domenica 31 ottobre 2010

Buona Domenica!

Nelle ultime tre domeniche abbiamo seguito un vero e proprio “master breve” sulla fede… Per cominciare abbiamo detto che essa non dipende da Dio, che non sta a Lui accrescerla, ma che è la ns. libera risposta al suo amore incondizionato, offerto a tutti gli uomini indipendentemente dai loro meriti; abbiamo poi imparato che solo uscendo dai ns. convincimenti, dai ns. pregiudizi e addirittura dal sistema di valori istituzionalizzato possiamo incontrare il Signore che ci libera, e ciò malgrado rischiamo – nove su dieci – di arroccarci nell’ingratitudine anziché tornare a rendere gloria a Dio; domenica scorsa infine abbiamo scoperto che il Padre, a differenza del giudice iniquo, non ha certo bisogno di continue insistenze per render giustizia all’oppresso, ma anzi, sempre a differenza del giudice iniquo, ci chiama a prenderci cura degli altri uomini per costruire già qui in terra la giustizia propria del Regno, attingendo alla preghiera come fonte d’ispirazione nel contatto con lo Spirito e non come disimpegnante anestetico che ci estranei dal mondo.

Al termine dell’ultimo tratto di Vangelo, Gesù si poneva – ma soprattutto ci poneva… – una domanda inquietante: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”… Ebbene, col brano di oggi siamo posti di fronte al pericolo da cui scaturiva quell’interrogativo, il rischio peggiore per l’aspirante discepolo, quello cioè di pensare di avere fede ed invece essere completamente fuori strada, tanto da mancare il bersaglio del tornare in pace con Dio! La parabola è raccontata solo “per alcuni”, nel senso che – grazie al Cielo! – non tutti i credenti percorrono il sentiero sbagliato, ma soltanto quelli che sono “persuasi di essere giusti e disprezzano gli altri”… Ambo i protagonisti, fra l’altro, salgono al tempio “per pregare”, e dunque sono intimamente animati dalla volontà di rapportarsi con Dio, ma in realtà uno solo riuscirà nell’intento!

Fariseo significa letteralmente “separato”, è colui che, a differenza degli altri uomini, riesce ad adempiere scrupolosamente alle ben 613 prescrizioni moltiplicate dai rabbini a partire dalle originarie 10 “parole” consegnate sul Sinai… L’osservanza della Legge è per lui la ragione di vita, l’unica via di salvezza da percorrersi ad ogni costo, ed è perfettamente consapevole della propria inattaccabilità formale. Il fariseo sta dritto “in piedi”, non avverte alcun debito verso Dio (anzi…), e prega “tra sé”, in un atteggiamento tanto autoreferenziale ed autocelebrativo che non lascia spazio alcuno per il Signore… I contenuti della sua (presunta) preghiera, poi, sono ancora più significativi: il fariseo ringrazia per essere diverso dal resto degli uomini, che sono “rapaci, ingiusti e adulteri”, cioè ringrazia per essere migliore, soprattutto di quel pubblicano che lo affianca nel tempio (ma si pone ai piedi di Dio anziché “in piedi”…)! Il fariseo giudica il fratello nella fede, è impietoso come e più del pagano, e lo fa dall’alto di chi “digiuna due volte alla settimana e offre la decima parte su tutto ciò che possiede”, dunque fa sacrifici anche oltre il necessario… Non aveva voluto ascoltare il profeta che ammoniva “misericordia voglio e non sacrificio”, come toccherà ricordare anche a Gesù (Mt. XII, 7)!

