fariseo è negata la giustificazione, perché di fatto non l'ha nemmeno chiesta, pensando di non averne bisogno! "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato"... Non è la Legge che ci salva, né la coerenza (aspetti da coltivare, senza sopravvalutarli), ma soltanto la misericordia, del Padre verso di noi e ns. nei confronti di chiunque incontriamo! Ecco la Buona Notizia, l'essenziale della fede che - confidiamo - il Figlio dell'uomo possa trovare sulla terra quando verrà... A noi il delicato compito di diffonderla e viverla, in un mondo ormai patologicamente pettegolo e sempre più voracemente affamato di quanto di più pruriginoso e scandalistico possiamo immaginare (o, drammaticamente, estrapolare dalle cronache reali).

Chiediamo al Signore di accompagnarci, passo passo, verso questa sua idea di giustizia che abbiamo il mandato di tradurre in concreto nella vita quotidiana: perché, lungi dal sentirci migliori degli altri, impariamo che l'unico modo per onorare seriamente Dio passa dall'amore incondizionato per qualsiasi fratello, e perché nessun sedicente credente, assuefatto dall'idolatria della Legge e della sua osservanza, si trasformi in giudice implacabile, mancando così il bersaglio della piena pacificazione col Signore (è questo il peccato contro il suo Spirito d'amore, che non ammette giustificazione)!

A presto e buona settimana!
Matteo

Sopravvivere nella fede, in questi fragili tempi, richiede una costanza e una determinazione degna di un martire. I ritmi della vita, le continue spinte che ci allontanano dalla visione evangelica, un certo sottile scoraggiamento, ci impediscono, realisticamente, di vivere con serenità il nostro discepolato.
Un cristiano adulto con moglie e figli, se riesce a sfangarsi dall’organizzazione della vita quotidiana (lavoro, scuola, spesa…) difficilmente riesce ad organizzarsi una vita interiore che vada al di là della Messa domenicale (quando va bene!).
Ma se non riusciamo, quotidianamente, a trovare uno spazio, seppur piccolo, di preghiera ed interiorità, non riusciremo a conservare la fede.



La preghiera cristiana
La preghiera è una questione di fede: credere che il Dio che invochiamo non è una specie di sommo organizzatore dell’universo che, se corrotto, potrebbe anche concederci ciò che chiediamo. Dio non è un potente da blandire, un giudice corrotto da convincere, non è un sottosegretario da cui farsi raccomandare, ma un padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Se la nostra preghiera fa cilecca, sembra suggerirci Gesù, è perché manca l’insistenza.
O manca la fede.
Oggi, con l’acida parabola del pubblicano e del fariseo, ci viene suggerita un’altra pista di riflessione.





Il fariseo e l’ingombro del cuore
I farisei erano devoti alla legge, cercavano di contrastare il generale rilassamento del popolo di Israele, osservando con scrupolo ogni piccolissima direttiva della legge di Dio. L’elenco che il fariseo fa, di fronte a Dio, è corretto: per zelo il fariseo paga la decima parte dei suoi introiti, non soltanto, come tutti, dello stipendio, ma finanche delle erbe da tisana e delle spezie da cucina!
Ogni buon parroco vorrebbe avere, tra i suoi parrocchiani, almeno un fariseo: il decimo dello stipendio riempirebbe in fretta le casse della Parrocchia!
Qual è, allora il problema del fariseo?
Semplice, dice Gesù, è talmente pieno della sua nuova e scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo
ego (quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi.
Peggio: invece di confrontarsi con il progetto (splendido) che Dio ha su ciascuno di noi (e su di lui), si confronta con chi fa peggio, con quel pubblicano, lì in fondo, che non dovrebbe neanche permettersi di entrare in chiesa!
Questo è il nocciolo della questione: avviene che ci mettiamo – sul serio! – alla ricerca di Dio. Desideriamo profondamente conoscerlo, diventare discepoli, ma non riusciamo a creare uno spazio interiore sufficiente perché egli possa manifestarsi. Con la testa e il cuore ingombri di preoccupazioni, di desideri, di pensieri, concretamente non riusciamo a fargli spazio.
Oppure accade che, dopo un’esperienza fulminante, che so, un ritiro, un pellegrinaggio, sentiamo forte la sua presenza, ma, una volta tornati a casa, la nostra testa viene riempita dalle preoccupazioni di questo mondo.
Non è solo il problema dell’orgoglio. È proprio una complicazione dell’esistere, una vita che non riesce ad uscir fuori dal buco nero in cui si è infilata.



Suggerimenti da pubblicano
Diventerò (ancora più) antipatico a qualcuno, pazienza.
Ma devo necessariamente darvi, per deontologia professionale, alcuni suggerimenti da pubblicano.
Se non riesco a ritagliare nella mia giornata un quarto d’ora di assoluto relax, di vuoto mentale, magari dopo una bella corsetta, o una passeggiata nel parco, se non faccio silenzio intorno (spengo la tivù, stacco il cellulare), se non prevedo, almeno d’ogni tanto, una pausa di una giornata non passata, al solito, in coda in autostrada per andare a riposare (sic!), farò fatica a trovare un luogo in cui Dio sta.
Lo so, coppie che leggete, oggi resistere costa fatica: la giornata è stracolma di impegni indispensabili per sopravvivere e i figli piccoli complicano ulteriormente le cose.
Ma credo sia possibile creare una
desert zone nella nostra vita, ogni giorno. Se siete delle coppie, magari, datevi i turni, dei micro-spazi di relax.
Non abbiamo spazio per l’interiorità, questo è il problema.




Vuoto
Il pubblicano, invece, di spazio ne ha tanto.
Il denaro che ha guadagnato con disonestà, l’odio dei suoi concittadini (è un collaborazionista!), l’impressione di avere fallito le sue scelte, creano un vuoto dentro di lui, un vuoto che Dio saprà riempire. Consapevole dei suoi limiti, li affida al Signore, chiede con verità e dolore, che Dio lo perdoni. E così accade.
Esiste un modo di vivere e di essere discepoli pieno di arroganza e di ego smisurato, pieno di certezze da sbattere in faccia agli altri (basta vedere il livello dello scontro politico ed ideologico che viviamo!)
Esiste un modo di vivere e di essere discepoli colmo di ricerca e di umiltà, di voglia di ascoltare e di capire, di continuare a cercare, pur avendo già trovato il Signore.
Il Vangelo di oggi ci ammonisce a lasciare un po’ di spazio al Signore, a non presumere, a non pretendere, a non passare il tempo a elencare le nostre virtù.
Siamo tutti nudi di fronte a Dio, tutti mendicanti, tutti peccatori.
Ci è impossibile giudicare, se non a partire dal limite, se non dall’ultimo posto che il Figlio di Dio ha voluto abitare.
Ancora una volta, il Signore chiede a ciascuno di noi l’autenticità, la capacità di presentarci di fronte a lui senza ruoli, senza maschere, senza paranoie.
Dio non ha bisogno di bravi ragazzi che si presentano da lui per avere una pacca consolatoria sulle spalle, ma di figli che amano stare col padre, nell’assoluta e (a volte) drammatica autenticità.
Questa è la condizione per ottenere, come il pubblicano, la conversione del cuore.

