VANGELO
Mt 7,21-27
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
In quel giorno molti mi diranno: Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi? Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande».
Sono solo due mesi che navighiamo in questo tempo ordinario, alla ricerca delle radici nostre e del nostro credere, e dalla prossima settimana ci toccherà già fare spazio ad un altro periodo forte, per imbatterci ancora una volta nell’inaudito di un Dio che - come noi… - ha bisogno di affrancarsi dal frastuono del mondo per affrontare e vincere ogni tentazione, e dimostrarci infine la sua autentica essenza di misericordia, perché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv. XV, 13)… È davvero eccessivo, sconvolgente, inaccettabile. Insomma è troppo, da tutti i punti di vista! Uno “spettacolo” cui dovremo accorrere anche noi (Lc. XXIII, 48), io per primo, per l’ennesimo anno, cogliendo possibilmente l’occasione per battere seriamente il nostro petto (e non quello degli altri!), e deciderci una buona volta ad amare chiunque di quella stessa benevolenza divina, mai meritocratica (Mt. V, 45), tanto meno giudicante nei confronti di nessuno (Mt. VII, 1), ma profondamente convinta, come ha mostrato il Signore a Pietro, “che non si deve dire profano o immondo nessun uomo” (At. X, 28)! Abbandono malvolentieri il mirabile discorso della montagna, tanto più che siamo riusciti a leggerlo e commentarlo solo in parte, perché più passa il tempo, e più mi convinco che ci mancano i fondamentali cristiani per affrontare un qualsiasi percorso di crescita spirituale, relegati come siamo a una qualche vaga nozione riaffiorata dai catechismi dell’infanzia… Purtroppo non ne abbiamo la possibilità, ma sarebbe bello soffermarci sulle indicazioni offerteci da Gesù sulla preghiera (non deve essere un pagano susseguirsi di formule ripetute a macchinetta, ma l’occasione interiore per anzitutto ascoltare la sua Parola - Mt. VI, 5-13) e sul non-giudizio dell’altro come unico criterio della sua giustizia (Mt. VII, 1-5): dobbiamo invece concentrarci sul brano di chiusura dell’intero discorso, che presenta uno spessore teologico davvero impressionante.
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre”… Il Maestro pone subito in evidenza il contrasto tra il dire e il fare, fra chi parla e chi opera, ed afferma che per far parte del nuovo modello di società che è venuto a professare perché si viva in paradiso già qui in terra, non basta un attestato di fedele ortodossia, cioè riconoscere in Gesù Cristo il Signore, ma occorre dare effettivo compimento alla volontà di Dio. Per Regno dei cieli, ribadisco, l’evangelista non intende l’al di là, non ci sta dicendo chi entrerà o meno in paradiso, ma si riferisce a chi, vivendo pienamente le logiche di condivisione di tutti i beni e di misericordioso non-giudizio verso chiunque proprie delle beatitudini, può contribuire già su questo pianeta all’edificazione della comunità nuova fondata sull’amore dal Nazareno! Ebbene, ma qual è questa volontà del Padre che deve essere attuata? “Che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato” (Gv. XIII, 34)… Occorre far nostro il pensiero di Dio, la sua capacità di voler bene a chiunque indipendentemente dai meriti, per il solo fatto di essere figli, quanto più fragili, tanto più bisognosi d’affetto. Ecco allora che chi, nel nome del Signore, avrà realizzato opere anche positive (profetare, cacciare demoni e compiere prodigi), potrà essere da lui disconosciuto e allontanato se si sarà reso “operatore di iniquità”: se la tua appartenenza a Cristo è puramente opportunistica e senza convinzione, se ti bei dei tuoi risultati magari buoni sul fronte ecclesiale e cogli l’occasione per inorgoglirti anziché sentirti “servo inutile” (Lc. XVII, 10), se il dare spazio a Dio nella tua vita diventa motivo di autoaffermazione o (peggio) di censura dei fratelli (tra)vestendoti da giudice impietoso anziché guardare al tuo cuore, ebbene il tuo “Signore, Signore” è la conclusione degna dell’ipocrisia che ti ha accompagnato per tutto l’arco dell’esistenza, e col vero Gesù hai ben poco a che spartire!
Il nostro testo, poi, ripropone il contrasto tra il dire e il fare, anzi stavolta fra l’ascoltare e l’attuare: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia”… La rupe, in questo Vangelo, è l’immagine di Cristo e della fede in lui. La vita della Chiesa/comunità dei credenti, come quella del singolo discepolo, è variamente soggetta a travagli e persecuzioni (“cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa”), ma malgrado tutto, se la società ecclesiale, come ogni persona, è edificata sulla Parola e sulla pratica di Gesù, “essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia”, quindi il fondamento è e resta il Signore! L’uomo stolto, o più letteralmente pazzo, è invece quello che ascolta e non mette in pratica le parole del Maestro… I fenomeni catastrofici che imperversano sono gli stessi (“cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa”), ma stavolta gli effetti sono devastanti (“ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”)! Come mai questa differenza? Semplicemente perché, in questo caso, la parola non ha messo radici nel profondo! La difficoltà e la persecuzione, di per sé, non indeboliscono il credente e la comunità, anzi li rafforzano nel loro ben-volersi, di fatto possono essere un’occasione che comunica vita… Ma se l’autentico messaggio di Cristo non si è radicato nell’intimo, se andiamo dietro a una pratica devozionale oggi e a qualche apparizione particolarmente ciarliera domani pensando di poter esaurire lì il fondamento del nostro (presunto) credere, ecco che basta un nonnulla per covare il disastro dietro l’angolo!