Ben diverso è il comportamento del pubblicano (da “publicus”), professionalmente avvezzo a disinteressarsi totalmente della Legge pur di spremere le maggiori tasse possibili dalla gente più indigente per foraggiare al meglio l’apparato pubblico, imperiale e locale, e (perché no?) garantirsi la propria posizione di privilegio in barba alle miserie degli altri… Questo pubblicano, però, avverte finalmente la sete di Dio, si mette in ricerca di qualcosa di altro (e di “Alto”), ha voglia di pregare, e rimane consapevole delle proprie responsabilità, si mantiene a distanza, non osa rivolgere direttamente al Cielo nemmeno lo sguardo, eppure in cuor suo sa che l'amore del Padre non gli sarà mai negato, ed infatti le sue parole non restano dette "tra sé", ma si crea il desiderato contatto..."a passo d'uomo, si è messo in cammino verso il divino", per dirlo con le parole del compianto vescovo Ablondi! "O Dio, sii benigno con me, peccatore"... Lungi da lui ogni vanto di credito, ma soprattutto - e sebbene ne avesse a sua volta motivo - lungi da lui ogni giudizio sul fratello fariseo che lo affianca nel tempio, perché solo chi è capace di Dio è capace anche di benevolenza e perdono senza confini (e ce lo dimostra ulteriormente San Paolo, che nella seconda lettura ci dice "tutti mi hanno abbandonato"...ma "non se ne tenga conto contro di loro"!)...

Due atteggiamenti radicalmente diversi, dunque, che prefigurano un finale davvero sconcertante: soltanto il pubblicano torna a casa rappacificato con Dio, e dunque anche con se stesso, mentre al "perfettissimo" fariseo è negata la giustificazione, perché di fatto non l'ha nemmeno chiesta, pensando di non averne bisogno! "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato"... Non è la Legge che ci salva, né la coerenza (aspetti da coltivare, senza sopravvalutarli), ma soltanto la misericordia, del Padre verso di noi e ns. nei confronti di chiunque incontriamo! Ecco la Buona Notizia, l'essenziale della fede che - confidiamo - il Figlio dell'uomo possa trovare sulla terra quando verrà... A noi il delicato compito di diffonderla e viverla, in un mondo ormai patologicamente pettegolo e sempre più voracemente affamato di quanto di più pruriginoso e scandalistico possiamo immaginare (o, drammaticamente, estrapolare dalle cronache reali).

Chiediamo al Signore di accompagnarci, passo passo, verso questa sua idea di giustizia che abbiamo il mandato di tradurre in concreto nella vita quotidiana: perché, lungi dal sentirci migliori degli altri, impariamo che l'unico modo per onorare seriamente Dio passa dall'amore incondizionato per qualsiasi fratello, e perché nessun sedicente credente, assuefatto dall'idolatria della Legge e della sua osservanza, si trasformi in giudice implacabile, mancando così il bersaglio della piena pacificazione col Signore (è questo il peccato contro il suo Spirito d'amore, che non ammette giustificazione)!

A presto e buona settimana!
Matteo

Sopravvivere nella fede, in questi fragili tempi, richiede una costanza e una determinazione degna di un martire. I ritmi della vita, le continue spinte che ci allontanano dalla visione evangelica, un certo sottile scoraggiamento, ci impediscono, realisticamente, di vivere con serenità il nostro discepolato.
Un cristiano adulto con moglie e figli, se riesce a sfangarsi dall’organizzazione della vita quotidiana (lavoro, scuola, spesa…) difficilmente riesce ad organizzarsi una vita interiore che vada al di là della Messa domenicale (quando va bene!).
Ma se non riusciamo, quotidianamente, a trovare uno spazio, seppur piccolo, di preghiera ed interiorità, non riusciremo a conservare la fede.



La preghiera cristiana
La preghiera è una questione di fede: credere che il Dio che invochiamo non è una specie di sommo organizzatore dell’universo che, se corrotto, potrebbe anche concederci ciò che chiediamo. Dio non è un potente da blandire, un giudice corrotto da convincere, non è un sottosegretario da cui farsi raccomandare, ma un padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Se la nostra preghiera fa cilecca, sembra suggerirci Gesù, è perché manca l’insistenza.
O manca la fede.
Oggi, con l’acida parabola del pubblicano e del fariseo, ci viene suggerita un’altra pista di riflessione.