(Don Paolo CURTAZ)

sabato 30 ottobre 2010

Test: rimettersi con il proprio ex?

TEST: Rimettersi con il proprio EX
Opzione da escludere a priori oppure valutabile ?
Rompere un legame è divenuto sempre più frequente e purtroppo anche facile, spesso basta nascondersi dietro un messaggio (SMS o E-mail) per lasciare impietrito il proprio partner. A volte però le ragioni della rottura sono indipendenti dai sentimenti reciproci e magari potrebbero anche essere risolte dedicandogli la giusta attenzione; in altri casi invece la scelta di chiudere definitivamente si dimostra appropriata e conveniente per entrambi.
Questo test vi aiuterà quindi a riflettere sull'argomento analizzando il vostro precedente rapporto, fornendo anche dei suggerimenti utili per una possibile ricostruzione del legame; chiaramente se in passato avete già interrotto e ripreso più volte la vostra tumultuosa relazione forse non è il caso di persistere ulteriormente. 
»

 vai al test

Preghiamo con Alice

 Signore, com'è difficile amarTi quando tutto va male e la vita ci sembra una cosa schifosa, inutile, sensa senso!
Dammi la forza ed il coraggio perché io faccia io mio noiosissimo dovere con lo stesso entusiasmo e la stessa gioia con cui inizierei la più affascinante delle avventure. Fatti trovare in mezzo al rumore ossessivo anche se tutto è grigio e pieno di fumo.
Com'è difficile, Signore, amare gli altri quando non capiscono, non reagiscono, distruggono quello che Tu hai faticosamente costruito, quando Ti deludono in ogni istante.
Aiutami a fare quello che devo. Tu sai quanto sono stanca ed abbattuta, sai che ho mal di testa e che non ho più la forza di tirare avanti, nè di credere, nè di sperare. Anzi già che ci sei fammi fare quello che vuoi Tu e non quello che voglio io, così arriveremo prima in porto.
Aiutami a scegliere la strada più difficile, rapida e giusta. Dammi una tale carica da rimettere me in sesto al punto che io possa trascinarmi dietro gli altri, quelli ancora più stanchi e sfiduciati di me. Frena la mia insofferenza e la mia costante impazienza. Fa' che io non pretenda che gli altri siano come li ho sognati e mi piacerebbe essi fossero. Vieni alla scoperta delle cose belle, perché ce ne sono tante bellissime, e non lasciarmi sola.
Fammi cantare nei momenti in cui ucciderei volentieri buona parte del genere umano e mi fracasserei la testa contro un muro. Fammi pregare quando non ho più voglia di fare niente e la mia sarà vera preghiera.

venerdì 29 ottobre 2010

Preghiamo con Alice (una pagina di diario, 2005)

... il mio Dio è molto simpatico perché ha un grande senso dell'umorismo. Poi ha un'altra grandissima dote: mi capisce al volo e non si scandalizza mai.
Va sempre in fondo alle cose e non si ferma alla superficie.
Si rivolge a me nel modo più consono al mio carattere,  perché io possa capirLo bene.

giovedì 28 ottobre 2010

Test: quanto piaci?

Riprendo un test postato dalla precedente blogger Giada, adatto sia ai maschietti che alle femminucce...

Test: il seduttometro

Il Signore ci vuole santi, non eroi

Il Signore ci vuole santi, non eroi.
L'eroismo può essere di un momento, mentre la santità è un eroismo molto più difficile, quello di ogni istante, di ogni giorno, di tutta la vita. Insomma è un eroismo quotidiano che confina e si fonde con la santità.
Per questo mi piace il Cristianesimo, perché è battaglia, sconfitta, ma anche vittoria, paura superata, gloria, avanzata ed attacco per conquistare una cosa alla quale tutti teniamo molto: la felicità. Una felicità vera ed eterna che non ci sfugga tra le mani quando ci sembra di averla finalmente raggiunta.
Se Dio è arrivato al punto di morire per noi significa che ci ama. 
Solo per questo noi dobbiamo ricambiare il Suo amore per noi. E' una cosa allo stesso semplice e difficilissima: basta amare Lui e i nostri fratelli, o meglio, Lui negli altri uomini.
Tutto il Cristianesimo è basato sull'amore. Amare non è facile: ci sono delle persone verso le quali ci volgiamo istintivamente con affetto, ovvio, perché si fanno amare, ci ricambiano e ci sono sempre vicine. Ma ce ne sono molte, molte altre, quasi tutte le altre, con cui parlare di amore può sembrare una pazzia.
Dovremmo prenderci l'eroica decisione di amare volontariamente di un amore ragionato.
I Santi dicono che ci si fa l'abitudine!!! 

mercoledì 27 ottobre 2010

martedì 26 ottobre 2010

Esperando el impacto

Esperando el impacto
Bersuit Vergarabat

¿A dónde iré?
Como un fusil cargado
Tirando a cualquier lado
Es resignación
O es la lucidez
Antes del final
Suelo bucear
En un mar hirviendo
De cara a la libertad  

Hoy viajo solo y sin volver
Será que el resto es languidecer
Me gusta estar cayendo
Voy esperando el impacto
Dejaré mis sueños vencidos
Para otra ocasión
Como un Big Bang
Quiero estrellarme
cerca de la eternidad

Y hoy viajo solo y sin volver
Será que el resto es languidecer
Me gusta estar cayendo
Voy esperando el impacto
Y en el abismo me encontraré
Me gusta estar cayendo
Voy esperando el impacto...

Algo falló
Todo sigue estando
Algo cambió
Todo sigue igual que ayer
Sigo esperando el impacto
Sigo esperando el impacto
Voy esperando el impacto.




Aspettando l'impatto 
Bersuit Vergarabat  (*)  

Dove sono? 
Come una pistola carica 
Tirando su entrambi i lati 
E' la rassegnazione 
O è la lucidità
Prima della fine 
Terra immersa 
In un mare bollente 
Il volto della libertà

Oggi sono in viaggio da solo e senza voltarmi

Il resto sarà languore
Mi piace star cadendo
Vado aspettando l'impatto 
Supererò i miei sogni 
Per altre occasioni
Come un Big Bang 
Mi piace l'impatto
Vicina eternità

E oggi sono in viaggio da solo e senza voltarmi

Il resto sarà languore
Mi piace star cadendo 
Vado aspettando l'impatto 
E sotto la terra mi ritroverò
Mi piace star cadendo
Vado aspettando l'impatto ...

Qualcosa è andato storto 

Rimane ancora 
Qualcosa è cambiato 
Tutto rimane lo stesso di ieri 
Io continuo ad aspettare l'impatto 
Io continuo ad aspettare l'impatto 
Vado aspettando l'impatto.


Nota:
(*)  I Bersuit Vergarabat sono un gruppo musicale rock argentino, formatosi a Buenos Aires nel 1987 con il nome di "Henry y la Palangana" (nome cambiato nell'attuale "Bersuit Vergarabat" nel maggio 1989).


