Venerdì 16 dicembre
Gv 5, 33-36
Gesù torna a parlare di Giovanni
Battista che ha reso testimonianza
alla verità. Egli non era la luce, ma il
testimone della luce, che era, appunto,
Gesù (Gv 1,8) come si legge
nel prologo del quarto Vangelo. La
testimonianza di Giovanni è stata
comunque efficace, sottolinea Gesù.
Basti pensare, possiamo aggiungere
noi, che due dei suoi discepoli lo
hanno lasciato per seguire il giovane
profeta di Nazaret che aveva appena
battezzato nel Giordano. Ma ora
Gesù rivendica una testimonianza
più grande di quella venutagli dal
Battista. E la fa discendere direttamente
dal Padre. Gesù chiede di
guardare le opere che lui compie. È
Dio stesso che gli ha comandato di
portarle a compimento. È un tema
che ritorna nel quarto Vangelo. Durante
la predicazione al tempio nella
festa della Dedicazione dice alla folla:
«Le opere che io compio nel nome
del Padre mio, queste mi danno
test imonianza» (Gv 10,25).
E nell’ultima cena rivolgendosi ai
discepoli dice loro: «Credetemi: io
sono nel Padre e il Padre è in me;
se non altro, credetelo per le opere
stesse» (Gv 14,11). La missione di
Gesù non è fatta di affermazioni
astratte e lontane dalla vita. Egli è
venuto a cambiare il mondo concretamente.
È a dire che la fede
richiede necessariamente di esprimersi
in una novità di vita. Questa
è l’opera nuova che sgorga dalla
sequela di Gesù. E l’opera di trasformazione
inizia a partire dal
cambiamento del cuore. Potremmo
dire che è questa la prima opera
che il Padre ha affidato da compiere
a Gesù. E per questo egli viene
nel mondo.
Gv 5, 33-36
Gesù torna a parlare di Giovanni
Battista che ha reso testimonianza
alla verità. Egli non era la luce, ma il
testimone della luce, che era, appunto,
Gesù (Gv 1,8) come si legge
nel prologo del quarto Vangelo. La
testimonianza di Giovanni è stata
comunque efficace, sottolinea Gesù.
Basti pensare, possiamo aggiungere
noi, che due dei suoi discepoli lo
hanno lasciato per seguire il giovane
profeta di Nazaret che aveva appena
battezzato nel Giordano. Ma ora
Gesù rivendica una testimonianza
più grande di quella venutagli dal
Battista. E la fa discendere direttamente
dal Padre. Gesù chiede di
guardare le opere che lui compie. È
Dio stesso che gli ha comandato di
portarle a compimento. È un tema
che ritorna nel quarto Vangelo. Durante
la predicazione al tempio nella
festa della Dedicazione dice alla folla:
«Le opere che io compio nel nome
del Padre mio, queste mi danno
test imonianza» (Gv 10,25).
E nell’ultima cena rivolgendosi ai
discepoli dice loro: «Credetemi: io
sono nel Padre e il Padre è in me;
se non altro, credetelo per le opere
stesse» (Gv 14,11). La missione di
Gesù non è fatta di affermazioni
astratte e lontane dalla vita. Egli è
venuto a cambiare il mondo concretamente.
È a dire che la fede
richiede necessariamente di esprimersi
in una novità di vita. Questa
è l’opera nuova che sgorga dalla
sequela di Gesù. E l’opera di trasformazione
inizia a partire dal
cambiamento del cuore. Potremmo
dire che è questa la prima opera
che il Padre ha affidato da compiere
a Gesù. E per questo egli viene
nel mondo.
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