Il fariseo e l’ingombro del cuore
I farisei erano devoti alla legge, cercavano di contrastare il generale rilassamento del popolo di Israele, osservando con scrupolo ogni piccolissima direttiva della legge di Dio. L’elenco che il fariseo fa, di fronte a Dio, è corretto: per zelo il fariseo paga la decima parte dei suoi introiti, non soltanto, come tutti, dello stipendio, ma finanche delle erbe da tisana e delle spezie da cucina!
Ogni buon parroco vorrebbe avere, tra i suoi parrocchiani, almeno un fariseo: il decimo dello stipendio riempirebbe in fretta le casse della Parrocchia!
Qual è, allora il problema del fariseo?
Semplice, dice Gesù, è talmente pieno della sua nuova e scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo
ego (quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi.
Peggio: invece di confrontarsi con il progetto (splendido) che Dio ha su ciascuno di noi (e su di lui), si confronta con chi fa peggio, con quel pubblicano, lì in fondo, che non dovrebbe neanche permettersi di entrare in chiesa!
Questo è il nocciolo della questione: avviene che ci mettiamo – sul serio! – alla ricerca di Dio. Desideriamo profondamente conoscerlo, diventare discepoli, ma non riusciamo a creare uno spazio interiore sufficiente perché egli possa manifestarsi. Con la testa e il cuore ingombri di preoccupazioni, di desideri, di pensieri, concretamente non riusciamo a fargli spazio.
Oppure accade che, dopo un’esperienza fulminante, che so, un ritiro, un pellegrinaggio, sentiamo forte la sua presenza, ma, una volta tornati a casa, la nostra testa viene riempita dalle preoccupazioni di questo mondo.
Non è solo il problema dell’orgoglio. È proprio una complicazione dell’esistere, una vita che non riesce ad uscir fuori dal buco nero in cui si è infilata.



Suggerimenti da pubblicano
Diventerò (ancora più) antipatico a qualcuno, pazienza.
Ma devo necessariamente darvi, per deontologia professionale, alcuni suggerimenti da pubblicano.
Se non riesco a ritagliare nella mia giornata un quarto d’ora di assoluto relax, di vuoto mentale, magari dopo una bella corsetta, o una passeggiata nel parco, se non faccio silenzio intorno (spengo la tivù, stacco il cellulare), se non prevedo, almeno d’ogni tanto, una pausa di una giornata non passata, al solito, in coda in autostrada per andare a riposare (sic!), farò fatica a trovare un luogo in cui Dio sta.
Lo so, coppie che leggete, oggi resistere costa fatica: la giornata è stracolma di impegni indispensabili per sopravvivere e i figli piccoli complicano ulteriormente le cose.
Ma credo sia possibile creare una
desert zone nella nostra vita, ogni giorno. Se siete delle coppie, magari, datevi i turni, dei micro-spazi di relax.
Non abbiamo spazio per l’interiorità, questo è il problema.




Vuoto
Il pubblicano, invece, di spazio ne ha tanto.
Il denaro che ha guadagnato con disonestà, l’odio dei suoi concittadini (è un collaborazionista!), l’impressione di avere fallito le sue scelte, creano un vuoto dentro di lui, un vuoto che Dio saprà riempire. Consapevole dei suoi limiti, li affida al Signore, chiede con verità e dolore, che Dio lo perdoni. E così accade.
Esiste un modo di vivere e di essere discepoli pieno di arroganza e di ego smisurato, pieno di certezze da sbattere in faccia agli altri (basta vedere il livello dello scontro politico ed ideologico che viviamo!)
Esiste un modo di vivere e di essere discepoli colmo di ricerca e di umiltà, di voglia di ascoltare e di capire, di continuare a cercare, pur avendo già trovato il Signore.
Il Vangelo di oggi ci ammonisce a lasciare un po’ di spazio al Signore, a non presumere, a non pretendere, a non passare il tempo a elencare le nostre virtù.
Siamo tutti nudi di fronte a Dio, tutti mendicanti, tutti peccatori.
Ci è impossibile giudicare, se non a partire dal limite, se non dall’ultimo posto che il Figlio di Dio ha voluto abitare.
Ancora una volta, il Signore chiede a ciascuno di noi l’autenticità, la capacità di presentarci di fronte a lui senza ruoli, senza maschere, senza paranoie.
Dio non ha bisogno di bravi ragazzi che si presentano da lui per avere una pacca consolatoria sulle spalle, ma di figli che amano stare col padre, nell’assoluta e (a volte) drammatica autenticità.
Questa è la condizione per ottenere, come il pubblicano, la conversione del cuore.

(Don Paolo CURTAZ)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

It's always very interesting. Very good Matteo and don Paolo

Anonimo ha detto...

hi, new to the site, thanks.