Preghierina:
chi avesse una traduzione migliore di questa me la potrebbe, gentilmente, fornire?
Thanks ;)

Preghiamo con Alice

Signore, fammi forte, fiera, coraggiosa come un uomo, come un soldato, il Tuo fedele soldato. Dammi un'anima chiara come l'acqua e grande più dell'Universo. Fammi generosa fino in fondo. Fa' che io sia felice per quello che mi dai. Fammi leale e coerente verso gli altri e verso me stessa. Fammi libera come il vento e fa' che io sia domata solo dalla Tua amicizia. Fresca e giovane come le foglie del parco a Primavera. Fa' che io non sia mai vile e meschina. Dammi un cuore semplice e la fede assoluta di un bambino. Fa' che io non fugga la battaglia e non indietreggi davanti ai Tuoi nemici. Fa' che io non chini la testa di fronte al dolore e non mi lasci abbattere dalle delusioni e dalla malattia. Fa' che non mi dichiari vinta se non dal Tuo amore.

lunedì 25 ottobre 2010

Da una lettrice.... di cui abbiamo molto parlato: Asia S.

Ricevo e "copio e incollo" qui
(solo la foto è stata ritagliata per non mostrare un altro bimbo minorenne, mentre quello che appare ha l'autorizzazione dei genitori)
Flaviaccia


Cara Flavia, anzi cara Flaviaccia visto che adesso ti fai chiamare così, come stai?
Lo so non mi risponderai e se lo farai ti sarà molto pesante. Lo immagino.
Da molto tempo volevo scriverti ma non sapevo nulla di te se non cose non belle e allora ho preferito soprassedere.
Io sto bene, molto bene.
Mi sono tolta da quel posto terrificante che è Monza e ho ritrovato la felicità, la serenità, la famiglia che ho sempre sognato, un posto meraviglioso e solare dove anche se non parli bene inglese ti capiscono e ti vogliono tutti bene. Questo posto non è il paradiso ma è Malta.
Aveva ragione la tua gemella Alice a dire che eravamo troppo vicini a persone che facevano di satana un dio e questo sarà un male per tutti.
Quanta rovina abbiamo avuto? Io, Alice, te, Valeria, Simona, Francesca e non dimentichiamoci delle amiche Paola e Ginevra “deportate” a Pisa per non subire i loro genitori….
Non ti annoierò a dirti cose che probabilmente saprai già, visto che vivevi con una persona che vedeva molto lontano. Chi ha innescato tutto questo e perché e perché tutto è andato così a rotoli.
Non lo farò, voglio mantenermi positiva.
Ho detto che sono davvero felice, ma non del tutto. Mi manca una grande amica, tua sorella Alice.
Le ho voluto sempre un grande bene anche quando quasi quasi litigavamo. Tutto perché ho difeso Simona Paganotti che era rimasta incinta a 15 anni. Come facevo a non darle ragione quando ha voluto abortire? Ecco perché Valeria (più che Alice era Valeria Martini) ci chiamava “Assiassimo” dall’unione dei nostri nomi, Asia e Simo. Era anche simpatico come nomignolo se non fosse stato per ragione importanti, anzi vitali.
Adesso che ho un bimbo tutto mio, Michele, capisco che danno ho fatto fare a Simona e che idiota sono stata io. Ecco perché apprezzo moltissimo il tuo blog ispirato alla vita (e contro l’aborto), alla gioia (barzellette, belle storie divertenti) ma anche alle cose utili e a tanti ricordi positivi di tua sorella.
Hai scritto bene dicendo che Alice non era una santa, non va idolatrata. Era una ragazza normalissima, come avrei potuto essere io o te, ma né io né te lo siamo state.
Non era una persona speciale, era normalissima, ma di una normalità che superava tutti noi, che le dava la possibilità di leggerci negli occhi, di vedere la nostra vita, di insegnarci anche se aveva 2 o 3 anni meno di me e delle sue compagne di classe.
Ogni mattina corro a leggere se ci sono novità sul tuo blog, se ci sono delle cose di lei che possono aprirmi gli occhi, farmi capire cosa mi sono persa e cosa devo fare per riguadagnare il mio pezzo di paradiso sulla terra. Lei, Alice, lo sapeva bene. Ce le insegnava ma noi, almeno io, non capivamo quasi nulla. Erano dei blablablà assurdi, “roba di chiesa”, “roba di Dio” dicevamo, come se Dio fosse stato in chissà quale mondo, non ci appartenesse, non ci “servisse” perché eravamo giovani, belle e con famiglie che stavamo bene economicamente. Adesso invece capisco meglio, apprezzo di più e mi fa piacere dirtelo. Grazie Flaviaccia, continua così.
Asia S. (la “s” è l’iniziale sia del mio cognome da nubile che da sposata)
P.S.: ti mando qualche foto di mio figlio Michele, puoi pubblicarne una per piacere. Grazie moltissime.

Preghiamo con Alice


Senza di Te io non sono nulla, con Te sono una borsa piena di gioia.
Chi sono io? Sono ciò che desideri Tu, sono come Tu mi vuoi, sono la Tua piccola, ma con Te sono più grande delle montagne.
Con Te sono viva, con Te sono felice.
Solo con Te io sono.

domenica 24 ottobre 2010

Buona Domenica!


“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”… Questo sincero e drammatico interrogativo di Gesù, che conclude bruscamente il Vangelo di oggi, chiude il cerchio del lungo insegnamento sulla fede che abbiamo ascoltato nelle ultime due domeniche. Alla richiesta degli apostoli di accrescer loro la fede, il Signore non aveva potuto far altro che ammonirli dal rischio di cadere nell’autosufficienza spirituale ricorrendo all’immagine dei “servi inutili”, visto che la fede non dipende da Dio, ma dall’uomo, ed altro non è che la sua libera accettazione dell’amore incondizionato del Padre…e la prova del nove si è avuta domenica scorsa, quando solo uno dei lebbrosi guariti, il più moralmente sospetto in quanto straniero e addirittura samaritano, torna a rendere gloria a Dio, avendo aderito alla sua offerta d’amore ed essendo dunque stato salvato dalla sua stessa fede!

Il brano appena letto approfondisce il discorso sulla fede concentrandosi sul significato della preghiera, strumento privilegiato di interazione con Dio, che però ci è presentata da Luca unicamente come mezzo di realizzazione della “giustizia”, termine che ricorre nel testo per ben quattro volte e che rappresenta l’unico vero obiettivo indicato da Gesù ai suoi discepoli… La preghiera non può e non deve tramutarsi in anestetico collettivo, non può e non deve condurre i fedeli alla catalessi, non può e non deve estraniarci dal mondo, non può e non deve risolversi in fiumi di vuote parole com’è tipico dei pagani, quasi si fosse ascoltati a forza d’insistenze (Mt. VI, 7)! Grazie al Cielo, non dobbiamo vedercela col giudice disonesto cui si rivolge la vedova della parabola, il quale – prototipo di tutti gli uomini schiavi del proprio potere – si auto-descrive come uno che “non teme Dio e non ha riguardo per alcuno”, tanto da fare giustizia solo per togliersi il fastidio dei piagnistei degli oppressi…il Padre, che sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo (Mt. VI, 8), non ci farà forse giustizia a maggior ragione del giudice iniquo?