Buona settimana, amici, prepariamoci alla traversata quaresimale…
Matteo
A prenderlo sul serio, rischiamo la conversione del cuore.
Le beatitudini, prima, poi il lungo discorso in cui Gesù riporta all’origine le tanti prescrizioni che gli uomini avevano aggiunto alla Legge di Dio. Secoli di aggiunte, di sottigliezze, di divieti, di minuzie.
Oltre seicento erano diventati i precetti, una selva che impediva a chiunque di sentirsi a proprio agio, con il conseguente allontanamento della gente semplice da Dio, riservato ormai solo agli ultras della fede, ai devoti oltre ogni misura.
Gesù, invece, ricorda a tutti che la perfezione di Dio consiste nella misericordia, non nell’osservanza scrupolosa di ogni regola, foss’anche religiosa.
E oggi, nella domenica di Carnevale, la Parola ci invita, prima di togliere le maschere ed iniziare il percorso quaresimale, a riflettere sul nostro modo di credere.
Vicina
È una Parola vicina, quella che Dio propone, una Parola da ricordare spesso, come suggerisce la prima lettura, da tenere sempre fra gli occhi e nel cuore; una Parola data perché diventi benedizione, non ostacolo, perché faccia crescere, non stagnare. Dio non è un preside inacidito che impone l’osservanza di regole impossibili, ma un padre che sa come funziona la vita e condivide con noi la sua esperienza.
Il peccato è male perché ci fa del male, perché ci distrugge, perché ci allontana dalla nostra natura profonda, non perché così Dio ha deciso...
Certo: la logica di Dio, ripresa da Gesù, è destabilizzante, inquieta, interroga.
Come possiamo dire di avere osservato tutte le leggi del Signore? Di essere “a posto”? Come possiamo elencare tutte le nostre pie opere davanti alla richiesta dell’imitazione di Dio, non nella sua impeccabilità, ma nella sua misericordia?
Oggi la Parola ancora ci scava, ci provoca.
Attenti a non indossare la maschera del pio devoto.
Mascherine
Maschera da indossare per farci vedere (umilmente) belli davanti a Dio.
Gesù è severo: non basta fare l’elenco delle nostre sante frequentazioni, non basta ricordare a Dio tutte le noiosissime celebrazioni che abbiamo dovuto sopportare con cristiana rassegnazione: nessun taccuino annotato ci permetterà di incontrare il Figlio di Dio, al termine dei nostri giorni…
Paolo è tranciante: è la fede che salva, non le opere.
Qualche anno dopo, Giacomo equilibrerà l’affermazione troppo forte: la fede senza le opere è inutile.
Ecco ciò che il Signore chiede al discepolo: ascoltare la Parola e metterla in pratica. Non sono sufficienti le opere (anche buone!) per incontrare Dio: senza la fede non ci fanno incontrare Dio.
Non è autentica una fede che non diventa quotidianità.
Bella storia.
Alluvioni
Non basta conoscere la Parola di Dio.
E neppure praticare una preghiera intensa e quotidiana.
Non basta avere fatto esperienza di Dio in un ritiro o un pellegrinaggio.
Non basta neppure essere stati chiamati da Dio ad annunciare la Parola, investiti direttamente da lui. Non basta tutto questo perché la casa della nostra fede non crolli alla prima tempesta.
Non basta l’ascolto, dice il Signore, ci vuole la credibilità, la coerenza, la vita concreta, i fatti. Siamo pieni di cristiani che si mettono in mostra davanti a Dio e lo smentiscono nel segreto della loro vita.
Il Signore chiede autenticità, verità, anche a costo di sanguinare, di sperimentare la propria oscena nudità interiore. Se, travolti dagli eventi della vita, abbiamo visto le nostre certezze crollare, e i dubbi radere al suolo la nostra presunta fede, forse è accaduto perché la nostra fede era costruita sulla sabbia delle nostre piccole convinzioni umane. Se il Signore ci ha chiamato ad essere suoi discepoli, e da anni camminiamo, con semplicità, sulla strada del Vangelo, non presumiamo delle nostre forze, ma ancoriamoci saldamente alla Parola che può ancorare la nostra vita alla roccia, senza temere le tempeste.
Gioiamo per questo Carnevale, allora, scherziamo e ridiamo nell’indossare i panni di qualcun altro.
Ma nella fede, per favore, togliamoci le maschere.
Niente belle mascherine, davanti a Dio.
(Paolo CURTAZ)
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