domenica 24 ottobre 2010

Buona Domenica!


“Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”… Questo sincero e drammatico interrogativo di Gesù, che conclude bruscamente il Vangelo di oggi, chiude il cerchio del lungo insegnamento sulla fede che abbiamo ascoltato nelle ultime due domeniche. Alla richiesta degli apostoli di accrescer loro la fede, il Signore non aveva potuto far altro che ammonirli dal rischio di cadere nell’autosufficienza spirituale ricorrendo all’immagine dei “servi inutili”, visto che la fede non dipende da Dio, ma dall’uomo, ed altro non è che la sua libera accettazione dell’amore incondizionato del Padre…e la prova del nove si è avuta domenica scorsa, quando solo uno dei lebbrosi guariti, il più moralmente sospetto in quanto straniero e addirittura samaritano, torna a rendere gloria a Dio, avendo aderito alla sua offerta d’amore ed essendo dunque stato salvato dalla sua stessa fede!

Il brano appena letto approfondisce il discorso sulla fede concentrandosi sul significato della preghiera, strumento privilegiato di interazione con Dio, che però ci è presentata da Luca unicamente come mezzo di realizzazione della “giustizia”, termine che ricorre nel testo per ben quattro volte e che rappresenta l’unico vero obiettivo indicato da Gesù ai suoi discepoli… La preghiera non può e non deve tramutarsi in anestetico collettivo, non può e non deve condurre i fedeli alla catalessi, non può e non deve estraniarci dal mondo, non può e non deve risolversi in fiumi di vuote parole com’è tipico dei pagani, quasi si fosse ascoltati a forza d’insistenze (Mt. VI, 7)! Grazie al Cielo, non dobbiamo vedercela col giudice disonesto cui si rivolge la vedova della parabola, il quale – prototipo di tutti gli uomini schiavi del proprio potere – si auto-descrive come uno che “non teme Dio e non ha riguardo per alcuno”, tanto da fare giustizia solo per togliersi il fastidio dei piagnistei degli oppressi…il Padre, che sa di che cosa abbiamo bisogno prima ancora che glielo chiediamo (Mt. VI, 8), non ci farà forse giustizia a maggior ragione del giudice iniquo?

La preghiera, pertanto, è il mezzo per realizzare la giustizia nella società, collaborando alla costruzione del Regno… Se la preghiera è dialogo franco e liberante, se l’ascolto del silenzio (e sa bene a cos’alludo chi vive la montagna...) si trasforma in nutrimento dell’anima, se la frequentazione delle Scritture – che ci istruiscono per la salvezza, come ci ricorda San Paolo nella seconda lettura – diventa quotidiana ed il più possibile condivisa, allora ne trarremo le ragioni della speranza, quelle motivazioni profonde che ci spingono ad affermare la giustizia amorevole di Dio già in questo mondo, anche rimettendoci in proprio! Contrariamente a chi non teme il Signore e non ha riguardo per alcuno, siamo invitati a considerare Dio per quello che è, ovvero un distributore di Spirito d’amore (avete presente le pompe di benzina?) che ci ricarica per poi poterlo riversare sugli altri, avendo dunque riguardo per tutti e per ciascuno… noi fragili tralci possiamo portare frutto, e molto, solo se restiamo attaccati alla vite/Gesù e il Suo Spirito d’amore ci abita nell’intimo (Gv. XV, 5)!

Per realizzare il progetto, insomma, dobbiamo affrancarci dai falsi valori della società, dall’idolatria dei quattrini, dal culto dell’autoaffermazione, dalla tendenza ad arroccarci in difesa dei nostri interessi, per aderire agli autentici valori di giustizia sostanziale del Regno di Dio… Riusciranno i discepoli a spogliarsi delle proprie schiavitù tutte terrene per promuovere sul serio la giustizia sognata dal Padre? Capiranno che la religione non è oppio dei popoli per non pensare, ma – come fanno Aronne e Cur in aiuto di Mosè nella prima lettura – è necessario rimboccarsi le maniche e sostenere il fratello affaticato da pesi di ogni genere? Supereranno l’idea, che ci è connaturale, di un Dio demoniaco da blandire con riti e devozioni a scanso di guai, per convertirsi finalmente al volto d’amore (anche per chi non se lo merita!) incarnatosi nel Figlio? Su questo fronte Gesù è tutt’altro che tranquillo, ed arriva drammaticamente a chiedersi se, tornando nella pienezza dei tempi, troverà la fede sulla terra… A chi si preoccupava solo delle quantità (“Accresci in noi la nostra fede!”), ed era invece stata raccomandata la qualità (“Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: « Sràdicati e vai a piantarti nel mare », ed esso vi obbedirebbe”), il Signore rivolge ora un ulteriore, accorato appello: la fede non è la tana dei perbenisti, non ammette compromessi con nessuna istituzione terrena, non consente di disimpegnarsi pregando il Cielo che “ci pensi lui”…ma, come ribadisce a Timoteo l’apostolo di Tarso nella seconda lettura, fa sì che “l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona”.

Chiediamo al Signore che la Sua idea di giustizia possa abitarci davvero nel profondo, consentendoci di operare di conseguenza attraverso il Suo Spirito… Perché nessuno ritenga di essersi messo la coscienza a posto dando corso a qualche rito o devozione, ma affinché l’animo di noi aspiranti discepoli non abbia dove posare il capo finché non si sia realizzata – a cominciare dal ns. piccolo, ed accollandocene i costi – quell’equità sociale che può anticipare già in terra le logiche del Regno!