La preghiera, pertanto, è il mezzo per realizzare la giustizia nella società, collaborando alla costruzione del Regno… Se la preghiera è dialogo franco e liberante, se l’ascolto del silenzio (e sa bene a cos’alludo chi vive la montagna...) si trasforma in nutrimento dell’anima, se la frequentazione delle Scritture – che ci istruiscono per la salvezza, come ci ricorda San Paolo nella seconda lettura – diventa quotidiana ed il più possibile condivisa, allora ne trarremo le ragioni della speranza, quelle motivazioni profonde che ci spingono ad affermare la giustizia amorevole di Dio già in questo mondo, anche rimettendoci in proprio! Contrariamente a chi non teme il Signore e non ha riguardo per alcuno, siamo invitati a considerare Dio per quello che è, ovvero un distributore di Spirito d’amore (avete presente le pompe di benzina?) che ci ricarica per poi poterlo riversare sugli altri, avendo dunque riguardo per tutti e per ciascuno… noi fragili tralci possiamo portare frutto, e molto, solo se restiamo attaccati alla vite/Gesù e il Suo Spirito d’amore ci abita nell’intimo (Gv. XV, 5)!

Per realizzare il progetto, insomma, dobbiamo affrancarci dai falsi valori della società, dall’idolatria dei quattrini, dal culto dell’autoaffermazione, dalla tendenza ad arroccarci in difesa dei nostri interessi, per aderire agli autentici valori di giustizia sostanziale del Regno di Dio… Riusciranno i discepoli a spogliarsi delle proprie schiavitù tutte terrene per promuovere sul serio la giustizia sognata dal Padre? Capiranno che la religione non è oppio dei popoli per non pensare, ma – come fanno Aronne e Cur in aiuto di Mosè nella prima lettura – è necessario rimboccarsi le maniche e sostenere il fratello affaticato da pesi di ogni genere? Supereranno l’idea, che ci è connaturale, di un Dio demoniaco da blandire con riti e devozioni a scanso di guai, per convertirsi finalmente al volto d’amore (anche per chi non se lo merita!) incarnatosi nel Figlio? Su questo fronte Gesù è tutt’altro che tranquillo, ed arriva drammaticamente a chiedersi se, tornando nella pienezza dei tempi, troverà la fede sulla terra… A chi si preoccupava solo delle quantità (“Accresci in noi la nostra fede!”), ed era invece stata raccomandata la qualità (“Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: « Sràdicati e vai a piantarti nel mare », ed esso vi obbedirebbe”), il Signore rivolge ora un ulteriore, accorato appello: la fede non è la tana dei perbenisti, non ammette compromessi con nessuna istituzione terrena, non consente di disimpegnarsi pregando il Cielo che “ci pensi lui”…ma, come ribadisce a Timoteo l’apostolo di Tarso nella seconda lettura, fa sì che “l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”.

Chiediamo al Signore che la Sua idea di giustizia possa abitarci davvero nel profondo, consentendoci di operare di conseguenza attraverso il Suo Spirito… Perché nessuno ritenga di essersi messo la coscienza a posto dando corso a qualche rito o devozione, ma affinché l’animo di noi aspiranti discepoli non abbia dove posare il capo finché non si sia realizzata – a cominciare dal ns. piccolo, ed accollandocene i costi – quell’equità sociale che può anticipare già in terra le logiche del Regno!

Buona settimana a tutti!

Matteo


Amo la preghiera, ne ho bisogno.
Sento una forza straordinaria che mi proviene dalla meditazione orante della Parola.
Ma prego male e distratto, come tutti. Non sempre la mattino, prima dell’alba, riesco ad alzarmi per ritagliarmi dieci minuti e alla sera, spesso, è la stanchezza a prevalere sul desiderio.
Ho la fortuna immensa di fare della Parola il mio “lavoro” e, questo sì, la frequentazione della Parola mi allarga il cuore.
È faticoso pregare, per tutti: amici monaci, loro che pregano sei, otto ore ogni giorno, mi raccontano – sorridendo – della loro fatica a pregare.
Che buffo. Convincere alla preghiera è impossibile. Far smettere chi, pregando, ha scoperto il volto di Dio è altrettanto difficile.
Dovrei parlarvi della preghiera ma so che è un’esperienza unica e personale, che i libri per insegnare a pregare servono solo a chi li ha scritti.
Confidenze
La preghiera è il santuario in cui scopriamo il vero volto di Dio, il luogo dove l’anima incontra la nostra vita frammentata e sconclusionata. Conservare e coltivare una vita interiore in questo tempo feroce, in un occidente che ha smarrito l’anima, ha un che di eroico,
Come ho già avuto modo di scrivere, ho pregato tanto ma Dio non mi ha mai dato ciò che ho chiesto. Ma tutto ciò che desideravo, senza saperlo.
Ora, superata la metà della mia vita, ho scoperto il senso profondo di quel “bussate e vi sarà aperto”.
Solo che la porta che si è aperta non è quella a cui avevo bussato.
La porta dell’interiorità, del vero volto di Dio, della scoperta del sé, riusciamo ad aprirla solo se insistiamo, se non ci scoraggiamo, se accettiamo a volte di dirci stanchi, sfiduciati e ci sediamo sconfortati, lasciando che qualcun altro ci sorregga le braccia tese verso l’alto, come Mosè nella prima lettura. (Splendida immagine di Chiesa)
Giudice ingiusto
Quand’anche percepissimo Dio come un giudice incomprensibile – dice Gesù – che non interviene nella vita dei deboli, che ci assilla con incomprensibili regole, che immaginiamo alieno alle nostre scelte e alle nostre tragedie, quand’anche Dio fosse quel mostro che il nostro inconscio dipinge e che certi cristiani (ma ce l’hanno come missione?) insistono a professare, siamo chiamati a insistere.
Insistere non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore.
Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre tenerissimo.
Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa.
Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che prega per vincere.
Insistere.
Ma non è della preghiera che vi voglio parlare.
Ma di quell’ultima, indigesta, bastarda domanda di Gesù che mi martella nelle tempie: “Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?”
Fede?
Gesù è venuto, splendore del Padre, ci ha detto e dato Dio perché egli stesso è Dio. Ha convinto il mondo, riempiendolo di Spirito, riguardo a Dio anche se il mondo, e la Chiesa e noi, continuamente rischiamo di scordarci il volto del Padre per sostituirlo a quello approssimativo delle nostre abitudini.
In uno slancio di follia Gesù ha affidato il Regno alla Chiesa, a questa Chiesa, alla mia Chiesa, perché diventasse testimone del Padre. Alla Chiesa debole fatta di uomini deboli, seppure trasfigurati dallo Spirito.
Ma una cosa siamo chiamati a fare: avere fede.
Gesù tornerà, lo sappiamo, nella pienezza dei tempi, quando ogni uomo avrà sentito annunciare il Vangelo di Cristo. Verrà per completare il lavoro. A meno che il lavoro non sia fermo, paralizzato dall’incompetenza delle maestranze, dalla polemica dei ricorsi, dall’egoismo del particolarismo, dal litigio degli operai.
Ci sarà ancora fede?
Non dice: “Ci sarà ancora un’organizzazione ecclesiale? Una vita etica derivante dal cristianesimo? Delle belle e buone opere sociali?” Non chiede: “La gente andrà a Messa, i cristiani saranno ancora visibili, professeranno ancora i valori del vangelo?”.
La fede chiede il Signore. Non l’efficacia, non l’organizzazione, non la coerenza, non la struttura.
Tutte cose essenziali. Se portano e coltivano la fede.
Ma inutili e pericolose, se autoreferenziali, se auto-celebrative.
Altrimenti rischiamo di confondere i piani, di lasciare che le cose penultime e terzultime prendano il posto delle cose ultime.
Scuotimenti
Sano rimprovero, quello di Gesù oggi, sano realismo, sconcertante provocazione.
Gesù chiede ai suoi discepoli di conservare fede nella avversità, di non demordere, di non mollare, di continuare la disarmata e disarmante battaglia del Regno.
È tempo di fedeltà, di non mollare, di non demordere.
Proprio perché i tempi sono caliginosi.
Oggi, durante le nostre assemblee, con la nostra presenza, la nostra vita, il nostro desiderio, potremo dire: sì, Signore, Maestro, se oggi verrai, se ora è la pienezza, troverai ancora la fede bruciare.
La mia.
(Don Paolo CURTAZ) 

sabato 23 ottobre 2010

Preghiamo con Alice

Sto andando a nanna solo ora, sono stravolta dalla stanchezza, ma avevo piacere di ricopiarvi questa lunga e toccante preghiera di mia sorella.
Anche se lei diceva sempre che pregare significa "stare con Dio", parlare con Lui, non solo recitare le preghiere scritte da altri e magari a volte recitarle con noia, senza capire ciò che diciamo, ecco secondo me queste sono vere e proprie preghiere.

Sulla mia testa non ho un cappellino ma ho la Tua mano, o Signore. Non mi pesa la Tua mano.
 Per i militari annoiati a morte e imbottiti di nostalgia, che vagano per le strade in cerca di avventure Ti prego, o Signore, non lasciarli soli.

Per il cono di cioccolato con panna che lecca, con grande attenzione, la bimba seduta di fronte a me Ti prego, o Signore, non lasciarlo sciogliere troppo in fretta.

Per i fantasmi, cioè per chi, pur vivendo, sono morti Ti prego, o Signore, non lasciarli svanire del tutto.

Per i miei amici che si stanno uccidendo con ogni tipo di droga e stanno per passare da Te, Ti prego o Signore compi quel passo insieme a loro.

Per i ragazzi in carcere che hanno rincorso sogni troppo grandi Ti prego, o Signore, fa' che non smettano di sperare.

Per il sacerdote che era inginocchaito in chiesa, così fredda e tristemente deserta, e che leggeva il breviario Ti prego, Signore, accendi per lui un bel fuoco e fa' che la gente allegra gli sieda intorno.

Per me che sono sospesa sull'orlo dell'abisso ed ho tanta paura Ti prego, o Signore, dammi la mano e restami accanto, fino all'incontro con Te.

Per la pace, la fame, la libertà, il dolore Ti prego, o Signore.
E ti prego per l'angoscia che ci divora.
Non togliere la mano dalla mia testa perché mi ripara più del mio cappellino.







 

venerdì 22 ottobre 2010

Islam, vescovo libanese: "Il Corano dice di uccidere fede imposta con la spada"



articolo di venerdì 22 ottobre 2010 (di Redazione)
 
L'arcivescovo di Mardin dei Siri al Sinodo per il Medio Oriente: "Il Corano ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, nè per loro nè per gli altri"
 
Città del Vaticano - "Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la Jihad": lo ha detto l’arcivescovo di Mardin dei Siri, mons. Raboula Antoine Beyluni, al Sinodo speciale per il Medio Oriente in corso in Vaticano. Elencando una serie di motivi che ostacolano, a suo giudizio, il dialogo islamo-cristiano, Beyluni ha affermato che il Corano "ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. La storia delle invasioni lo testimonia. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, nè per loro nè per gli altri. Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i ’diritti umanì sanciti dalle Nazioni Unite". "Di fronte a tutti questi divieti e argomenti - si è chiesto infine Beyluni - dobbiamo eliminare il dialogo? No - afferma - sicuramente no. Ma occorre scegliere i temi da affrontare e gli interlocutori cristiani capaci e ben formati, coraggiosi e pii, saggi e prudenti che dicano la verità con chiarezza e convinzione".

Un nuovo "tag": preghiamo con Alice

Come ogni fine settimana sono con mio padre a Milano (transumando da "casa mia", cioè di mia madre, a Monza) e in questo grande appartamento (11 vani) c'è una camera con le "cose" di Alice.
Insomma lei vive in noi non solo nei nostri cuori ma anche dentro una dozzina di scatoloni.
In uno (credo di due) cartoni con su scritto "manufatti di Alice" ho prelevato un quadernone, a righe (lei "odiava" i quadretti, non per nulla aveva scelto di fare il Liceo classico) e sulla copertina riporta questo titolo:
"Il mio amico del cuore"

State tranquilli non aveva ragazzi o ragazzetti per la testa, anche se aveva molti "ammiratori" (a Roma li chiamano "mosconi") pronti a saltarle addosso, di tutte le età, i gusti e le razze.
L'unico "amico del cuore" era il "suo" Gesù e questo è il quaderno dove appuntava ricordi, emozioni, ringraziamenti ma anche arrabbiature ecc ecc... rivolte a Dio. Al suo Gesù.

Da oggi desideravo scrivervi qualcosa da questo quadernone.

Il nostro destino ce lo costruiamo da noi stessi, giorno per giorno, sulla base della nostra libertà. Ma la nostra libertà ci fa correre il rischio di giocarci tutta la nostra vita su un' "ombra". Se così non fosse sarebbe peggio: correremmo il rischio di non giocarcela su niente


Oppure questa bella preghiera:

Signore, Ti ho trovato nel mare tempestoso, nelle nevi e nei ghiacciai della mia vita; ma anche nella voce del vento, nelle notti di stelle, in ogni fiore ed in ogni filo d'erba. In tutta la bellezza della natura Ti ho trovato e Ti ritrovo ogni istante, o Signore. Ma devo imparare a cercarTi dove c'è il dolore, la miseria, la fame, dove gli uomini soffrono: là Ti posso trovare, perché Tu soffri con i sofferenti, muori con i moribondi. Perché ovunque noi scorgiamo l'impronta del dolore possiamo essere certi di ritrovarTi, o Signore. E finché due mani ferite e due braccia aperte ci aspetteranno dalla Croce noi saremo sicuri di raggiungerTi un giorno in Paradiso. Perché ogni qualvolta sulla Terra saremo andati in cerca del dolore per consolare uomini che soffrono, fisicamente o moralmente, noi non avremo aiutato il bambino affamato, l'uomo ferito, la donna disperata, ma il Creatore del Cielo e della Terra.

giovedì 21 ottobre 2010

"Vi dico come si picchiano le mogli" (di Gian Micalessin)