Buona settimana a tutti!

Matteo


Amo la preghiera, ne ho bisogno.
Sento una forza straordinaria che mi proviene dalla meditazione orante della Parola.
Ma prego male e distratto, come tutti. Non sempre la mattino, prima dell’alba, riesco ad alzarmi per ritagliarmi dieci minuti e alla sera, spesso, è la stanchezza a prevalere sul desiderio.
Ho la fortuna immensa di fare della Parola il mio “lavoro” e, questo sì, la frequentazione della Parola mi allarga il cuore.
È faticoso pregare, per tutti: amici monaci, loro che pregano sei, otto ore ogni giorno, mi raccontano – sorridendo – della loro fatica a pregare.
Che buffo. Convincere alla preghiera è impossibile. Far smettere chi, pregando, ha scoperto il volto di Dio è altrettanto difficile.
Dovrei parlarvi della preghiera ma so che è un’esperienza unica e personale, che i libri per insegnare a pregare servono solo a chi li ha scritti.
Confidenze
La preghiera è il santuario in cui scopriamo il vero volto di Dio, il luogo dove l’anima incontra la nostra vita frammentata e sconclusionata. Conservare e coltivare una vita interiore in questo tempo feroce, in un occidente che ha smarrito l’anima, ha un che di eroico,
Come ho già avuto modo di scrivere, ho pregato tanto ma Dio non mi ha mai dato ciò che ho chiesto. Ma tutto ciò che desideravo, senza saperlo.
Ora, superata la metà della mia vita, ho scoperto il senso profondo di quel “bussate e vi sarà aperto”.
Solo che la porta che si è aperta non è quella a cui avevo bussato.
La porta dell’interiorità, del vero volto di Dio, della scoperta del sé, riusciamo ad aprirla solo se insistiamo, se non ci scoraggiamo, se accettiamo a volte di dirci stanchi, sfiduciati e ci sediamo sconfortati, lasciando che qualcun altro ci sorregga le braccia tese verso l’alto, come Mosè nella prima lettura. (Splendida immagine di Chiesa)
Giudice ingiusto
Quand’anche percepissimo Dio come un giudice incomprensibile – dice Gesù – che non interviene nella vita dei deboli, che ci assilla con incomprensibili regole, che immaginiamo alieno alle nostre scelte e alle nostre tragedie, quand’anche Dio fosse quel mostro che il nostro inconscio dipinge e che certi cristiani (ma ce l’hanno come missione?) insistono a professare, siamo chiamati a insistere.
Insistere non per convincere Dio, ma per convertire il nostro cuore.
Insistere per purificare il nostro cuore e scoprire che Dio non è un giudice, né giusto né ingiusto, ma un padre tenerissimo.
Insistere non per cambiare radicalmente le cose, neppure per cambiare noi stessi, ma per vedere nel mondo il cuore di Dio che pulsa.
Insistere nella battaglia che, quotidianamente, dobbiamo affrontare, come Mosè che prega per vincere.
Insistere.
Ma non è della preghiera che vi voglio parlare.
Ma di quell’ultima, indigesta, bastarda domanda di Gesù che mi martella nelle tempie: “Quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?”
Fede?
Gesù è venuto, splendore del Padre, ci ha detto e dato Dio perché egli stesso è Dio. Ha convinto il mondo, riempiendolo di Spirito, riguardo a Dio anche se il mondo, e la Chiesa e noi, continuamente rischiamo di scordarci il volto del Padre per sostituirlo a quello approssimativo delle nostre abitudini.
In uno slancio di follia Gesù ha affidato il Regno alla Chiesa, a questa Chiesa, alla mia Chiesa, perché diventasse testimone del Padre. Alla Chiesa debole fatta di uomini deboli, seppure trasfigurati dallo Spirito.
Ma una cosa siamo chiamati a fare: avere fede.
Gesù tornerà, lo sappiamo, nella pienezza dei tempi, quando ogni uomo avrà sentito annunciare il Vangelo di Cristo. Verrà per completare il lavoro. A meno che il lavoro non sia fermo, paralizzato dall’incompetenza delle maestranze, dalla polemica dei ricorsi, dall’egoismo del particolarismo, dal litigio degli operai.
Ci sarà ancora fede?
Non dice: “Ci sarà ancora un’organizzazione ecclesiale? Una vita etica derivante dal cristianesimo? Delle belle e buone opere sociali?” Non chiede: “La gente andrà a Messa, i cristiani saranno ancora visibili, professeranno ancora i valori del vangelo?”.
La fede chiede il Signore. Non l’efficacia, non l’organizzazione, non la coerenza, non la struttura.
Tutte cose essenziali. Se portano e coltivano la fede.
Ma inutili e pericolose, se autoreferenziali, se auto-celebrative.
Altrimenti rischiamo di confondere i piani, di lasciare che le cose penultime e terzultime prendano il posto delle cose ultime.
Scuotimenti
Sano rimprovero, quello di Gesù oggi, sano realismo, sconcertante provocazione.
Gesù chiede ai suoi discepoli di conservare fede nella avversità, di non demordere, di non mollare, di continuare la disarmata e disarmante battaglia del Regno.
È tempo di fedeltà, di non mollare, di non demordere.
Proprio perché i tempi sono caliginosi.
Oggi, durante le nostre assemblee, con la nostra presenza, la nostra vita, il nostro desiderio, potremo dire: sì, Signore, Maestro, se oggi verrai, se ora è la pienezza, troverai ancora la fede bruciare.
La mia.
(Don Paolo CURTAZ) 

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