In tv il predicatore egiziano Saad Arafat spiega serafico che "Allah ha onorato le donne istituendo la punizione delle bastonate". Che però vanno date secondo regole precise: senza lasciar segni visibili e solo per una buona causa. Ad esempio se lei si nega
Saad Arafat
Pestatela, ma non sfiguratela. Bastonatela, ma non rompetele le ossa. Ficcatevi in testa queste due regolette e vivrete felici con la vostra signora ed in pace con il Signore. Lei, onorata di tante attenzioni, vi considererà un autentico maschio. Lui, soddisfatto per la vostra fede, vi aprirà la strada per il Paradiso dei sant’uomini. Uomini musulmani ovviamente. Uomini tutti d’un pezzo. Uomini ben diversi da quei rammolliti di cristiani sempre pronti a discutere con la moglie prima ancora di averla randellata a dovere.
Saad Arafat mentre spiega come picchiarci "santamente"
Non ci credete? Andate su You Tube, regalatevi i tre imperdibili minuti e mezzo d’intervista in cui il predicatore Saad Arafat, ospite della televisione egiziana Al Naas, chiarisce come suonarle alla gentile consorte, quando farlo e perché quello sfogo risulterà sacrosanto sia agli occhi di lei che a quelli di Allah. Incominciamo dalla premessa. Dalla statistica, spiattellata dal presentatore in studio, secondo cui il 90 per cento delle donne britanniche si lamenta per l’eterna indecisione di quelle mammolette dei loro mariti. E il giornalista si chiede perché il mondo continui a riversare «accuse a non finire sui musulmani», perché tutti mettano in croce la santa abitudine di «bastonare le consorti». Per il pio Saad Arafat è come andar a nozze. «Allah istituendo la punizione delle bastonate – spiega serafico - ha voluto rendere un onore e privilegio alle donne». Vi chiedete come le mazzate possano essere un onore? Non siete i soli. Persino quel buon musulmano d’un giornalista nello studio sembra esitare. Ma son tentennamenti degni d’un infedele. Saad Arafat ha già pronta la citazione, il verbo capace di rendere sacra e incontrovertibile ogni spiegazione.

«Il Profeta Maometto ha detto: “non colpitele in faccia e non sfiguratele”. Ecco il modo in cui vanno onorate». Per andar d’accordo con il Corano insomma basta far attenzione, colpire con metodo e precisione. Potete riempirla di calci nel sedere, scudisciarla sulla pancia o farle nera la schiena. L’importante è che non si veda. La poveretta il giorno dopo potrà anche camminar piegata in due, ma dovrà esibire una faccia bella e pulita. La regola numero due del pestaggio familiare è altrettanto fondamentale. «Anche quando la sta colpendo il marito non deve mai insultarla, mai maledirla perchè – illustra quel sant’uomo d’un Saad Arafat - non la batte per farle del male, ma per regalarle disciplina». Come con gli asini insomma. Ci discutereste mentre gli raddrizzate la schiena a forza di scudisciate? Certo che no. Con la mogliettina va allo stesso modo. Cambiano solo le precauzioni. Ad un asino potete dargliele dove volete e quante volete. Alla consorte è meglio di no. «Mi raccomando non potete mai andar oltre i dieci colpi e non potete nemmeno rompergli le ossa, spaccargli i denti, insultarla o ficcarle le dita negli occhi», chiarisce il premuroso Arafat. Anche perché «esiste un’etichetta persino per le percosse...Se il marito bastona la moglie per renderla più disciplinata dovrà sempre ricordarsi di non calcar troppo la mano e di colpirla dal petto in giù... queste son le uniche botte che onorano le donne».

Donna onorata mezza salvata verrebbe da pensare, ma il galateo delle busse benedette dal Profeta non finisce qui. Ci sono anche i ragguagli sugli strumenti da usare. Sarà meglio conciarla a pugni e schiaffi o sarà meglio usare un bel bastone nodoso? Davanti alla domanda dall’intervistatore il buon Arafat si dichiara fermo ed irremovibile. «Quando si colpisce non di deve mai colpire troppo duro e soprattutto non si devono lasciar segni». La cosa migliore, spiega, «è colpirla con un corto bastone... i colpi devono arrivare sul corpo e non devono mai arrivare uno di seguito all’altro». Per educare al meglio la mogliettina è meglio dunque picchiarla con metodo, lentamente, centellinando uno dopo l’altro i dieci colpi concessi. E ovviamente farlo per una santa ragione. Se non vi ha aperto il frigo per offrirvi qualcosa da bere, se non vi ha fatto trovare la cena in tavola le bastonate son eccessive. Se invece non vi vuole più, fa la neghittosa e si rifiuta di soddisfarvi a letto allora ecco la sacrosanta occasione per educarla e onorarla.
«In un caso come questo cosa - sostiene Arafat - un marito non ha scelta. Lui la vuole e lei si rifiuta... lui la chiama e lei si nega... potrebbe riprenderla e minacciarla, ma quei metodi van bene quando ci sono di mezzo il mangiare o il bere. Quando arriviamo a cose di cui il marito non può far a meno allora le botte sono concesse». Alla fine insomma la regola è semplice: la moglie onorata è quella prima bastonata e poi violentata.

martedì 19 ottobre 2010


Una ragazza stava aspettando il suo volo in una sala d'attesa di un grande aeroporto.
Siccome avrebbe dovuto aspettare per molto tempo,decise di comprare un libro per ammazzare il tempo.

Comprò anche un pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più tranquilla.
Accanto a lei c'era la sedia con i biscotti e dall'altro lato un signore che stava leggendo il giornale.
Quando lei cominciò a prendere il primo biscotto, anche l'uomo ne prese uno, lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a leggere il suo libro.

Tra se' pensò "ma tu guarda se solo avessi un po' più di coraggio gli avrei già dato un pugno..."
Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l'uomo accanto a lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva uno anche lui.
Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la donna pensò "ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice quando saranno finiti tutti!!"

L'uomo prese l'ultimo biscotto e lo divise a metà!
"Ah!, questo e' troppo" pensò e comincio a sbuffare indignata, si prese le sue cose, il libro, la sua borsa e si incamminò verso l'uscita della sala d'attesa.
Quando si sentì un po' meglio e la rabbia era passata, si sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo l'attenzione ed evitare altri dispiaceri.
Chiuse il libro e aprì la borsa per infilarlo dentro quando.................. nell'aprire la borsa vide che il pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.
Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di biscotti uguale al suo era di quell'uomo seduto accanto a lei che però aveva diviso i suoi biscotti con lei
senza sentirsi indignato, nervoso o superiore,al contrario di lei che aveva sbuffato e addirittura si sentiva ferita nell'orgoglio.

 
 
LA MORALE:

Quante volte nella nostra vita mangeremo o avremo mangiato i biscotti di un altro senza saperlo?
Prima di arrivare ad una conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone, GUARDA attentamente le cose, molto spesso non sono come sembrano!!!!


 
 
 
 
 
Esistono 5 cose nella vita che NON si recuperano:


Una pietra dopo averla lanciata


Una parola dopo averla detta


Un'opportunità dopo averla persa


Il tempo dopo esser passato


L'amore per chi non lotta






Qualcuno una volta ha detto:


"Lavora come se non avessi bisogno dei soldi.


Ama come se nessuno ti abbia mai fatto soffrire.


Balla come se nessuno ti stesse guardando.


Canta come se nessuno ti stesse sentendo.


Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra."
 
 
 

lunedì 18 ottobre 2010

Me le mandano così.... :D

 
 "presto avremo un bambino!"
"scherzi?"
"No, me lo ha detto il dottore.
Sarà il mio regalo di Natale!"
"Ma a me bastava una cravatta!"

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Il leone e il vitello giaceranno insieme,
ma il vitello dormirà ben poco.



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Lui dopo aver fatto l'amore: "Certo che se io avessi 2 cm in piu' sarei un re".
Lei: "E se tu ne avessi 2 in meno saresti una regina!"

domenica 17 ottobre 2010

Buona Domenica!


“Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro…ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”… Le parole rivolte da San Paolo a Timoteo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, costituiscono un vero e proprio vademecum per la cristianità, che parte dal rischio patologico sempre in agguato per indicare l’unico rimedio possibile.

È proprio vero che tendiamo, oggi come e forse più di allora, a privatizzare la fede, a ricondurla solo nell’ambito più strettamente personale, ad evitare ogni contaminazione religiosa del nostro agire quotidiano nel mondo…arrivando conseguentemente a credere “ciascuno a suo modo”, o peggio – nei casi più disperati – a divulgare messaggi che si sarebbero ricevuti direttamente dall’Alto, magari grazie a qualche provvidenziale apparizione che finalmente ci esoneri da una sincera e più impegnativa ricerca di Dio…

E così, guardando ciascuno al proprio orticello intriso più di abitudine che di convinzione, naturalmente santo…che più santo non si può, la cristianità pullula di maestri/censori col patentino in regola per giudicare il mondo, mentre di un po’ più credibili testimoni/discepoli del Signore Gesù si continua ad avvertire una gran penuria…

La soluzione, però, parrebbe a portata di mano! Vescovo, prete o laico che tu sia…spogliati una buona volta delle tue ambizioni, dei tuoi preconcetti, delle tue paure, delle tue codardie, dei tuoi opportunismi, e con la forza che puoi trarre soltanto da Dio…comincia un po’ a soffrire per questo Vangelo! Hai capito o no che questa buona notizia, se non la tradisci alla prima occasione per i tuoi beceri interessi, è scandalosa ed inaccettabile agli occhi del mondo, e ti può render la vita difficile? Ti rendi conto che non puoi evitare di testimoniarla coi fatti, a meno di non svendere te stesso e la tua presunta fede per biechi calcoli di potere che gridano vendetta al Cielo? Sei disposto a rimetterci in proprio, pur di salvare la libertà e la dignità di chiunque, oppure hai in mente il Dio ingiusto che traspare da alcune delle parole del profeta Abacuc nella prima lettura, il quale “resta spettatore dell’oppressione”, e dunque bene o male ti autorizza a barcamenarti alla meglio sulla pelle degli altri??

L’apostolo di Tarso ci ricorda anche che lo Spirito del credente autentico non è di timidezza e rassegnazione, ma deve essere di forza e carità nella prudenza…che non significa scendere a compromessi sul risultato, ma anzi adoperarsi nel modo più oculato per raggiungerlo in pienezza! Il dono di Dio che è in noi e va ravvivato, insomma, non è la fede, ma l’amore incondizionato di cui è stato capace Gesù… La fede non è un dono che qualcuno riceve ed altri no, il Signore non fa certo figli e figliastri…è semmai la consapevole accettazione, possibile per tutti, dell’amore del Padre, questo sì donato, all'intera umanità e per sempre! Il vero problema sta anzitutto nello scoprirlo, passaggio purtroppo non scontato, e poi nel saperlo accettare sul serio, comportandosi di conseguenza…

A differenza di alcuni dei loro successori, lo sanno bene i primi apostoli, che ritenendosi del tutto incapaci dei livelli d’amore indicati da Gesù, gli chiedono: “Accresci in noi la nostra fede!”… Il Signore non vuole forzare la loro libera accettazione dell’amore incondizionato di Dio, ma coglie l’occasione per avvertirli del rischio di autosufficienza ed autoaffermazione in cui ogni credente potrebbe incappare! “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”… Ecco il corretto atteggiamento mentale del discepolo, Vescovo, prete o laico che sia…conscio della proprie miserie, prima che di quelle degli altri, e con la rotta di vita orientata soltanto da Gesù, unica stella polare cui fare riferimento, e magari da incontrare almeno d’ogni tanto nel proprio cuore, come recita un intramontabile e bellissimo canto liturgico…

Chiediamo al Signore che il suo Spirito d’amore contagi il cuore indurito di chi, ad ogni livello, ed anche nel nostro ambito ecclesiale, ragiona più per opportunismo che secondo coscienza… Perché davvero nulla e nessuno ostacoli il renderti testimonianza, e perché la forza che sgorga da te solo sostenga chi intimamente soffre per il Vangelo, che alle volte rimane così meschinamente bistrattato, e che però, noi lo crediamo, è destinato a trionfare nella pienezza del Regno!

Buona settimana a tutti,
Matteo


Viviamo tempi difficili, lo vediamo tutti.
La crisi economica picchia duro e non si vedono prospettive.
Sono anch’io della generazione di quelli che non hanno certezze per il futuro, pur avendo voglia e qualità. Molti dei miei coetanei non sanno se avranno mai versato contributi a sufficienza per ricevere una pensione. Alcuni genitori mi raccontano, sconfortati, della rassegnazione dei loro figli neo-laureati presi per il naso da stages infiniti e contratti a termine.
Lo spettacolo sconcertante del mondo politico di questi ultimi mesi, poi, non giova. Al di là della vostra convinzione politica (io, dai confini dell’Impero, cerco di non schierarmi troppo), bisogna riconoscere con amarezza che si è raschiato il fondo del barile, in un vortice di “peggio” che ha scordato ogni valore etico, pure tanto decantato quando si tratta di raccogliere consensi elettorali.
Anche nella Chiesa, poi, non scherziamo: a volte i credenti hanno l’impressione di essere messi all’angolo, attaccati nell’essenza stessa della fede. Non ha aiutato certo l’11 settembre e chi ha identificato tout court la fede col fanatismo. Così, senza fare troppo clamore, si insinua l’idea che tutte le fedi diventino radicalismi, che ogni istituzione (Chiesa in primis) esistono affinché alcune persone conservino i propri privilegi. Non passa giorno che sui quotidiani finiscono vicende che vedono come protagonisti preti o vescovi, situazioni a volte drammatiche e da vagliare con serietà e serenità, certo, ma, molto più spesso, situazioni trattate con un delirante moralismo che ha sostituito la sobria morale derivante dal Vangelo.
Quando si toglie Dio non è vero che non si crede più in nulla: si finisce col credere a tutto.
Ma alle antipatie del mondo che in nome della tolleranza bolla la Chiesa come intollerante, è arrivato il drammatico scandalo della pedofilia che, come dice bene il Papa, è la più dura prova da affrontare dai tempi dei martiri dei primi secoli.
Così la Chiesa è chiamata ad affrontare questi tempi senza ergere steccati, senza parlare la stessa lingua o battere la stessa moneta del mondo imbarbarito.
Quando il mondo parla a sproposito della Chiesa, la Chiesa è chiamata a parlare di Cristo.
E a fidarsi del suo Maestro che non l’ha mai abbandonata anche quando i cristiani smontavano la credibilità della Chiesa pezzo per pezzo.
Davanti a tutto questo, la preghiera dei discepoli, oggi è la nostra.
Accresci in noi la fede, Signore.
Abacuc
Abacuc è sconfortato, come non capirlo? Il piccolo e ostinato popolo di Israele deve continuamente lottare per sopravvivere in mezzo ai giganti: gli egiziani e gli assiri prima, i babilonesi poi… tutta la storia è un susseguirsi di invasioni e colpi di stato, di tragedie e di ingiustizie.
Ora ai confini di Israele premono i Caldei.
Il profeta, esasperato, rivolge la propria preghiera a Dio: ha un bel difenderlo di fronte al popolo, ma come si fa a suscitare la fede in un popolo esasperato?
Dio risponde invitando Abacuc e Israele alla fede, a conservare la fede, la fiducia.
Come Eleazaro domenica scorsa, Dio promette di stringere tra le proprie braccia con immenso affetto il giusto che vive a causa della fede.
Profeti di ieri e di oggi si scontrano continuamente con la stessa disarmante obiezione: dov’è Dio quando l’uomo scatena la propria violenza? Quando prevale la tenebra? Quando il giusto è irriso e disprezzato?
E la Parola oggi risponde: solo con la fede possiamo osare.
Fidarsi
Abacuc è invitato a fidarsi, Timoteo riceve una commovente lettera da Paolo incarcerato ed è invitato a fare memoria della propria vocazione episcopale, gli apostoli, dopo un primo galvanizzante momento di euforia per i successi conseguiti dal Nazareno, cominciano a scontrarsi con il proprio limite e con l’ostilità di alcuni farisei e sentono la fiammella (timida) del credere lentamente vacillare.
Fidatevi, dice la Parola, fidati, affidati, diffida delle tue presunte certezze.
La fede è il ragionevole abbandonarsi nelle braccia dell’amato, nel gesto incosciente e ovvio del bambino che si getta fra le braccia del padre.
Non siamo chiamati a fidarci di un mistero imperscrutabile, a seguire ciecamente gli ordini della divinità, ad abbassare la testa alla volontà ostica e incomprensibile di una
moloch a cui dobbiamo credere.
Il Dio di Israele chiede fiducia, il Dio che ha camminato nel deserto e sofferto, il Dio che ha accompagnato e illuminato una tribù di beduini facendola divenire popolo della speranza, il Dio che ha illuminato i re di Israele, il Dio che ha strappato degli uomini dal pascolo e dalla terra consacrandoli profeti, il Dio che - esausto - è diventato uomo (fragilità, stanchezza, sudore, decisione, rischio) per raccontarsi chiede fiducia, non uno qualsiasi.
Il Dio che ha dimostrato milioni di volte quanto dolorosamente ama.
Fiducia in Lui
Fiducia nel Nazareno rivelatore del padre, figlio del Dio benedetto che ha sconvolto la vita dei suoi discepoli svelando il volto del Padre morendo sulla croce.
Fidatevi almeno quanto un granellino di senapa, dice il Maestro.
Abacuc non lo sa, ma l’ennesimo scontro con una cultura straniera obbligherà Israele a riscoprire le proprie radici e diventare (tornare ad essere?) segno nel mondo.
Paolo non lo sa, ma le sue parole doloranti e aspre saranno prese dallo Spirito Santo e riempite di Dio così che noi, oggi, leggiamo la Parola di Dio sulle labbra screpolate di Paolo lo scoraggiato e irrequieto apostolo.
Pietro e Giovanni e gli altri non lo sanno, ma la loro fede, più piccola di un granellino di senapa, crescerà e diventerà un immenso albero alla cui ombra ci riposiamo noi, pavidi discepoli del terzo millennio…
anche quando i cristiani smontavano la credibilità della Chiesa pezzo per pezzo…
Leggerezza
Amico: abbandonati nelle braccia di Dio; ma sul serio, non per finta.
Conosco persone che – con l’acqua alla gola – mettono alla prova Dio.
Si fidano a parole ma non si staccano dalla riva per prendere il largo.
A volte la nostra vita è irrequieta e piena di dubbi ma non ce ne stacchiamo, invochiamo Dio, senza poi lasciargli la possibilità di agire e di salvarci; invochiamo Dio, sì, spiegandogli, però, cosa deve fare.
Vuoi essere discepolo? Metti la tua vita e la tua volontà nelle mani del Maestro: davvero, sul serio. Occhio però: normalmente Dio ascolta, spesso in maniera così eclatante che ti viene da sorridere.
L’unico serio rischio della preghiera è che Dio ci ascolti, l’unica controindicazione dell’abbandonarsi in Dio è che poi rischi pericolosamente la santità.
Seconda provocazione: siamo servi inutili. Cioè il mondo è già salvo, non dobbiamo salvarlo noi.
A noi è chiesto di vivere da salvati, a guardare oltre, al di là e al di dentro.
A noi Gesù chiede di vivere come uomini di fede, a camminare nel nostro cammino con un cuore compassionevole e gravido di pace, fecondo e accogliente. Con leggerezza.
Per il resto lasciamo a Dio fare il suo mestiere.
(Don Paolo CURTAZ) 

sabato 16 ottobre 2010

Il Professore di Filosofia

Il professore di filosofia, in piedi davanti alla sua classe, prese un grosso vasetto di marmellata vuoto e cominciò a riempirlo con dei sassi, di circa 3 cm di diametro.

Una volta fatto chiese agli studenti se il contenitore fosse pieno ed essi risposero di sì.

Allora il professore tirò fuori una scatola piena di piselli… li versò dentro il vasetto e lo scosse delicatamente. Ovviamente i piselli si infilarono nei vuoti lasciati tra i vari sassi. Ancora una volta il professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno ed essi, ancora una volta, dissero di sì.

Allora il professore tirò fuori una scatola piena di sabbia e la versò dentro il vasetto. Ovviamente la sabbia riempì ogni altro spazio vuoto lasciato e coprì tutto. Ancora una volta il professore chiese agli studenti se il vasetto fosse pieno e questa volta essi risposero di sì, senza dubbio alcuno.

Allora il professore tirò fuori, da sotto la scrivania, 2 lattine di birra e le versò completamente dentro il vasetto, inzuppando la sabbia. Gli studenti risero...

"Ora" - disse il professore non appena svanirono le risate - "voglio che voi capiate che questo vasetto rappresenta la vostra vita. I sassi sono le cose importanti: la vostra famiglia, i vostri amici, la vostra salute, i vostri figli, le cose per le quali se tutto il resto fosse perso, la vostra vita sarebbe ancora piena. I piselli sono le altre cose per voi importanti: il vostro lavoro, la vostra casa, la vostra auto.

La sabbia è tutto il resto... le piccole cose".

"Se metteste dentro il vasetto per prima la sabbia” - continuò il professore - non ci sarebbe spazio per i piselli e per i sassi. Lo stesso vale per la vostra vita. Se dedicate tutto il vostro tempo e le vostre energie alle piccole cose, non avrete spazio per le cose che per voi sono importanti. Dedicatevi alle cose che vi rendono felici: giocate con i vostri figli, portate il vostro partner al cinema, uscite con gli amici. Ci sarà sempre tempo per lavorare, pulire la casa, lavare l'auto. Prendetevi cura dei sassi per prima, le cose che veramente contano. Fissate le vostre priorità... il resto è solo sabbia".

Una studentessa allora alzò la mano e chiese al professore cosa rappresentasse la birra.

Il professore sorrise:

"Sono contento che me l'abbia chiesto. Era giusto per dimostrare che non importa quanto piena possa essere la vostra vita, perchè... c'è sempre spazio per un paio di birre!!!"